Cronache Risorgimentali

Francesco Stocco (1)

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stoccodi Enrico Borrello

Nacque a Decollatura nell'anno 1806. Era l'anno in cui Napoleone, dichiarata decaduta la dinastia dei Borboni di Napoli, aveva ordinato al Massena di occuparne il regno, mentre i figli di Ferdinando II tentavano di sollevare la Calabria contro i Francesi.

Fu appunto Francesco, il principe ereditario di Casa Borbone, che, preregrinando per la nostra regione, fu ospitato dalla famiglia Stocco e, per ricambiare quella ospitalità, volle tenere a battesimo il neonato e lo insignì, in così tenera età, del titolo di Cavaliere di Malta.

Francesco Stocco ricevette la sua prima educazione in un collegio di Cosenza, dove i compagni, per la sua indole ardente e generosa, lo chiamavano «giacobino». Ancor giovane fu condotto dal padre a Napoli e a corte, di cui ebbe, così, agio di conoscere da vicino tutte le viltà, le corruzioni, i soprusi; e l'animo suo generoso ne fu così sgomento che egli, ricco, nobile, pur sapendo che il suo interesse, i suoi privilegi di nascita, lo chiamavano a stare cogli oppressori, volle invece parteggiare per gli oppressi. Ma la sua naturale fierezza non gli consentiva la pigra e stolta rassegnazione dei più, né la partecipazione alle sette, per quel loro carattere di mistero, per quella strana confusione che vi regnava tra l'eroismo e il delitto. Parlò, invece, e disse dei suoi sentimenti tra parenti e amici, che condividevano le sue idee, così apertamente che un bel giorno del 1847 fu imprigionato a Napoli insieme con due suoi congiunti: il barone Marsico e il barone Guzzolini. E fu l'ultimo a essere liberato.

Arrivò a Soveria insieme colla notizia del promulgato Statuto a Napoli. Ma non passarono che alcune settimane ed ecco i tragici avvenimenti del 15 maggio, quando a causa del conflitto tra Re e Camera dei Deputati, le vie di Napoli furono insanguinate, le case arse e i Deputati cacciati a viva forza dal palazzo di Monteoliveto. La Calabria freme di sdegno; sorgono a Cosenza, a Catanzaro, a Nicastro, i primi Comitati Rivoluzionari, che aprono i primi arruolamenti volontari per la causa della rivoluzione.

Nella provincia di Catanzaro il movimento rivoluzionario ebbe il centro nel distretto di Nicastro e per opera di Francesco Stocco che ne fu l'anima. Informato da Benedetto Musolino, che fu uno dei capi dell'infelice rivoluzione calabrese del '48, dello sbarco del Nunziante in Calabria, Francesco Stocco spicca ordine di adunata ai capitani dei vari municipi da lui dipendenti, e, in meno di dodici ore, riunisce intorno a sé più di tremila uomini: cifra altamente significativa ove si pensi che la Calabria tutta aveva messo in armi ottomila uomini. Stocco fu nominato Comandante della colonna di Nicastro, di cui facevano parte due compagnie della stessa città, una di Sambiase al comando del Capitano Giovanni Maria Cataldi e del Tenente Giovanni Nicotera, che, appena ventenne, faceva allora le prime armi nella rivoluzione, una di Settingiano, al comando dell'Angherà, anch'egli un prode capitano.

Gl'insorti della provincia si accamparono a Filadelfia, dove, purtroppo, l'inettitudine del capo, la scarsezza dei fondi e, quindi, degli approvvigionamenti, ingenerarono confusione, diserzione e scoraggiamento.

Poteva, anzi, doveva, Stocco, assumere egli stesso il comando del campo, dove, per la sua influenza personale, essendo stato il solo, il vero autore dell'insurrezione nella provincia di Catanzaro, esercitava un potere di fatto illimitato e incontrastabile.

