Testimomi del Tempo

Gianni Renda

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Gianni RendaLa testimonianza esemplare nel vissuto quotidiano di Gianni Renda
di Filippo D’Andrea

Introduzione

Gianni Renda nasce a Sambiase il 21 febbraio 1952. In famiglia, appena fanciullo, si delinea “piccolo Salomone”. Adolescente frequente la comunità parrocchiale dei Padri Minimi, da giovane l’Azione Cattolica, e si laurea in giurisprudenza a Roma il 1974. I suoi impegni: delegato diocesano dell’A.C. (1975-1981), presidente della Fraternità del Terz’Ordine dei Minimi (1978-1980), le A.C.L.I.; eletto consigliere della provincia di Catanzaro nel 1980; presidente della F.I.M.P.A. (Fiera di san Biagio a Lamezia Terme Sambiase); presidente dell’I.S.E.F. di Catanzaro; promuove centri culturali, non abbandona mai il suo servizio catechistico nella sua parrocchia.

Sposa Francesca Cirillo il 3 luglio 1982, e dopo alcuni mesi si ammala gravemente e l’1 dicembre 1983, a soli 31 anni, è chiamato dal Padre celeste. Cristiano entusiasta, impegnatissimo e da tutti amatissimo. Splendente e sofferto esempio dal quale traspaiono tracce di santità. Il meraviglio che si irradia dalla sua breve esistenza è il profilo positivo di una cultura e di un modo di vivere del nostro popolo. In lui, in maniera coinvolgente, l’entusiasmo e il sorriso di Gesù mediati e informati dall’identità calabrese.La parola “santità” significa “allontanamento violento” oltre che “separare” e “mettere da parte”. Dio ha allontanato violentemente Gianni Renda dalla sua vita terrena e dalla nostra, lo ha separato dalla sua dimensione umana. Lo ha messo sotto la sua luce perché lo vedessimo nella sua pienezza, nel suo essere stato ed essere dono per l’elevazione della nostra storia cristiana ed umana. La santità è soprattutto una via di attuazione di Dio, non è solo traguardo della fatica della persona. Il testimone delle spirito è certamente anche la storia possibile del superamento dei confini umani, conversione/redenzione della nostra realtà negativa. “Il santo è uno di noi”(1) che fà da battistrada al nostro cammino di santità.

