Cronache Risorgimentali

L'agguato al Gen. Nunziante da parte dei sambiasini (1848)

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sambiasini

L'attacco dell'Angitola e l'agguato al Nunziante da parte dei sambiasini(a)
di E.Borrello

"L'avamposto(1) dell'Angitola tenne fermo per più di un'ora, senza ricevere rinforzo alcuno. L'abate Bianchi, che, come si è detto, lo comandava, volendo in quel giorno mettere a profitto la sua abilità di esimio cacciatore, infoderò la spada e diè di piglio ad un fucile, col quale non scaricò colpo che non facesse cadere un borbonico.

Ferdinando NunzianteIl generale Nunziante vedendo l'impossibilità di snidare i Calabresi(b) dalla nicchia che occupavano, ad onta del tirare furioso delle sue artiglierie, nonché del fuoco di due fregate a vapore che fulminavano di fianco, comprese che non vi era altro mezzo di portar via la posizione, che attaccandola alla baionetta. Epperò, ordinati in colonna parte dei suoi e facendoli montare all'assalto, se ne impadronì, dopo aver sofferto delle perdite considerevoli. I Calabresi ebbero allora, per la prima volta, una prova che le milizie napoletane non erano così codarde come sino a quel tempo avevano sentito comunemente ripetere. I borbonici superarono un'erta collina, sotto un grandinare di palle, né la vista dei numerosi morti impedì loro di guadagnare imperterriti delle vette, a cui pervennero arrampicandosi più che marciando. Nella impossibilità di respingere l'urto nemico e per la pochezza del loro numero e più di tutto perché armati di fucili senza baionetta, i militi calabresi, senza perdere nessun uomo, abbandonarono il posto fino allora difeso e ripiegarono verso il nord, per opporre eguale resistenza in tutti i punti successivi.

