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L’avvocato Paolino Cerra da Sambiase (1876-1946) uomo di grande moralità

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L’avvocato Paolino Cerra

di Giovanni Renda
Quel campione del nostro Foro che è Felice Manfredi, che non ha mai disgiunto il suo valore dall'innata signorilità, sui precedenti numeri di Storicittà ha tratteggiato a grandi linee la figura poderosa di Caio Fiore e degli illustri avvocati Pietro Agapito e Giosué Arcuri; ed anch'io ho avuto modo d'intrattenermi, e mi auguro ci sia riuscito, sull'indimenticabile figura di Pasquale Corra; ma non ci si può fermare qui: ecco perché voglio ricordare la figura di una grande Toga: Paolino Cerra, che nel firmamento del nostro Foro brilla come una grande stella, meritevole di ben altri spazi.

Paolino Cerra nacque in Sambiase il 21 Novembre 1876, da Francesco Antonio Cerra e da Felicia Cristaudo in una cospicua famiglia appartenente alla vecchia e stimata civiltà rurale della nostra Sambiase; ebbe due fratelli dei quali uno, Bruno, uomo di grande cultura, fu valoroso colonnello dell'Esercito nella Prima Guerra mondiale e l'altro, Giuseppe, padre del nostro collega Alberigo e di Antonio, che si era dedicato all'agricoltura, uomo semplice, dotato di un grande cuore e di un grande rispetto verso gli altri.

Paolino Cerra si laureò alla Regia Università di Napoli, a soli ventidue anni, il 19 Luglio 1898 con il massimo dei voti. Si dedicò all'avvocatura, e - senza retorica - devo dire che si rivelò avvocato sommo.

Erano quelli i tempi in cui nel nostro Foro splendevano le luci che mai si spengono: Caio Fiore Melacrinis, Edoardo Pacenza, Luciano Cerminara, Emilio Folino (insigne civilista), Pasquale Stancati, Osvaldo Cerminara, Pasquale Cerra e, lasciatemelo dire, presiedeva il nostro Tribunale una poderosa figura di grande magistrato: Gracco D'Agostino, che ha valicato i limiti della nostra Regione, impegnato nei piú importanti processi del secondo dopoguerra: da quello del musicista uxoricida Graziosi a quello Giuliano e di Portella della Ginestra. Ho voluto ricordare il Presidente d'Agostino per il sol fatto che questo magistrato insigne aveva affetto e stima, senza limiti, verso don Paolino, così lo chiamava. E ciò costituisce uno dei titoli di onore dello stesso Cerra; io, che - appena laureato - frequentavo la Sua casa, durante la sua lunga malattia avevo modo di assistere alle premurose cure che l'illustre magistrato gli prodigava.

Non si spaventino i giovani colleghi: allora, le frequentazioni tra avvocati e magistrati erano un fatto normale e di reciproca stima.
Non erano quelli i tempi degli intrighi, dei pentiti e dei corvi... E Paolino Cerra come primo insegnamento ci diede il rispetto immenso per chi deve giudicare.
Ed, ora, vi dirò di Paolino Cerra quale avvocato. Aveva una preparazione giuridica immensa, ma fu soprattutto un conoscitore profondo del processo penale; mi ricordo che su di un verbaletto dei carabinieri era capace in Pretura di parlare un'ora! Me lo ricordo in Corte di Assise con il suo petto in avanti, quasi a simiglianza del dantesco Feriunte degli Uberti, con il gran cuore che vi batteva dentro, sfogliare il processo pagina per pagina, rigo per rigo, e ripetere il suo intercalare: «ed ancor non basta!» finché non trovava il punto per il trionfo della sua tesi difensiva, che appagava il suo spirito inquieto per la verità.

E inutile che vi dica il dramma che viveva prima di recarsi in Corte di Assise: per Lui, avvocato navigato, ogni cosa era la sua prima causa!
E, così, in questi tempi di errate supervalutazioni di noi stessi, dovrebbe essere. Nelle cause lasciava sempre brandelli della sua anima!

Devo ricordare le sue nottate insonni nello studio del processo, vegliato dalla delicata ombra della madre: donna Felicia, che adorava!
Ma non posso chiudere questo profilo di Paolino Cerra, che non so di aver saputo dare, senza ricordare la sua più bella qualità: «il rigore morale che s'imponeva e voleva imporre, giusta qualità, non solo integra, ma fa di più risplendere le sue elevate qualità professionali, dove resta indiscusso maestro.
Non va assolutamente omesso che fu anche Sindaco di Sambiase nel periodo bellico 1915-1918, e ci dicono i più anziani di me, quale fu il suo interessamento per la popolazione amministrata, quando mancava tutto: la farina, la pasta ed ogni altro sostentamento.

Per quel suo rigore morale di cui resta illuminata la sua figura di uomo e di galantuomo, della pubblica amministrazione fu luce che non si spegne e della rettitudine professionale un punto fisso di esempio.

In quei tempi, prima dell'epoca fascista, quando una commenda non si dava per due fichi secchi, per i suoi preclari meriti, gli fu concessa la Commenda al Merito del Regno d'Italia.

Per quel suo rigore morale, non solamente, ma per lo spasimo di questo suo rigore, non volle far politica, ma costruì la fortuna politica degli altri.
A me, appena laureato, che mi affacciavo con l'entusiasmo dei venti anni alla società civile. Tra tutti i consigli soleva dirmi: «Non fare politica, la cosa più dolce che ti potranno dire è che sei un ladro!»

Io non l'ascoltai, ma questa frase resta di una scottante realtà! Chiuse gli occhi in Sambiase nella sua casa avita il 22 Gennaio del 1946.

 

*L'articolo è tratto dalla rivista d'altri tempi "Storicittà" annno VII, dicembre 1998,pagg.34/35, Direttore-Editore Massimo Iannicelli.
E' severamente vietata la produzione salvo richiesta al Direttore-Editore M.Iannicelli. Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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