Modello per i giovani calabresi
Gianni nel periodo tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ‘ 70 come tantissimi adolescenti ascoltava musica moderna ed a quei tempi soprattutto le canzoni di Fabrizio De Andrè, i Nomadi, Bob Dylan. Le canzoni che rimasero tra le fonti di formazione furono “Dio è morto” , “Auschwitz”, “Spiritual”, “Blowing in the wind” ed altre. Nel mondo cattolico giovanile si aggiungevano i canti di Giombini che introdussero melodie e ritmi moderni nella liturgia. “Dio del cielo se mi vorrai amare scendi dalle stelle e vienimi a cercare”, come cantava Fabrizio De Andrè in “Spiritual”, rappresentava la richiesta di un Dio presente nel vissuto quotidiano dell’uomo concreto. “Dio del cielo se mi vorrai in mezzo agli altri uomini mi troverai”. La relazionalità come luogo privilegiato della testimonianza cristiana, in cui Dio Padre si deve cercare e si trova. E Gianni viveva la relazione umana alla massima esponenza, con i suoi pari, con gli anziani (per loro “Giannuzzu”), con i disabili (l’affetto intenso con Vincenzo detto “u presidenti” è sintomatico). In questo trasparente senso fraterno si coglieva il Gesù della comunità umana e lo Spirito della comunione trinitaria.
“Quante strade che un uomo farà e quando fermarsi potrà”, che cantava negli States Bob Dylan, apriva la santa messa ed esprimeva la corsa senza sosta di Gianni nel servizio instancabile agli altri. Non c’erano orari nella sua giornata, tempi morti, momenti di pausa, era una continua donazione di sé in tutte le situazioni. La sua quotidianità era una parola evangelica di oblazione piena senza riposo, quasi da interpretare “l’uomo non ha dove posare il capo” in significati diversi legati alla carità/disponibilità totale verso chi chiede attenzione e aiuto.
Gianni sapeva, anche, come cantavano i Nomadi, che era “venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità; le fedi fatte di abitudine e paure; una politica che è solo far carriera; il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto”. E’ un “Dio che è morto” in queste realtà. Gli “odi di partito” erano fuori dalla sua dimensione e concezione della politica. E sapeva che “ se Dio muore è per tre giorni e poi risorge” in una “generazione preparata ad un mondo nuovo, a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano”. Egli aveva la consapevolezza di rappresentare un entusiasmo giovanile in quanto tale, anche frutto della contestazione studentesca del ’68 con un patrimonio storico già in corso di discernimento nel suo profilo cristiano, grazie soprattutto agli approfondimenti costanti della rivoluzione/conversione cristiano-ecclesiale del Concilio ecumenico Vaticano II.
Questo discernimento si volgeva continuamente nelle aule della parrocchia di san Francesco con padre Luigi Allevato e padre Franco Carbonaro, di Dipodi e dell’Azione Cattolica con don Armando Augello. Di padre Luigi (nel 2004 si commemoreranno i 30 anni dalla morte) conservo ancora una dispensa ciclostilata delle sue catechesi a noi giovani, e una raccolta di spartiti musicali (suonava con allegria la fisarmonica) che mi lasciò in eredità affettiva prima di partire per il Brasile. Invece, di padre Franco Carbonaro custodisco gelosamente una edizione del Concilio Vaticano II che mi regalò con la sua dedica “Con affetto perché la lettura e la meditazione dei documenti conciliari ti faccia comprendere la tua grande dignità di cristiano” datata 10 febbraio 1974. Appena cinque anni dopo il ’68 e cinque giorni prima del compimento dei miei diciotto anni.
Gianni ed io insieme a tanti altri giovani respiravamo questo clima di radicale cambiamento, in un’aria culturale di grandi sogni, di orizzonti aperti a speranze travolgenti le nostre esistenze trascinate in un progetto scritto dai segni dei tempi e da una sete di vita significativa e significante per la storia piccola e grande dei nostri percorsi di esistenza quotidiana. E cantavamo “E’ la mia strada, Signor, che porta a Te” e “mio fratello che viene con me”, “la mia gente viene con me sulla mia strada, Signor, che porta a Te”. Un gospel intitolato “E’ la mia strada”, che faceva rima teologica con Kumbaya (Vieni qui, Signor), il quale diceva: “vieni qui Signor “dove “c’è chi prega”, “chi lavora”, “chi lotta”, “chi ama”, “chi soffre”, ma in fondo sappiamo che “Tu sei qui”.
Come non ricordare tutte le volte che, al campo estivo di San Bernardo di Decollatura, prima di dormire mi chiedeva di prendere la chitarra per intonare insieme qualche brano.
Canti e canzoni che marcavano indelebilmente le nostre coscienze, disegnavano i nostri sogni con colori vivaci e chiari, le nostre aspirazioni e poi rivelatisi bagaglio insostituibile delle nostre strade future.

Per una identità calabrese della laicità cristiana
Gianni si poneva nella centralità di relazione tra gli uomini del bisogno, sicuro di incrociare Dio nel Gesù dell’uomo concreto che orienta al Cristo della resurrezione della carne risanata. Ed in questo senso egli era tutto di tutti, e si offriva a tutti come finestra aperta al Cielo.
Mons. Vincenzo Rimedio, vescovo di Lamezia Terme, afferma che “coniugava fede e ansia di redenzione del riscatto di quanti vivono ai margini della società”(2).
“Era un uomo di studio, di ricerca di nuove vie, di presenza di frontiera nei settori più esposti quali quello culturale, sociale e politico e sempre sul fondamento della Parola e della Liturgia, della preghiera e dell’amore alla Chiesa e ad ogni uomo”, asserisce mons. Armando Augello, suo padre spirituale(3).
Aveva un straordinaria capacità di cogliere l’unitarietà, il particolare nel globale ed il globale nel particolare, le possibili integrazioni, complementarietà. Di conseguenza era testimone evangelico del “comporre, unire, mediare, relazionare, valorizzare, dialogare, salvare, gioire”(4). Su questo punto ha molto appreso da quell’uomo della riconciliazione che fu san Francesco di Paola(5).
Contemplava la figura dell’Asceta sociale come modello del suo agire nella società(6). La spiritualità penitenziale è spiritualità di offerta, di impegno faticoso di esserci con e nell’altro, con-vivere col cuore del disagio, spiritualità di tensione ideale ai valori(7).
Gianni incarnava la “vera spiritualità laicale”, quella che non arriva da cristiano “dopo”, “giustapponendo”, creando “parallelismo”, solo “integrando”, o solo “riparando”, o solo “consolando”, o solo “rallegrando”, solo “creandosi spazi, tra spartizioni e compromessi di sorta o convenire tattico”(8). Egli si offriva nella verità di sé con semplicità ed intelligenza, ricercando, cogliendo e tessendo reti di edificazione, rispettando tutti, valorizzando tutto in un progetto armonico. Si può ben dire che Gianni è stato l’uomo di tutti, nel senso che si è sintonizzato sulle onde dei valori, dentro i cammini di gioia o di sofferenza. Concretezza, serietà, coerenza etica di fondo, generosità sono “segni dell’uomo del Sud”(9) che disegnano la laicità calabrese in un orizzonte evangelico. Gianni diceva: “il nostro posto è lì tra la gente, nei problemi, nella vita e non nell’astrazione”(10).
Quell’essere dentro i problemi e tra le gente con generosità, ricalca gli insegnamenti sociali del Santo Paolano ed è emblematico l’episodio degli stivaletti nuovi che mi raccontò la madre quando a quattro o cinque anni “Gianni ricevette dallo zio Giovanni in regalo un paio di stivaletti. Ma un bambino poverello, chiamato “Vicinziallu” che ogni tanto veniva a chiedere qualcosa da mangiare, arrivò a casa dei Renda scalzo. Era inverno e Gianni vedendolo si impietosì e andò a prendergli gli stivaletti nuovi appena ricevuti, dono lasciando il bambino esterefatto”(11).

