Cronache Risorgimentali

Il patriota risorgimentale Giovanni Maria Cataldi da Sambiase

gmcataldidi Giovanni Maria Cataldi jr

Nel ricordare il contributo dei patrioti calabresi di Sambiase e Nicastro alla causa del Risorgimento Italiano, devo premettere che stranamente la storia ufficiale, mentre riporta con dovizia di particolari gli eroismi delle famose Cinque Giornate di Milano, delle Dieci Giornate di Brescia, della difesa di Venezia, è invece molto succinta nel riportare i moti rivoluzionari del Meridione, le condanne a morte, i ben ottantaquattro secoli di condanna comminati alla sola Calabria le persecuzioni, le confische dei beni inflitte ai patrioti.

Per cui se in tutti i testi di storia i giovani apprendono i nomi di Tito Speri, di Daniele Manin, di Pasquale Sottocorno, di Amatore Sciesa ecc., poco o nulla è dato loro sapere di Francesco Stocco, di Felice Sacchi, di Domenico Angherà, di Gaetano Boca, di Giovanni Maria Cataldi. Eppure il contributo di questi patrioti calabresi alla causa del Risorgimento italiano è stato non meno alto!
L'unico che si salva dall'oblio è Benedetto Musolino di Pizzo in virtù delle pagine che gli dedicò Luigi Settembrini nelle Ricordanze della mia vita . Mi spiace anche dover constatare che nelle pagine di Da Quarto al Volturno di Giuseppe Cesare Abba non si faccia alcuna menzione della colonna calabrese di Francesco Stocco che affiancò Garibaldi nell’imprese dei Mille(1).

Giovanni Maria Cataldi, mio nonno, nacque a Sambiase nel 1812. Fu nominato Sottocapo Urbano della polizia cittadina costituita da Gioacchino Murat, e successivamente nel marzo 1848 fu eletto comandante della Guardia Nazionale di Sambiase. Questo servizio di gendarmeria, istituito da Ferdinando II in funzione di polizia “per difendere costituzionale, la costituzione dei diritti in essa consacrati, mantenere l'obbedienza alle leggi, stabilire l'ordine e la pace pubblica, secondare le milizie di linea nella difesa delle frontiere, assicurare l’indipendenza e l’integrità del territorio nazionale”(2) rivestì una notevole importanza ai fini dei movimenti rivoluzionari, in quanto venne a rappresentare un'arma a doppio taglio per il governo borbonico.
Giovanni Maria Cataldi fu tra i primi a prendere parte alla preparazione dei moti rivoluzionari, insieme a Vincenzo Agapito, Francesco e Raffaele Paladino di Sambiase, Gregorio De Fazio di Platania, Pietro Spinelli di Falerna, Bruno Sacco di San Mango, Antonio Miceli di Gizzeria.

Fu proprio con il Miceli, il De Fazio e Francesco Paladino che Giovanni Maria Cataldi dopo i fatti di Napoli del 15 maggio 1848, riuscì con un ardito colpo di mano ad impossessarsi delle chiavi del telegrafo di Capo Suvero per metterlo al servizio dei patrioti.Questa sua impresa avrebbe aggravato notevolmente la condanna inflittagli successivamente dal governo borbonico nel 1852.

Nel giugno 1848 dopo lo sbarco del generale Nunziante a Pizzo, il Cataldi fu a capo della colonna dei volontari di Sambiase che fece parte della colonna Stocco del distretto di Nicastro e con la quale si portò al campo di Filadelfia, e successivamente fu presente alla battaglia de Le Grazie il 27 giugno.Quel giorno, scrive lo stesso Cataldi, “fu glorioso per atti di bravura, ma noti per le conseguenze, mentre poi si tradusse in disfatta irreparabile per cause e circostanze che il tacere è opera meritoria”.

