Cronache Risorgimentali

Il barone garibaldino Orazio Scalfaro da Sambiase (1827-1911)

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oscalfarodi Francesco Polopoli

[….] Orazio Scalfaro, nato a Sambiase il 1 dicembre 1827, e morto a Catanzaro il 30 aprile 1911, fu degno continuatore di una stirpe di eroi, Giovanni e Gaspare Scalfaro, militi della libertà risorgente e martiri calabresi del 1848. Marito e padre esemplare, gli fu dolce e impareggiabile sposa Luigia Gimigliano (1843 - 1912), dalla quale ebbe tredici figli che crebbero all'altezza delle nobili tradizioni della famiglia,brillando chi nel foro o nella magistratura (Giovanni, Salvatore e Saverio), chi nell'esercito (Emilio ed Ercole), chi nell’ambito scolastico (Gennarino).

Di loro, l’avv. Lorenzo Pucci diceva: Sono virtù vere, santificate tra le mura domestiche al tepore dei più intimi affetti, poi sgorgano all’aperto, nella vita donde poi sgorgano all’aperto, nella vita».
Orazio Scalfaro, figlio di un ardente carbonaro del 1820 fu tra i trecento che capitanati dal generale Francesco Stocco, il 27 giugno 1848 combatterono sui campi dell'Angitola contro tremila soldati condotti dal generale Nunziante, e dal ponte di Turrina al ponte delle Grazie e da qui alle pendici di Campolongo, contrastarono palmo a palmo il terreno, sostenendo una lotta titanica per undici ore.
Nel 1860 troviamo Orazio Scalfaro, insieme ai fratelli Achille, Gustavo e Raffaele, al Calderaio, ove cooperò al disarmo dei diecimila soldati borbonici a Sovena Mannelli. Fu in quel giorno memorando che Giuseppe Garibaldi telegrafò: «Dite al mondo che coi miei prodi calabresi feci abbassare le armi a diecimila soldati comandati dal generale Ghio.» Lo Scalfaro fu anche tra i combattenti alla battaglia del Volturno, « lì dove fu affiancato l'estremo sforzo del Borbone».

Sostituto avvocato dei poveri presso la Corte di Appello di Catanzaro nel 1862, fu nel 1877 pars magna della commissione istituita nel 1876 per lo studio degli emendamenti del Il libro del Codice penale: il lavoro della commissione fu apprezzato molto dal ministro del tempo Pasquale Stanislao Mancini, il quale con nota 26 ottobre 1877 ebbe ad esprimere tutta la sua compiacenza ed a farne le meritate lodi.
Nel 1892 fu nominato consigliere di Cassazione in Roma. e dieci anni dopo si ritirava con il titolo dì Primo Presidente di Corte di Appello.
Fu, tra l'altro estensore di quella plaudita sentenza che annullava decreti legge Pelloux, in seguito alla Camera dei Deputati nella memorabile seduta del 7 febbraio 1900 rovesciava il Ministro Pellox . Quella sentenza riscosse il plauso di tutta l’Italia e fece rifulgire l’indipendenza della Magistratura: Fiat justitia et perat mundus ( La giustizia è al di sopra di ogni cosa, e non vacilla innanzi alla politica, anche a costo di lasciar perire il mondo) Da Ferdinando II a Pelloux era trascorso oltre mezzo secolo: il cospiratore sotto i borboni era diventato magistrato del Regno d'Italia: l'uomo era rimasto lo stesso: fiero. integro, retto ed onesto.

Ecco quanto di lui e della sua famiglia si disse nella seduta consiliare di Sambiase il giorno della sua morte:

Deliberazione del Consiglio comunale di Sambiase
L'anno 1911 il giorno 30 del mese di maggio alle ore 9 nella solita sala delle adunanze consiliari. Previo esaurimento delle formalità prescritte dalla legge Com. e Prov. si è oggi riunito il Consiglio Comunale in sessione ordinaria di primavera con la presidenza del Sindaco Avv. Cerra Paolino. Sono, intervenuti i signori consiglieri: Falvo Avvocato Francesco, Rubino Cav. Francesco; Talarico Anselmo, Fiore Avv. Gaspare, D'Audino Giuseppe. Caputi Filippo, Cristaudo Luigi, Cerra Francesco, Agapito Notar Odoardo. Franz Avv. Luigi, Borrello Tommaso,Notarianni Pasquale, Maione Giuseppe, De Medici Pasquale. Risultato legale il numero degli intervenuti, il signor Presidente dichiara aperta la seduta coll'assistenza del signor De Rito Domenico. Il Presidente dà la parola al consigliere signor Franzì il quale pronunzia il seguente discorso: «Un illustre nostro concittadino, il Comm. Orazio Scalfaro è deceduto il 30 aprile u.s. in Catanzaro. Egli faceva parte di quella patriottica famiglia Scalfaro, che ebbe, a subire dal 1820 al 1860 feroce persecuzione dal governo borbonico ed ebbe disperso il suo vistoso patrimonio perché voleva l'unità d'Italia.