Il servizio della politica in Gianni Renda
Gianni intendeva la politica come servizio e dono, “luogo in cui vi è maggiore opportunità di dono, sia in senso quantitativo che qualitativo”(12). Mirava alla collaborazione politica costante senza il vincolo rigido degli schemi ideologici ma basata su “impegni precisi, seri, concreti per la risoluzione di vecchi e nuovi problemi” e aperta al coinvolgimento di “quanti potessero concorrere, sia pure con apporti diversi, alla gestione della cosa pubblica”(13).
Diceva in un campo dell’Azione Cattolica: “Per fortuna l’epoca della contrapposizione a tutti i costi volge alla fine e si affaccia alla ribalta l’esigenza di progettare insieme ad altri uomini e altre idee una società alternativa”(14). Rilevava nello stesso campo alcuni aspetti negativi su questo punto. “Manca la solidarietà, la coscienza che la collettività va avanti solo se siamo uniti e se procediamo insieme e non isolati gli uni gli altri. Così la politica non deve generare contrapposizioni ma confronto di idee e su progetti di azioni”(15).
Gianni visse un certo isolamento nella comunità ecclesiale dal momento che entrò nell’agone politico senza tradire o allentare la tensione etica specifica del cattolico laico. Sicuramente la scelta partitica non di matrice cattolica influenzò ma non nella misura che si possa pensare. L’allontanamento dei cattolici impegnati e degli ambienti religiosi fu, penso, soprattutto perché si era vincolati a sistemi clientelari oppure si cercava sempre e comunque il potere reale che garantisse risposte concrete a richieste di favori e privilegi. Con Gianni sarebbero venuti allo scoperto le logiche traditrice della dottrina sociale della Chiesa praticate nascostamente da “laici cristiani” che ostentano trasparenza morale e sbandierano ipocritamente rigida ortodossia dottrinale. Giuda esiste tuttora nella chiesa di Cristo che va alla ricerca di pretesti formali in cambio di trenta danari per perseguire interessi inconfessabili. Mentre sono da rispettare i cattolici che dissentivano dalle scelte di partito di Gianni (tra i quali c’era anche lo scrivente) e che si sono trovati con problemi seri di coerenza tra il sostegno elettorale a una persona di indiscutibile trasparenza cristiana e la cultura dominante del partito di riferimento.
E certamente “Gianni fece il suo cammino, lo fece da solo, non cercò appoggi dalla chiesa, (…) per la sua carriera politica”(16). Diceva spesso: “i politici, li critichiamo ma diamo loro il voto; sono mangioni o ladri ma siamo noi a dare la tangente o il segno perché speriamo che possano impiegarci un fratello, un figlio o un amico. A questo livello dobbiamo avere il coraggio di portare ciò che di originale possediamo: cioè, prima di tutto, che dobbiamo impegnarci in tutti i sensi a far sì che ognuno sia preparato, faccia il proprio dovere, si sacrifichi: che ognuno ha propria testa e una personalità da salvaguardare che non si vendono a nessuno e per nessuna ragione: non si può servire a Dio e al diavolo”(17). Ed ancora più a fondo: Dobbiamo essere pronti a vivere e ad appartenere al popolo: essere totalmente degli altri nella vita di ogni giorno. Senza distinguere nei nostri comportamenti e nelle nostre azioni tra vita di fede e vita nel sociale e nel politico; … abbiamo il dovere di impegnarci per la realizzazione e la costruzione del regno di Dio sin da questo momento, nel mondo”(18).
La politica deve essere “guida per la comunità”, deve avere la “capacità di indicare … un progetto, … una prospettiva di miglioramento”, … ricerca il consenso sulla capacità e l’azione nella soluzione dei problemi della comunità governata”(19).
Era Gianni un credente tutto d’un pezzo con un forte senso di Dio, con la coscienza di dover essere uomini nuovi, una novità che proviene dal Vangelo. “Ecco – affermava Gianni - perché è urgente il nostro lavoro, il nostro essere uomini nuovi, poiché questo è da Dio. Si impone, in una parola, che noi cristiani, animati e sospinti dalla fede smettiamo di discutere, di fare progetti e diventiamo veramente impazienti di realizzare la promozione integrale dell’uomo, Non sarà impossibile realizzare questo compito se saremo confortati dalla preghiera a Dio Padre, se saremo fortificati dalla partecipazione al sacrificio eucaristico, se saremo alimentati dalla parola di Dio e della Chiesa”(20).
Era un “politico scomodo”. Egli non conosceva ragioni di partito, sottomissioni a logiche immorali o amorali, posizioni di parte su questioni giuste. La sua linearità testimoniale nei confronti del suo credo religioso lo poneva al di sopra di qualunque scorretta, strumentale o contorta interpretazione del suo dire e fare. E questo lo rendeva stimatissimo anche tra gli avversari di partito ma non altrettanto da avversari nel partito che vedevano crescere a pari passo la sua personalità e la sua statura politica che prefiguravano minacciante ruoli, spazi, poteri individuali acquisiti o ambiti.
Un episodio narrato da un suo avversario politico è emblematico. “Ricordo un episodio di una campagna elettorale amministrativa in una frazione dell’ex Comune di Sambiase (adesso è comune di Lamezia Terme insieme agli ex comuni di Nicastro e Sant’Eufemia), quando (…) ci incontrammo, durante l’attività di caseggiato, sulla soglia di casa di un comune amico: io stavo per uscire e lui per entrare, ci guardammo negli occhi e cogliemmo la preoccupazione che ci accomunava di poter, con la nostra contemporanea presenza, provocare un disagio al nostro amico. Erano i tempi in cui le posizioni erano radicalizzate e si instaurava sovente la cultura della contrapposizione personale che alimentava lo scontro e precludeva il confronto, soprattutto all’interno delle piccole comunità. Togliemmo dall’imbarazzo il nostro amico facendolo partecipe dei nostri ricordi: la Scuola Media, il comune amore per il calcio, gli aneddoti legati alle vicende della nostra infanzia, l’ansia comune per un mondo migliore in cui potersi incontrare in ragione di ciò che unisce e non divide. Trascorremmo, insieme ai compagni e agli amici che ci ascoltavano, un momento di straordinario incontro, riuscendo a tradurre in comunicazione una occasione di potenziale conflitto: ci congedammo felici di avere in quel modo costruito non un impegno di voto per l’uno a discapito dell’altro, ma uno spazio di comunicazione per costruirvi il luogo della convivenza”(21).
Gianni entrò nella politica attiva col desiderio di “servire la verità”(22). Egli “avvertiva quella sorta di diabolicità fra la verità e la maschera, tra la complessità dei problemi reali e la finzione con la quale si intendeva far credere che la soluzione fosse facile e possibile”(23). Intendeva la verità come “battaglia politica …innestata sulla fede, sulla testimonianza dei figli della Chiesa, sull’invito evangelico a continuare l’opera creatrice di Dio”(24).
“Il politico ogni giorno dovrebbe stare come il pastore sta con il suo gregge” , affermò ad un suo amico in politica mentre faceva casa per casa la campagna elettorale. E confessò: “ e così farò io se sarò eletto: cercherò sempre di stare vicino alla mia gente per non deluderla e per non farla calpestare da tutte le promesse mancate”(25).
A Lamezia si sta riprendendo il progetto di istituire la provincia. Un comitato per la provincia sta raccogliendo le firme per un referendum tra la popolazione. In effetti questa aspirazione si è alternata con alcuni rigurgiti di una mentalità atavica e scontenta che vorrebbe ritornare alla separazione dei tre ex comuni, Sambiase, Nicastro e Sant’Eufemia in quanto ritiene che l’unione, la fondazione della città unita di Lamezia abbia danneggiato Sambiase e sant’Eufemia rendendoli subalterni a Nicastro da tutti i punti di vista. Mentre Gianni era in politica ci fu un movimento per la scissione, ed egli intervenne con coraggio, e proprio da sambiasino, o meglio da ex sambiasino. Non approfittò elettoralisticamente per cavalcare il malcontento ma espresse da uomo libero il suo parere fondato su valori di comunione civile, oggi diremmo di federalismo solidale. “Lamezia non è nata per annullare ma per dare forza a tutto questo (diversità di “mentalità, modi di vivere e cultura” tra i tre centri), creando una forte realtà territoriale con prospettive di un ruolo di successo per il comprensorio e nella regione. Per cui di Lamezia non si può fare a meno”(26).