Monumento a Francesco StoccoSi arrestarono alla distanza di circa un miglio, dove, trovata già in posizione la gente discesa con Stocco, da Filadelfia, si disposero tutti a ricevere convenientemente il nemico che si avanzava. I borbonici forzarono i passi uno dopo l'altro, sempre nello stesso modo, incontrando dappertutto la più accanita e disperata resistenza, sicché non sboccarono nella piana di Maida che al tramontare del sole, impiegando così 16 ore di quasi incessante combattimento, per percorrere uno spazio di circa 12 miglia.
In tutto questo cimento la loro intrepidezza non si smentì che una sola volta, per la demoralizzazione provocata in due battaglioni dalla vergognosa codardia del Generale. Nunziante spingeva innanzi le sue colonne, tenendosi in coda, in mezzo ai bagagli, e procedeva oltre, non a cavallo, ma in carrozza chiusa, solamente quando sapeva i passi superati ed il pericolo lontano.
L'odierno ponte dell'Angitola luogo in cui avvenne l'attacco al generale borbonico NunzianteIn tal modo arrivò sino a presso il Ponte delle Grazie, dove, la natura del luogo permettendo a Stocco di spiegare nello stesso punto tutta la sua gente, incominciò un fuoco così vivo che i borbonici vi furono arrestati più lungamente che altrove. Il generale Nunziante, a qualche distanza, lusingavasi di stare in luogo sicuro, quando venne scosso dal rumore di una scarica di moschetti, le cui palle crivellarono la sua carrozza. "Erano circa venti militi di Sambiase, tra cui G.M. (Giuseppe Maione), Nicola Sposato, Francesco Mazza, Francesco Paladino, Leopoldo Funaro e Giovanni Nicotera.
S
i erano essi di staccati espressamente dal grosso della gente e rimpiattati nelle macchie della sovrastante collina, onde aspettare il passaggio del condottiero nemico, che procedeva in carrozza. Giuseppe Maione, più provetto degli altri, prevedendo quello che accadde, aveva prevenuto una parte dei suoi compagni di riserbarsi, perché, non ucciso Nunziante nella carrozza alla prima scarica, ne sarebbe certamente uscito. Invece fecero tutti fuoco simultaneamente, sicché Nunziante, saltato fuori con altri tre uffiziali, si precipitò a sinistra della strada, in mezzo ai cespugli, attraverso i quali raggiunse l'ultimo battaglione che era alla coda della colonna. "Quivi arrivato collo spavento nell'anima, strappò e gittò per terra le ricche spallette nonché il cappello gallonato e, coverto di un semplice berretto da soldato, da quel punto in poi procedè sempre a piedi, confuso in mezzo alle sue truppe".
Il patriota Benedetto Musolino"Questo spettacolo scoraggiò talmente i soldati di quell'ultimo battaglione, che credendosi cinti ed attaccati da forze imponenti, si sbandarono completamente, trascinando con loro anche l'altro battaglione, che stava alla scorta dei bagagli. La maggior parte di tali soldati ritornarono a Pizzo, alcuni per la strada consolare, altri costeggiando la spiaggia del mare, protetti dal cannone delle navi a vapore; ma molti altri, smarriti nelle campagne e temendo di cadere nelle mani dei Calabresi, si rimpiattarono nei boschi, donde, tormentati dalla fame, sbucavano per qualche istante per raccogliere nei campi vicini delle spighe, che stritolavano nelle loro gamelle. Essendo però questo alimento insufficiente a sostenerli, furono trovati nei giorni seguenti morti d'inedia.
"Tanto scompiglio avvertito dai Calabresi appostati al Ponte delle Grazie, fece accorrere una parte di essi sulla coda della colonna nemica; quivi trovando i bagagli abbandonati si diedero a saccheggiare; ed era bello ad osservare come, rompendo le valigie degli ufficiali e scorgendovi delle spallette e delle sciarpe militari, se ne adornassero come a mascherata."Se lo stesso timor panico non si comunicò al resto dei borbonici, provocando lo sbandamento generale, fu merito dei Comandanti degli altri corpi, i quali anzi, incoraggiando i rispettivi soldati, nonostante il fuoco micidiale di Stocco, superarono anche questo difficile passo e procederono oltre (2-nota autore Borrello).
"Gli arnesi del generale Nunziante, raccolti per terra; la sua carrozza, rimasta in mezzo allo stradale, per essere state uccise dalla scarica dei Sambiasini le mule che la tiravano, il suo stesso cavallo, vagante pei campi e condotto a Pizzo da quei della retroguardia, che lo raccolsero; furono tutti motivi della voce, che allora si sparse, sulla morte del condottiero borboniano. "Gli atti di crudeltà commessi od autorizzati da un tal condottiero, nella giornata del 27 giugno e nelle consecutive, sono propri solamente di un uomo, che si spoglia delle insegne del suo grado, per non essere riconosciuto nel combattimento. "II generale Nunziante, irritato dalla resistenza che incontrava ad ogni passo, e non potendo infierire contro gli armati, sfogava la sua vendetta contro gli innocenti, gli inermi, i morti.