Ma Stocco era uomo che, alla più grande modestia, aggiungeva una bontà di animo e una mitezza estrema. Volle rispettare l'autorità del Griffo, Comandante Superiore designato, e perché lo credeva più abile nell'arte militare, e per ossequio agli ordini del Comitato Rivoluzionario. E tale sua modestia forse finì col nuocere alla causa della rivoluzione.

Intanto il 27 giugno il Nunziante sbocca dal ponte sull'Angitola, per la via consolare. Stocco si precipita con 350 dei suoi a sbarrargli il passo: benché uno contro dieci, i prodi rivoluzionari contrastano il terreno palmo a palmo. Tre volte respinti, tre volte rinnovano la pugna: dal ponte sul Turrina al ponte delle Grazie, dal ponte delle Grazie alle pendici di Campolongo.

«Qui - è una relazione scritta per ordine del Nunziante - a Campolongo più accanita arse la pugna. Parecchi dei sollevati scesero a combattere fin sulla strada, dove incontrarono la morte, e fra questi il Mazzei e il Morelli, ricevitore di Catanzaro (e Federico de Nobili, aggiungiamo noi, eroico giovinetto appena diciannovenne). Vi fu sì fiero conflitto che taluni soldati si precipitarono a sinistra della consolare, cercando scampo verso le marine, altri, imitando il tristo esempio, si diedero a seguitarli trascinando seco loro i cavalli dello stato maggiore e quelli del generale».

Nell’episodio dell'imboscata al Nunziante, v’è da citare accanto a Stocco e a Giovanni Nicotera un altro prode nicastrese che merita speciale menzione nel fatto dell'Angitola: Guglielmo Nicotera, che, ricevitore distrettuale, aveva lasciato l'ufficio e si era portato al campo di Filadelfia da semplice volontario, rifiutando ogni grado. Dopo l'eroica resistenza dell'Angitola, Stocco, rimasto senza rinforzi, dovette ritirarsi e si ridusse a Nicastro, a difesa della sua città.

Poco dopo falliva completamente la rivoluzione calabrese e Francesco Stocco andava errando qua e là, per dodici lunghi mesi, cercato a morte dall'occhio vigile e vendicativo del Borbone e, finalmente, in una notte del giugno 1849, su una barca mercantile, che i venti contrari respingevano ostinatamente sul lido calabrese, Stocco, aiutato da fidi amici, riusciva a salpare da Pizzo. Dopo tre giorni di viva trepidazione, la barca poté alla fine toccare Malta.

Da Malta, nel 1850, Stocco si portò a Genova, quindi a Nizza e a Marsiglia e, infine, di nuovo a Genova, nel 1854.
Dopo Villafranca si riprende il disegno d'una rivoluzione nel Napoletano, che scacci definitivamente dall'Italia Borboni e Austriaci. Stocco si mette d'accordo con parecchi amici, spedisce un messo a Garibaldi e si concerta di sbarcare in Calabria: Miceli e Mauro, a Cosenza; Plutino, a Reggio; e Stocco, nella nostra provincia.
«Ma la campana della Gancia era già squillata e Palermo aveva rinnovato l'impresa sanguinosa dei Vespri». E partono i Mille per la leggendaria Spedizione, e Stocco con loro. Egli comanda la 3a Compagnia ed è uno dei sette Capitani che conducono le Camicie Rosse.

La vigilia della partenza arriva al lido ligure la notizia che la rivoluzione siciliana era stata domata, che Palermo aveva aperto le porte e che una sola città teneva ancora fermo: Marsala. La notizia arriva all'orecchio di Luigi Miceli, che volle tenerla celata anche allo stesso Garibaldi, ma non volendo assumere interamente una così grave responsabilità, se ne aperse con Stocco, che decise d'informare Garibaldi solo in alto mare. A Talamone, ragguagliato del vero stato delle cose, Garibaldi prese a discutere con Bixio sul luogo dove approdare. Stocco, che pur sarebbe stato orgoglioso di prender terra su un lido calabrese, sostenne che bisognava accorrere a Marsala, la sola città indicata come ancora in armi. E i Mille sbarcano a Marsala e a Calatafimi ingaggiano la prima battaglia. Stocco vi rimane ferito gravemente al braccio destro.