La quotidianità spirituale del lavoro
In una riflessione su preghiera e lavoro Gianni disse: “L’uomo è creatura fatta apposta per l’assoluto e per un modo a immagine di Dio… Il vero equilibrio nel rapporto dell’uomo con Dio sta nel sapere aprire il proprio cuore e la propria mente all’infinito e al finito. L’uomo prolunga l’agire del Creatore rendendosi persona che imprime nella natura il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà: offrendo a Dio la propria attività, l’uomo si associa all’opera redentiva di Cristo, il quale ha conferito ad esso alta dignità lavorando con le proprie mani…Cristo dà destinazione universale all’opera dell’uomo, chiedendo ad esso di essere imitatore di Dio”(27). Gianni “imposta la sua vita come un atto eterno e infinito di lode al Padre: niente di ciò che compie è al di fuori del rapporto col Padre” sintetizza mons. Armando Augello(28).
“Gianni farà la fame!” – ripeteva spesso suo padre, che lo ha preceduto un anno esatto nel regno dei cieli e per la stessa malattia. Si riferiva alla misera parcella che chiedeva, quando la chiedeva, per il suo lavoro di legale. Quante volte i suoi clienti stupiti esclamavano: Avvocà, e così poco!?”. Sono tantissime le persone indigenti che sono state consolate dalla gratuità e dal puntuale servizio professionale altamente competente dell’avvocato Gianni Renda.
Non si può nascondere che con il lavoro egli sia stato vicinissimo ai poveri, ai problemi ed alle ingiustizie subite dai deboli, condividendo concretamente i disagi, privandosi del giusto onorario e facendo tirare un respiro di sollievo inaspettato a chi gli chiedeva aiuto nella disgrazia giudiziaria, sistema giudiziario non raramente pesante con i deboli e leggero con i potenti.
Gianni col suo lavoro si poneva nello sguardo dei “poveri cristi” come il Cristo dei poveri.