Il patriota Felice Sacchi (c)"Poco dopo l'Angitola incontrava due fanciulli dai dieci ai dodici anni, un fratello e una sorella, che stavano a guardia di pochi porci pascolanti, e barbaramente li trucidava. Più appresso bruciava vivo, su di una bica di lino, un infelice campagnuolo, che, infermo, vi stava sdraiato, riscaldandosi ai raggi del sole. Recideva le teste ai pochi generosi caduti combattendo, e, come onorevoli trofei, le faceva portare in cima alle baionette, onde incutere spavento agli insorti.
"M
a nulla eguaglia l'orrore dello scempio consumato al
Fondaco di Bevilacqua(d). Era questa una osteria di campagna sulla strada consolare, tenuta da una povera donna. Arrivativi i borbonici, la invasero, e dopo di aver consumato tutto quanto vi si conteneva di commestibili, ne uscirono senza pagare. La malaccorta e sventurata ostessa, credendo che avesse a fare con amici e difensori della religione, della famiglia, della proprietà, si rivolgeva agli uffiziali per farsi dare la giusta mercede. In risposta era spogliata interamente delle sue vesti, e spaccata a colpi di scure dalla testa al pube; le sanguinose metà s'inchiodavano sui battenti dell'uscio della casa. Spettacolo osceno e miserando ai passanti!
Nel fatto dell'Angitola il generale Nunziante ebbe oltre 600 uomini fuori combattimento, tra morti e feriti. I bollettini ufficiali, pubblicati allora dalla stessa stampa borbonica, ne accusa vano 400. Dei Calabresi non perirono che otto o dieci individui, tra cui il Ricevitore Generale Morelli, Giuseppe Mazzei ed il giovane Federico De Nobili. Né si creda questa una millanteria: la natura dei luoghi, come ho detto sopra, permetteva di resistere e di ferire quasi al sicuro.

Il patriota Gaetano Boca (f)"Sul tramontar del sole, arrivato alla piana di Maida, il generale Nunziante si trovò tanto stremato di forze - e per le perdite sofferte e per lo sbandamento dei due battaglioni - che, ri conosciuta l'impossibilità di superare i passi ancor più difficili del Calderaro e del fiume Lamato, nonché le tortuose ed erte vette di Tiriolo, anzi, temendo di essere attaccato dai Calabresi sulle alture di S. Pietro a Maida, dopo di aver dato poche ore di riposo alle sue genti esinanite, all'apparire del giorno seguente, si pose in piena ritirata, risoluto di imbarcarsi per Napoli, dopo di aver lasciato in Calabria un ultimo esempio memorando delle atrocità borboniche" "Già con simile intendimento egli, il giorno 27, aveva abbandonato al saccheggio ed all'eccidio Filadelfia, occupata da un battaglione di cacciatori, dopo la partenza di Griffo(g).
Eguale trattamento s'ebbe Pizzo, nel giorno 29. Ma per questa città non esisteva neppure l'ombra del pretesto addotto per Filadelfia. La popolazione, invece, aveva accolto Nunziante con manifestazioni di simpatia e di gioia e, come fedelissima alla
dinastia dei Borboni,era ben lontana dall'aspettarsi una simile ricompensa. "Non pertanto, nel di lei sacco perirono molti individui, fra uomini, donne e fanciulli sacrificati per sola libidine di sangue; né vi fu casa onorevole, la quale venisse risparmiata dalla soldatesca selvaggia".
"P
iù manomessa di tutte fu la
famiglia Musolino. I borbonici, non potendo disfare prontamente, né a colpi di ascia, né per mezzo del fuoco, il ferrato portone del di lei palazzo, ricorsero al cannone. E di fatto dalla prospiciente piazza tirarono una cannonata contro le mura della casa. Invasi dopo gli appartamenti e svaligiatili, misero barbaramente a morte Domenico e Saverio Musolino, padre il primo, e l'altro fratello primogenito di Benedetto" (3-nota autore Borrello).
L
o scempio di Filadelfia e di Pizzo sgomentò i capi della rivoluzione di Catanzaro, tanto che essi, invece d'inseguire un nemico sconfitto e in fuga, lo lasciarono ritirarsi tranquillamente . Stocco, coi suoi 1500 uomini ( a tanti ascendevano ormai, con quelli abbandonati dal Griffo) preferì ritirarsi su Nicastro, per difendere questa città da ogni eventuale vendetta dei borbonici; altri 500 uomini si riunirono a Tiriolo in attesa di ordini: ne profittò il Nunziante, che, risoluto prima di rimbarcarsi per Napoli, non essendosi visto inseguire dai rivoluzionari e, conosciute, anzi, le intenzioni passive della colonna nicastrese, che costituiva il nerbo più importante della insurrezione, riprese animo, richiese rinforzi a Napoli e il 7 luglio marciava su Catanzaro, che occupava il 9, senza incontrare resistenza alcuna. E cominciarono anche qui le più feroci e bestiali vendette. La rivoluzione in provincia di Catanzaro era finita
(h); poco dopo finiva anche nella provincia di Cosenza. Stocco, Nicotera, Musolino, Mauro, Ricciardi, Lupinacci e altri riuscirono a riparare a Corfù (4 - nota autore Borrello)


