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'A Santa Cruci

Centro storico di Sambiase: I luoghi dove sono poste le ''Sante Croci'' rione Calvario in alto, da sx a dex Miraglia, Craparizza, Ariella, S.Nicola

di Enrico Borrello*

La Santa Croce, senza dubbio la festa popolare per eccellenza, che dura dall'1 al 3 maggio. Cominciano prima i ragazzi, ma poi ci si mettono i giovanotti, per spirito di emulazione: la nostra Santacroce deve essere la più bella della «ruga».

E, se i ragazzi hanno finora assillato i passanti col vassoio (la «guantiera») arrugginito, su cui è stata incollata un'immaginetta della Croce, per l'obolo (e guai subito dopo, perché ti rincorrono gli altri, delle Santecroci dei vicini riori), i giovanotti vengono colla matita e il quaderno del fratellino, a segnare la tua offerta, che, per pudore, dev'essere sempre adeguata.

Dunque, eccoti la capanna di frasche verdi (pioppo, per lo più), le coperte che la chiudono, l'altare su un tavolo con numerosi grossi boccali di fiori (per lo più «violi d'a Santacruci». gli spadaccioli, cioè, che crescono spontanei fra il grano), lampade ad olio a «panarella» colle steariche per la sera: sono i lampioncini alla veneziana. Allora scendono le donne della intera via, chè ne va del loro decoro, se la festa non riesce solenne.

La Santa Croce

E cantano:

 

Santa cruci ti viagnu a vidiri
ccu ddua tuvaglia ti viagnu a stujiari
una di cori e n'atra di fidi
santacruci ti viagnu a vidiri
Io t'adoru Santacruci
io t'adoru ccu lla voci
io t'adoru lignu siccu
chi di rosi ndi si adurnatu
e salutami a Gesù Cristu
chi muriu senza piccatu.
`U ragaru a Munti Carvariu
e videtti lla Madonna
E Ila Madonna tantatissima.
Ed abbassati nu pocu,
quantu vasu a figliuma pocu
ca si nno muaru di focu.
E Ila Cruci s'abbassàu
Maria 'n butta lu vasàu,
Ebbiva lla Santacruci, ebbiva!

 

In questo precisissimo istante, il ragazzo, scelto fra i più bravi, deve, con sincronizzazione perfetta, sparare il grosso petardo, o il tricche - tracche più fragoroso. Una volta si sparava «u mascuni», un cilindro di spessissimo ferro, con base piatta, su cui era un foro, per la «civata», la carica di polvere pirica, che doveva dar fuoco alla grossa carica di polvere «cacirogna» (calcinaccio), contenuta nel «mascuni».

Ed era una cannonata, che faceva tremare la casa. Ora le donne intonano un canto grave, solenne, lamentoso: - Durci Figliu, dicia Maria - La tua morti è morti mia - Vuagliu stari ccu ttia abbracciatu - ppi l'amuri chi m'hai purtatu - M'hai purtatu 'nta stu mundu - 'nta stu mari senza fundu». Intanto la sera si fa tarda, e ognuno torna a casa.

E arriva, così, la terza sera, quella che deve chiudere la festa con la più grande solennità.
Se la raccolta delle offerte è stata buona, ci sarà la filarmonica di Pizzo o di Catanzaro, che suonerà sull'apposito palchetto. Ci sarà l'albero della cuccagna, la corsa nei sacchi, o, certamente, il gioco delle pignate, che manda in visibilio piccoli e grandi.

O, meglio ancora, la gara fra 5-6.... sbafatori, a chi ingoia con maggiore rapidità un voluminosissimo piatto di pastasciutta, fra le risa convulse dei presenti. Insomma, un'allegria così sana e clamorosa, che supera il godimento delle feste del Patrono, colla musica classica e i fuochi a pioggia di stelle, di paracadute, di lampi all'...atomica.

Qui, invece, oltre ai «frugoli» e alle «rotarelle», c'è il falò di fascine, grossi mazzi di sarmenti, cui si dà fuoco da più parti contemporaneamente, per vedere giganteggiare d'un tratto le fiamme, su cui i più bravi giovani, per farsi ammirare dalle ragazze, che ammiccano con malizia, saltano con bravura davvero stupefacente. Avanzo di uso pagano, quando si saltava sul fuoco, in atto di purificazione. È il cosidetto «festino». Intanto, le fiamme si vanno abbassando, il ventarello di tramontana vi soffia ancora lievemente, da cominciare a scoprire le ceneri, la sera si fa tarda davvero.

È quasi mezzanotte. Si spengono i lampioncini, le donne risalgono in casa coi bambini mezzo assonnati in braccio, i due giovanotti di guardia alla Santacroce spiegano il materasso per terra, su cui passare il resto della notte. Poi, il silenzio solito delle vie di strapaese.

Domani, al primo canto del gallo, le vecchie, sempre prime ad alzarsi, scenderanno a prendere una palettata di cenere della Santacroce, da mettere sul focolare, a protezione della casa; come l'«ervicella dell'Ascensione», che si lega a mazzetti e si appende al capezzale ed è di buon auspicio, se allunga i germogli all'insù. La «Santacroce» è finita. Domani c'è solo da ricucire gli strappi alle coperte usate per la bisogna e non c'è da escludere che ci scappino bronci fra comari, che hanno avuto poca cura della roba degli altri.

 


 

* Estratto da "Il sentimento religioso nel folclore" in SAMBIASE "Storia della città e del suo territorio" ,capitolo III° Scritti di Memoria, di Enrico Borrello, Collana Recepta,Edizione integrata ,Ristampa anno 1988,Temesa Editrice.