Viene intanto nominato Colonnello e, poco dopo, eccolo a Palermo prima, a Barcellona poi, impaziente di portarsi nella sua Calabria. E ci torna, infatti, sebbene ancora convalescente, da Generale. È un'altra volta sul ponte Turrina: vi aleggiano ancora le anime dei prodi caduti 12 anni prima, ed egli li vede tutti, Francesco Stocco, a uno a uno e parla con loro e si dice tornato per vendicarli.
«La notte del 28 agosto - è il nostro Fiorentino che parla - vidi la prima volta Stocco vicino del Calderaio. Aveva egli ancora il braccio fasciato e l'aria del volto sorridente, ma di sotto a quel riso mi parve balenasse alcun che di fatale. 112 mila uomini del Ghio erano a un chilometro lontani e noi udivamo il grido delle sentinelle nemiche. "Domani faremo i conti", ci disse il Generale, e risalì risoluto la brulla montagna. E il Ghio veniva disarmato a Soveria. Sulla colonna che a Soveria ricorda quel disarmo, Stocco non fece neppur menzionare il suo nome e noi tutti sappiamo quanta parte egli vi ebbe: quella colonna è un monumento alla modestia di Stocco, non meno che del valore dei Calabresi»

Il fatto di Soveria permette a Garibaldi la marcia trionfale su Napoli, mentre il Borbone si ritira sul Volturno, dove tenta l'ultimo sforzo. Garibaldi lo insegue e ingaggia la battaglia decisiva sulle rive del fiume. Ha al suo fianco Stocco, accorso a Napoli per mare, con un migliaio dei suoi prodi Calabresi: aveva dovuto sciogliere tutto il corpo dei volontari, per ragioni di economia, e aveva dovuto limitarsi a quel numero.

Sul Volturno, Stocco tiene ancora una volta alto il nome di Calabria, e con lui, il nostro Giovanni Nicotera, nominato Colonnello-Brigadiere da Garibaldi, che lo aveva da poco liberato dall'orrenda fossa di Favignana. Dopo il plebiscito che vota l'unione delle Due Sicilie al regno di Vittorio Emanuele, Stocco volle tenersi appartato dalla vita pubblica e rinunziò all'ufficio di Governatore di Catanzaro e al grado di Maggior Generale della brigata Aosta. Eletto deputato dai suoi concittadini, accettò l'incarico: non rieletto, non se ne crucciò. Rieletto ancora non accettò di rientrare alla Camera, sebbene vivamente sollecitato.

«Non credo che Francesco Stocco si sia mai fregiato di insegne cavalleresche, non qualificatosi dei titoli di nascita, non credo neppure abbia indossato spallini dorati: carattere risolutamente schivo di smaglianti apparenze. E tutto questo senza sforzo e senza affettazione: non disprezzava i titoli perché ne ambisse di maggiori, o perché preferisse librarsi sul volgo dei cittadini in solitaria altezza: non ci teneva, non ci badava; credeva che nella vita moderna ci fosse qualcosa che valesse meglio di uno splendido apparato».

Nullum par elogium!
E questa volta l'elogio è stato dettato da un altro grande della nostra terra: da Francesco Fiorentino.
E quanto denso d'insegnamenti!
A 74 anni, l'8 novembre 1880, Francesco Stocco chiudeva gli occhi per sempre. Di lui possiamo ancor dire che le ossa «fremono amor di Patria».


Nota
(1) Pubbl. sul «Giornale d'Italia» del 2-2-1943.
Nb: Francesco Stocco è tratto dal libro E.Borrello “Sambiase ,Storia della città e del suo territorio”, pp.333/337, Temesa Editrice 1988.
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