 

Note dell'autore
(1)
Pubbl. sul "Giornale d'Italia" del 17-9-1943;
(2) Nella resistenza al Ponte delle Grazie merita speciale menzione Guglielmo Nicotera da Nicastro. Appartenente già alla Setta dei Figliuoli della Giovane Italia, erasi egli mostrato precedentemente animato da zelo infaticabile per pro muovere la santa causa, né risparmiò mai compromissioni e sacrifizi personali e pecuniari. Arrivato il momento di combattere ed acclamato dalle milizie comandante di un corpo, rifiutò modestamente il grado, ed abbandonato del pari l'uffizio importante che occupava, di ricevitore distrettuale, prese il fucile e si trasferì al campo da semplice volontario. Nel giorno 27 però accettò le funzioni di comandante al fine di contentare i desideri di Stocco che, in quella occasione solenne, aveva bisogno di affidare la direzione dei drappelli a capi devoti e sicuri. Guglielmo, in quella giornata e come individuo e come comandante diè prove di grande bravura e d'intelligenza. Adesso nell'esilio sconta la pena del suo specchiato patriottismo, essendo stati colpiti i suoi beni di confisca, in conseguenza della condanna a morte in contumacia, lanciatagli dai tribunali borboniani. (N. del Musolino, 1859);
(3) Furono anche uccisi dalle soldatesche borboniche: Andrea De Summa, Giuseppe De Fazio, Giovan Battista Alessio, Antonio Scaramuzzino, Ferdinando Miscimarra, Felice Saltalamacchia e due siciliani, di cui son rimasti ignoti i nomi. (N. di Saverio Musolino).

(4) Vedi articolo: Francesco Stocco.

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____Note aggiuntive___
a cura di G.Ruberto

(a)
"Il terreno che fu teatro del combattimento del 27 giugno, fa parte della grande strada consolare, che da Reggio mena a Napoli. Questa strada al passo del fiume Angitola è assai vicina al mare; ma, a misura che progredisce verso settentrione, se ne allontana sensibilmente, per guadagnare l'erta e malagevole montagna di Tiriolo, da cui domina ad eguale distanza i due mari Tirreno e Jonio. In tutto questo tratto dalla Angitola a Tiriolo, ad eccezione della piana di Maida, essa attraversa un terreno boscoso, e dal lato orientale è dominata da colline tagliate a picco e coverte di folte macchie ".
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E.Borrello, op.cit., cap. IX , "La rivoluzione calabrese del 1848", p.180, II^ edizione 1998, Temesa Editrice- Roma.