Lo stemma di questa nobile famiglia porta in campo azzurro un braccio armato, doro, tenente con la mano una spada, ed in campo d'oro un libro contornato da una corona di quercia e di alloro. Il significato è questo: valore in guerra, dottrina in pace. Ebbene tutti i componenti di questa famiglia si sono mostrati degni dello stemma che hanno il diritto di portare Giovanni Scalfaro, padre di Orazio, fu insigne giureconsulto civile. che brillò nella schiera eletta dei Larussa, Grimaldi padre, Pascali e Franco; fu uno dei più tenaci cospiratori calabresi; fu componente del Governo provvisorio, che si costituì in Catanzaro il 26 maggio 1848. Condannato a morte si salvò con la latitanza e, mentre attendeva un piroscafo che lo trasportasse ostile in terra straniera, colpito da febbre perniciosa, il l’8 settembre 1852 morì lontano dai suoi cari in Stalettì entro una stalla! Il suo cadavere fu trasportato in su di un carro coperto di fieno e, mentre amici ed ammiratori si erano uniti per onorare la salma, un ispettore di P.S., ordinò ai suoi birri che disperdessero le persone raccolte, vietando qualsiasi pompa funebre. Fratello di Giovanni fu Gaspare, illustre penalista e fervente patriota. Di lui si ricordano i memorabili proclami dettati in risposta a quelli del generale Nunziante venuto in Calabria nel 1848 per domare la insurrezione calabrese.

Fino a tanto che il soldato minaccioso calpesterà la nostra terra: fino a tanto che, in guerresco apparato pretenderà di percorrerla; fino a tanto che si vorrà tenere il linguaggio dell'agnello mostrando le zanne e le unghie del leone, le armi dei calabresi rimarranno ferme nelle loro mani; i loro petti, a prezzo della propria vita, manterranno quei sacri diritti, che solenni giuramenti guarentiscono con la forza; il sangue si pagherà col sangue, e la giustizia del Dio degli eserciti deciderà l'aspra tenzone fra gli spergiuri e gli oppressi. Francesco Fiorentino, il sommo filosofo, illustrazione della nostra terra, ricordando tale proclama, esclamava: Queste parole, o catanzaresi, furono scritte qui da Gaspare Scalfaro e sono la vostra gloria; la mano che le scrisse non tremava di certo. Tremonne e discolorossi il Nunziante: le truppe, onde era circondato, gli parvero poche ed altri aiuti chiese al Governo, che altri e prontamente ne inviava. [...]»

Chiesta ed ottenuta la parola, il consigliere sig. Francesco Cerra legge quanto appresso: «Colleghi, essendo stato delegato dal sig. Sindaco a rappresentare insieme all'assessore avv. Franzì questa amministrazione ai funerali dell'illustre nostro concittadino Comm. Orazio Scalfaro in Catanzaro, potei rilevare quale imponente tributo di affetto e di venerazione fu dato all'estinto colle onoranze funebri, rese veramente solenni per l'intervento di tutte le autorità e più ancora della cittadinanza accorsa tutta spontaneamente silenziosa e commossa ad offrire un fiore, a versare una lacrima sulla venerata salma, per la manifestazione sincera di compianto unanime e profondo. Rilevo oggi in consiglio che Sambiase deve andare superba di aver dato in una sola generazione alla Patria cittadini quali Giovanni Nicotera, Francesco Fiorentino, Orazio Scalfaro.

Rammento che Orazio Scalfaro fu fratello di latte di Giovanni Nicotera; l'uno e l'altro, come succhiarono lo stesso latte, così ebbero la stessa fierezza e nobiltà di carattere. II primo lacera in faccia ai giudici la sentenza di condanna a morte; l'altro a Ferdinando II, che lo incoraggia a firmare la domanda di grazia pel padre, risponde: Maestà, voi potete farmi tagliare la testa, ma io non firmerò mai una domanda di grazia!

Orazio Scalfaro, educato in famiglia ad una scuola d'eroismo e di martirio, continuò senza scoraggiamenti l'opera dei suoi gloriosi antenati, combattendo per la redenzione della patria ed allora, depose le armi quando vide l'Italia una, libera, indipendente. Deposto le armi indossò la toga del magistrato ed anche nel campo del diritto fu degno del padre e di suo zio Gaspare, ricordati fra i più insigni giureconsulti calabresi. Opinò pertanto che sia un dovere per questa città onorare la memoria del suo illustre e benemerito figlio. Propongo che sia approvato l’operato del Sindaco ed inoltre che sia inviato, a nome del Consiglio, un telegramma di profonde condoglianze alla vedova ed alla famiglia dell'estinto; che sia deliberata l'apposizione sulla facciata della casa, ove nacque l'illustre cittadino, di una lapide che ne ricordi i meriti e le virtù ad esempio per le future generazioni; che sia data comunicazione al Presidente del Consiglio Provinciale ed al Sindaco di Catanzaro della presente, deliberazione.»