Conclusione: un testamento spirituale di laicità cristiana
Gianni lasciò tra le lettere inviate alla moglie, allora fidanzata, Francesca un vero e proprio testamento spirituale di laicità cristiana che lei sistemò per la sua testimonianza scritta nel volume che raccoglie le testimonianze di amici e parenti curate dall’autore del presente intervento(29). Se ne riportano alcuni brani.
“Sacrificati più che puoi, anche se non riceverai nessuna ricompensa tangibile e immediata. La ricompensa vera consiste nella contentezza di aver fatto il proprio dovere e di aver svolto il proprio compito, tu sai benissimo che la vita, quella vera non è fatta di gioie, ma di sforzi, di dispiaceri e di impegno continuo in tutti i campi e in ogni momento e poi a pensarci bene è meglio così, affronterai la vita guardando in faccia la realtà, non ti farai illusioni saprai reagire a sufficienza alle molteplici situazioni spiacevoli che si presenteranno. Vai avanti con coraggio e determinazione , cosciente del tuo compito senza demoralizzarti, se ti dovesse succedere sappiti rivolgere a Cristo che ti è sempre vicino, pronto a darti una mano basta che lo chiami, affidati alla volontà di Dio.
Sì, noi soffriamo, ma perché ragioniamo secondo gli uomini, e non secondo Dio. (…) noi viviamo in esse (le cose) per formarci e guadagnarci un altro stato, un’altra vita. Noi siamo gli autori della nostra vita ma nel contempo siamo immersi in un piano divino di cui non conosciamo i limiti, di cui non sappiamo nulla. E’ un mistero ma grande e bello, se ci sforziamo di penetrare nelle sue maglie anche un poco, ci sentiremo rinati, percepiremo le bellezze anche se sofferte, di vivere secondo la volontà del Signore.
(…) Il progetto di uomo che Dio ci chiede di effettuare è di vivere intensamente il presente, nelle difficoltà quotidiane, di svolgere il nostro ruolo sul luogo e con le condizioni contingenti, questo significa essere disposti a fare la volontà di Dio, non accettare supinamente le cose, ma lottare perché esse migliorino, se arriviamo io, tu, gli altri a capire ciò, se capiamo che questa è la logica di Dio allora potremo dire di essere uomini impegnati, uomini che lavorano per il miglioramento della vita”(30).
Un suo allievo di catechismo e poi collaboratore nell’azione cattolica (attualmente docente all’Università di Reggio Calabria) disse al convegno di presentazione del volume su Gianni: “Una testimonianza che io definirei profetica perché in un frangente storico con drammatiche difficoltà e violenze sociali anche locali, oggi inimmaginabili, ha saputo vivere ed identificare la pienezza dell’essere uomo con l’essere cristiano”(31).
Gianni ha arricchito quel “grande patrimonio che è la teologia vissuta dei santi” impastata dalla straordinaria e particolare luce donata dallo Spirito santo in “quegli stati terribili di prova”, “notte oscura” in cui Gianni ha “vissuto qualcosa di simile all’esperienza di Gesù sulla Croce nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore”(32). Una beatitudine dolente e drammatica che gli ha aperto nella totale purezza di uomo di questa terra e di questo tempo la indiscutibile luce del Cielo.