(b) Proclama del Nunziante ai Calabresi

AI CITTADINI DELLE TRE CALARRIE

Cittadini:
I fatti han teso evidente la lealtà di quanto in vi esprimeva col mio proclama del 7 di questo mese . Ma con dolore veggo che l'audacia de' pochi tristi si spinge sempreppiù ad azioni deplorabili ed aumentano con avventate minacce la perplessità di tutti i buoni!
Prima di usar la forza come il dovere mi detta , alzerò di nuovo la voce , non rispondendo al certo a ciò che si è scritto in Cosenza, dove si dovrebbe comprendere che di tutto le monotonie la più nauseosa è quella di ripetere con sempre fresca impudenza la più assurde calunnie; nè potrò sperare , che tre o quattro, che falsamente credono non poter per i loro delitti contare su l'inesauribile Clemenza del RE N. S., mettan senno .
Ma ho fiducia che si ravvedan tutti gli altri che o per momentaneo predominio di passione e passaggiero ottenebramento d' intelligenza, o per mire private ripetono la mensogna di esser lesa quella Costituzione, alla quale essi si stanno con tutt' i modi opponendo!
La libertà non può sussistere senta la Ragione. La follia e la libertà non si trovano mai insieme! Comandante di Truppe Nazionali per sostenere la Costituzione che abbiamo giurata, io non posso, nè debbo al certo entrare in discussione su i futili pretesti con i quali i rivoltosi cercano ricovrire le loro inconcepibili azioni . Ma solo pregherò dirmi con quanta buona fede si è stampata in Catanzaro che si allontanino le armi e le armi cadranno dalle loro mani . Come se prima di venire le Truppe, non solo non si fosse procurato colà di emanciparsi in tutto dal Governo Costituzionale, e usando le maggiori minacce non si fosse mandato (inutilmente per altro nella maggior parte) eccitando i paesi alla rivolta, e non si fosse col fatto riunita, adoprando il terrore, molta gente per sostenersi con le armi !!
Per quanto si aggiungo che io usi il linguaggio dell' Agnello, mostrando le zanne del Leone , è ben chiaro che il Real Governo è forte , assai forte , ed ha dovere di essere eminentemente forte; e prima di dimostrarlo io con fatti ai rivoltosi, possan le replicate mie premure, e i miei voti esser da loro sentiti col rientrare senza ulteriore ritardo nell' ordine, e per godere della Giurata Costituzione .

Monteleone 16 Giugno 1848 . Il Generale Comandante FERDINANDO NUNZIANTE .
(Asc.sezione di Lamezia T.,p.36,op.cit.,ibidem)

(c) Felice Sacchi. Suo padre si chiamò Antonio, la cui casa fu "di sapienza un tempo illustre sede". I convegni patriottici del Nicastrese, infatti, avvenivano proprio in casa Stocco ed in casa Sacchi.
Questi fu Sindaco di Nicastro dal 1840 al 1845 e nei primi di Maggio 1848 fu eletto Deputato del Parlamento borbonico, il secondo eletto della provincia di Catanzaro, dopo Ignazio Larussa di Catanzaro: voti 5225 contro 5253. Patriota silenzioso, che nelle patrie galere di Ventotene si ammalò sino a compromettere la sua esistenza. Fu uno dei quattordici deputati calabresi che diedero le dimissioni il 15 Maggio a causa dei gravi fatti di sangue di Napoli. Fu a fianco di Stocco, comandante onorario dell'Angitola, assieme all'altro comandante onorario Guglielmo Nicotera che volle seguire i volontari combattenti da semplice soldato. Dopo i fatti dello scontro, assieme agli altri amici, si presentò volontariamente per essere processato. II processo di Sacchi è il piú importante del Nicastrese e comprende ben undici imputati: egli stesso (condannato a 25 anni); Gaetano Boca (25 anni); Gustavo Fiore Melacrinis (7 anni); Francesco Costanzo (25 anni, morto a Ventotene); soc. Giuseppe Colocino (25 anni, morto di colera a Ventotene); Francesco d'Ippolito (assolto); Ippolito marchese d'Ippolito (25 anni di ferri, morto anche lui per colera a Ventotene); Tommaso Procida e Antonio Presterà (25 anni di ferri ciascuno); Michele Voleo (25 anni di ferri, morto per colera a Ventotene); Vincenzo Gatto (assolto); coinvolti i testimoni Nicola Zaffina e Pasquale Falvo: tutti del distretto di Nicastro. Scarcerato nel 1859 per fine pena, gravemente ammalato e provato, come risulta da atti, egli offri la sua ulteriore partecipazione in appoggio ai Mille, dedicando le residue sue forze al Risorgimento calabrese.
______Notizie tratte da "Il contributo lametino alla causa dell'Unità d'Italia" di Gaetano Boca,pubblicato su "Storicittà rivista d'altri tempi" p.8,annoVII,n°70, mese di agosto-sett.1998, Edito da Rodolfo Calfa dal 1992 al 2004 - dal 2005-2007 Massimo Iannicelli Editore - Lamezia Terme (Cz).