Costretto all'esilio per ben quattro anni durante i quali riuscì ad eludere le ricerche della polizia borbonica, G.M. Cataldi, profondamente scosso da un grave lutto familiare (la morte del suocero barone Giovanni Scalfaro di Catanzaro, eminente patriota e compagno di molte battaglie) decideva di costituirsi al Procuratore Generale di Catanzaro il 12 ottobre 1852. II 22 dicembre dello stesso anno veniva condannato dalla Gran Corte Criminale della Calabria Ulteriore II «a venticinque anni di ferri ed alla malleveria di 100 ducati per i successivi anni tre, nonché le spese di giudizio». Giova ricordare che con lui furono condannati Francesco Paladino di Sambiase, Gregorio De Fazio di Platania, e Antonio Miceli di Gizzeria.

Nella motivazione della condanna, oltre all'episodio sopra accennato del colpo di mano al telegrafo di Capo Suvero, si ricordava anche il reato di rivolta armata al campo di Maida e anche il reato di rivolta armata al campo di Maida e Filadelfia: «Giovanni Maria Cataldi capitanò anzi uno dei più numerosi battaglioni che si portarono al campo di Maida e di Filadelfia e prese parte alla famosa deliberazione del campo di Maida del 10 giugno 1848, assieme a tutti gli altri capitani, voluta dal Capo della colonna del Nicastrese Francesco Stocco di Decollatura e che aveva in oggetto l'imposizione di una tassa forzata a tratti i proprietari del distretto di Nicastro, da somministrare poi alla bande armate che avevano lo scopo di distruggere e cambiare il governo; infatti il detto capitano Cataldi, assieme a De Fazio e Miceli, risultarono “firmatari di detta delibera”.

Così si esprimeva la Corte Criminale della Calabria Ulteriore II. La pena veniva successivamente commutata in otto anni di relegazione da espiare nell'isola di Ventotene ove Cataldi rimase sino al 1 luglio 1857, avendo fruito di altri tre anni di grazia.

Il 1° luglio fu condotto per ordine sovrano al Maschio di Ischia, ove fu liberato il 2 settembre 1857 e tradotto a Napoli a disposizione della polizia che lo lasciò finalmente libero il giorno 7 consentendogli di rientrare in Calabria.

Quando i Mille di Garibaldi sbarcarono in Sicilia, Giovanni Maria Cataldi fu uno dei coordinatori del distretto di Nicastro e Catanzaro insieme a Felice Sacchi, Guglielmo Nicotera e Scaramuzzino di Nícastro, Francesco Fiorentino e Scalfaro di Sambiase.

Inquadrato nella Divisione Stocco - II° reggimento nicastrese -, volle in tal occasione condurre con sé il figlio Carlo appena adolescente. Comandò, con grado di capitano, al Calderaio e da Soveria Mannelli a Caserta un grosso numero di forse del Nicastrese assieme a Paladino, D’Ippolito, Procida, Scalfaro ed altri. Fu per lui motivo di orgoglio e riconoscimento delle sue virtù patriottiche , essere presentato. in casa di Giovanni Nicotera a Napoli, a Giuseppe Mazzini con il figlio Carlo. Il Mazzini, vedendo quel piccolo garibaldino condotto dal proprio genitore, disse: “ Una Nazione, ove i padri offrono ai figli così strenui esempi, ha diritto di riconquistare la propria libertà!”

Di Giovanni Maria Cataldi vogliamo ricordare anche il commosso discorso che tenne a Nicastro nel 1883 per la morte di Giuseppe Garibaldi. In quella circostanza volle richiamare alla memoria dei nicastresi, oltre a Francesco Stocco, altri patrioti: Felice Sacchi, Antonio Renda, Ippolito e Giuseppe D'Ippolito, Giuseppe Colacino Primicerio, Antonio Presterà ecc. Ricordando ancora che le ossa dei patrioti e concittadini Colacino, Costanzo, Procida, Gallo, I. D'Ippolito, morti durante la prigionia, giacciono obliati a Ventotene.


Note

1. Come mette in evidenza anche Cesare Spellanzon nella già citata Storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, Vol. v°
2. Come si legge nel decreto emanato dallo stesso Re Ferdinando in data 13 Marzo 1848

Nb: L'articolo è tratto da "Storicittà", (mensile illustrato diretto dall'Editore e Resp. M.Iannicelli),pag.16-18 anno VII, n°73 Dicembre 1998,Tip. Stampa Sud - Lamezia Terme. E' severamente vietata la riproduzione salvo autorizzazione:Email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.