Note

 

1. Domenico Graziani , Educazione del popolo alla lettura della “microstoria”. Il Santo è “uno di noi”, in Segreteria del Consiglio Pastorale dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace, Concetta Lombardo.Un “segno” per i giovani oggi, Dehoniane, Napoli 1983, pp. 25-32.
2. Vincenzo Rimedio (Vescovo di Lamezia Terme), In ricordo di Gianni Renda, in Filippo D’Andrea (a cura di), Un credente testimone nel quotidiano. Gianni Renda, Diocesi di Lamezia Terme – Commissione “Giustizia e Pace”, Lamezia Terme 1998, p. 17. D’ora in poi questo volune viene citato con la sigla: GR.
3. Armando Augello, Gianni nel rapporto “Chiesa – mondo”, in GR, p. 55
4. Ibidem, p. 59.
5. Filippo D’Andrea, Francesco di Paola. Asceta sociale, Istituto Teologico s. Tommaso, Messina 1994.
6. Armando Augello, Op.cit., p. 14-15.
7. Giuseppe Morosini, Testimonianza su Gianni Renda, in GR, p. 81 e segg.
8. Armando Augello, Op. cit.. p. 62.
9. Antonio Palmieri, Testimonianza su Gianni Renda, in GR, p. 91.
10. Ibidem, p. 90.
11. Filippo D’Andrea, Guai a me se non evangelizzassi!, in GR, p. 71.
12. Antonio Palmieri, Op. cit., p. 99.
13. Ibidem.
14. Ibidem, p. 100.
15. Ibidem.
16. Giuseppe Morosini, Op. cit., p. 89.
17. Antonio Palmieri, Op. cit., p. 94.
18. Ibidem.
19. Ibidem.
20. Ibidem, p. 102.
21. Fiore Isabella, Il mio incontro con Gianni, in GR, pp. 79-80.
22. Giuseppe Morosini, Op. cit., p. 89.
23. Antonio Palmieri, Op. cit., p. 101.
24. Ibidem, p. 91-92.
25. Armando Zaffina, Testimonianza su Gianni Renda, in GR, p. 51.
26. Antonio Palmieri, Op. cit., p. 93.
27. Armando Augello, Op. cit., p. 60.
28. Ibidem, p. 61.
29. Si tratta del nostro volume: GR.
30. Francesca Cirillo, Testimoniamza su Gianni Renda, in GR, pp. 29-31.
31. Domenico Enrico Massimo, Introduzione al Convegno di presentazione del volume “Un credente testimone del quotidiano. Gianni Renda, svoltosi il 29 dicembre 1998 al Santuario di Dipodi Feroleto Antico (CZ), dattiloscritto, p. 2.
32. Giovanni Paolo II, Lettera apostolica al termine del Grande Giubileo dell’Anno 2000 Novo Millennio Inuente, n. 27.

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