(d)
Per la cronaca riportiamo ( da Francesco Talamo in "Cronache Risorgimentali di Antonio Serravalle ", capitolo - Una pagina d'istoria del 1848 nella Calabria -, p. 21, ) altri particolari interessanti su quello che accadde nel fondaco Bevilacqua : " ... arrivando la testa della colonna all'altro casino di Bevilacqua mettesse anche il quello il fuoco, che trovò grande alimento nelle conserve dell'olio ivi riposte. Il proprietario del casino,signor Francesco Antonio Bevilacqua, ch'era tra i Nazionali co' suoi dipendenti di Curinga, nel luogo Turrina a vista del casino, a quell'incendio divenne furibondo e si mise all'opra per l'attacco disponendo gli appostamenti, nella soprapposta strada del Ponte Turrita, al Ponte delle Grazie, e con una scelta di ventisette suoi fidi di Curinga, si portò egli stesso dietro le querce che dominavano il Ponte delle Grazie (....) Nunziante fe' fermare la colonna tra il casino Bevilacqua e il ponte Turrita per circa 2 ore e le bande militari suonavano. Sperava che a questa dimostrazione i Nazionali si ritirassero, ma l'incendio del casino Bevilacqua avea già deciso gli animi. I Nazionali , comandati da Stocco, da lontano con gridi, fischi e segni di fazzoletti sfidavano la truppa, sicchè il Nunziante diede gli ordini per lo attacco che cominciò con due colpi di cannone a mitraglia. Il Bevilacqua co' suoi fu il primo a tirare sulla truppa facendone orribile strage ".
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__notizie tratte da "Cronache Risorgimentali di Antonio Serravalle " di Francesco Talamo,p.21,cap.Una pagina d'istoria del 1848 nella Calabria,p.21,Luigi Pellegrini Editore (Cosenza) maggio 2006

 

(f) Gaetano Boca. Nato a Vena di Maida nel 1820, mori a Nicastro nel 1896. Fu alunno ed amicissimo di Settembrini con il quale intrattenne una fitta corrispondenze epistolare. Nominato ufficiale della polizia borbonica nel Febbraio 1848 fu sempre mazziniano, cospiratore ed organizzatore della rivolta calabra; condusse gli italo - albanesi nel campo di Filadelfia e combatté all'Angitola nel 1848. Condannato a venticinque anni di ferri dopo essersi presentato volontariamente, fu relegato a Ventotene, per dieci anni, fino al 1859, dove conobbe Silvio Spaventa col quale ebbe pure rapporti epistolari. Rientrato in Patria a fine pena, collaborò con Felice Sacchi, Giovanni Maria Cataldi, Carlo Sanseverina e Andrea Cefaly in appoggio all'arrivo di Garibaldi. Capitano del II reggimento Cacciatori della Sila - Divisione Stocco, assieme al figlio Pietro luogotenente, partecipò alle battaglie del Volturno e di Caserta Vecchia e risulta dagli atti ufficiali essere stato a Napoli fino al Febbraio 1861. Aveva già partecipato col pittore Andrea Cefaly al II conflitto de Le Grazie il 27 Agosto 1860. Nel Febbraio 1861 fu delegato a portare a Garibaldi, a Napoli, i risultati elettorali del Nicastrese, per la proclamazione del Regno d'Italia. Dimessosi dall'esercito, gli fu di nuovo conferito dalla Prefettura della Calabria Ulteriore Seconda, in data I° Ottobre 1860, il comando della Guardia Nazionale Mobile col grado di capitano, carica che mantenne fino al 1867. Dal 1870 fino al 1875 rivesti il ruolo di Consigliere Provinciale del Comune di Maida e tra i suoi interventi, ci fu quello del finanziamento per la canalizzazione del torrente Piazza di Nicastro, dopo l'alluvione; quello della costruzione del monumento a Le Grazie ecc.