Chiesta ed ottenuta la parola il consigliere sig. avvocato Fiore legge quanto appresso: «Mi associo, anche a nome degli amici, alla presente commemorazione, plaudendo alle nobili e sentite parole pronunziate dai colleghi Franzì e Cerra, giacché l'illustre defunto fu persona stimata e venerata da tutti, senza distinzione di parti, e la sua dipartita lascia in noi un amaro rimpianto. Di lui diciamo col Tacito: Finis vitae eius nobis luctuosus, amicis tristis extroneis etiam non sine cura fuit. Egli fu magistrato dotto e integerrimo. Seguendo le nobili tradizioni di sua famiglia e gli impulsi della sua coscienza onesta ed intemerata, serbò finché visse immacolata la toga! Fu persona di carattere, né mai piegò, né pencolò! E ciò è quel che forma il maggior vanto del magistrato. Plaudo poi alla proposta, e la fo mia, che qui nel palazzo Scalfaro sorga una lapide, la quale, ispirandosi non soltanto alle singole qualità e virtù dell'illustre estinto, ma ancora alle grandi e nobili tradizioni della famiglia additi alla posterità che in questa casa si educavano e tempravano le giovani menti con forti studi e si alimentava la fiamma dell'amor di patria, congiurando, in tempi difficili, contro la tirannide. Principii che diedero buon frutto, giacché la famiglia Scalfaro portò un gran contributo alla patria con la spada sui campi di battaglia nelle lotte par l'indipendenza ed unità d'Italia, e con la toga nelle non meno difficili lotte forensi per l’affermazione del diritto.»

Della stessa scuola di eroismo proviene anche il figlio del barone Orazio, Emilio Scalfaro (1871 - 1911) tenente di artiglieria, il quale dopo l'infausta battaglia di Abba Carima così scrisse allo zio il 5 marzo del 1896 in una lettera citata nella «Tribuna» del 31 marzo dello stesso anno: Caro Zio, coll'animo sanguinante ti scrivo. dopo la dolorosissima giornata in cui la fortuna abbandonò completamente il valore delle nostre armi. lo son salvo sebbene leggerissimamente colpito da una scheggia di granata. che all'inizio del combattimento venne a sfiorarmi il petto, lacerandomi un poco la pelle con pochissima perdita di sangue. Avrei però preferito mille volte rimanervi piuttosto che lasciare in mano nemica i nostri cannoni, che con tanta abnegazione eravamo riusciti a portare sul posto del combattimento ed adoprare con grande efficacia.

Degli ufficiali della mia batteria non era rimasto che io; i serventi quasi tutti feriti, molti morti, i muli decimati, le colonne nemiche irruenti, minaccianti a pochi passi dalla batteria. Al segnale della ritirata abbiamo fatto appena a tempo di portar via i cannoni infuocati ed avvolti nelle mantelline sulle spalle dei pochi feriti superstiti. Incalzati sempre dai cavalieri Galla, abbiamo scomposto e sfasciati gli otturatori, e, con le lacrime agli occhi e con lo strazio nel cuore. abbiamo seguito la ritirata sotto l'incessante e ben nutrito fuoco del nemico.
Non ti dico altro perché comprendi lo stato dell'animo mio, e mi manca la forza di proseguire.

Ti raccomando di rassicurare papà e mamma e, tutti quanti e non far cenno alcuno sulla mia ferita, che d'altronde è insignificante e può paragonarsi ad una semplice sassata.
Vogliami bene e con la ferma speranza di una prossima e terribile rivincita, ti abbraccio.
Affezionatissimo Emilio»

Nel rievocare il patriottismo di questa illustre famiglia di Sambiase, concludiamo con le parole dell'avv. Michele Bosso: «Un tempio dedicato alla patria può chiamarsi la casa Scalfaro, ove le varie generazioni son cresciute portando scolpito nel cuore: dulce et decortun est pro patria mori.»


Nota

NB: L'articolo è tratto da "Storicittà", (mensile illustrato diretto dall'Editore e Resp. M.Iannicelli),pag.4/8 anno VIII, n°83, Dicembre 1999,Tip. Stampa Sud - Lamezia Terme. E' severamente vietata la riproduzione salvo autorizzazione:Email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

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