____Notizie tratte da "Il contributo lametino alla causa dell'Unità d'Italia" di Gaetano Boca,pubblicato su "Storicittà rivista d'altri tempi" p.9,annoVII,n°70, mese di agosto-sett.1998, Edito da Rodolfo Calfa dal 1992 al 2004 - dal 2005-2007 Massimo Iannicelli Editore - Lamezia Terme (Cz).

(g) Il Comitato di Catanzaro affidò al Tenente Griffo, già ufficiale dello Stato Maggiore nell'esercito napoletano, il comando del campo di Filadelfia. Ma il Griffo si dimostrò che non era il comandante adatto ad una truppa raccogliticcia.... Il campo di Filadelfia presentava lo spettacolo d'una vera Babele. Bella ed animosa la gente che lo componeva, ma era essa sotto la direzione di quattro o cinque individui, i quali avevano da sé stessi assunto il titolo e l'autorità di generali, mentre che nessuno di essi sapeva eseguire la «carica di dodici tempi». Questi gravissimi inconvenienti avrebbero potuto cessare sin dal primo istante, per opera o di Griffo o di Stocco. Griffo era il vero capo nominato dall'autorità legale ed avrebbe avuto il diritto di farsi ubbidire. Ma, sebbene vecchio militare, era egli di indole tanto debole che, essendosi lasciato sopraffare dal primo arrivato, rimaneva Comandante Superiore di nudo nome. Stocco, essendo stato, per la sua influenza personale, il vero ed unico autore della insurrezione nella provincia di Catanzaro, esercitava al campo un potere di fatto, illimitato ed incontrastabile. Egli avrebbe potuto dar forza all'autorità di Griffo, o, non avendo fiducia in lui, assumere egli stesso il comando in capo, che il Comando Superiore non avrebbe osato negargli, né contrastargli.«Ma Stocco era un uomo che alla modestia grande aggiungeva una bontà e una mitezza estrema. I volontari gli avevano dato tutti spontaneamente il nome di Generale (ciò che servì di motivo agli altri per assumere lo stesso titolo) e come tale lo rispettavano e lo ubbidivano,sebbene egli non usasse altro nome che quello di Comandante della Colonna di Nicastro, concessogli dal Comitato.

______Notizie tratte da E.Borrello, op.cit., cap. IX, "La rivoluzione calabrese del 1848",pp.176-177-178 ,II^ edizione 1998, Temesa Editrice- Roma.

(h) "Il combattimento dell'Angitola, che è il fatto solo meritevole di considerazione, avvenuto in Calabria, e che mostra quello che avrebbe potuto essere l'insurrezione calabrese,ove fosse stata diretta da veri uomini politici e rivoluzionari "

____(E.Borrello,op.cit.,p.180)
" Il più grave errore, il fondamentale, quello che minò ogni movimento rivoluzionario in Calabria, fu sempre l'assoluta impreparazione del ceto dirigente al governo d'una moltitudine,che, in ogni movimento politico, è sempre indisciplinata,quasi incosciente, ed ha bisogno del pugno di ferro, che si sappia imporre. Alla imprerazione politica va aggiunta,poi, la fatale ignoranza dei capi nell'arte bellica, alla quale ignoranza si dovette il paradossale errore,unico nella storia di tutte le guerre,dello scontro dell'Angitola, dove il vincitore abbandona il campo al vinto e sbandato nemico, e si ritira ad.......evitare vittorie"

____(E.Borrello,op.cit.,p.175)

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