tradizioni

La vendemmia a Sambiase

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La vendemmia a Sambiase di Enrico Borrello

Una volta la vendemmia cominciava nella ricorrenza della festività della “ Madonna di Portosalvo”,cioè, il 10-12 settembre . La prima uva ad essere raccolta era quella bianca , seguiva quella nera. Con i primi di settembre incominciavano a spuntare i primi carri con i tini, da 5- 6 quintali; mentre il Comune si affretta a fare spargere lungo il Corso Vittorio Emanuele,Piazza Fiorentino a Piazza Diaz, il ghiaiolino, perché le bestie stracariche non potevano sdrucciolare sul nudo porfido.

Per le altre vie dell'abitato, c'era uno scorrere di acqua sporca dai palmenti lavati con scope dì lentisco (scieno); uno stendere al sole di tavole ammuffite e rossastre di feccia; uno sciacquio di botti, un rimbombo continuo di cerchi ricalcati sulle doghe; un odor caratteristico di locali chiusi.

E il lunedì successivo (era usanza iniziare la vendemmia col lunedì della nuova settimana) il primo gruppo di lavoratrici era proveniva dalle vicine contrade montane del luogo. Costoro dopo l'accordo sul pagamento s'incamminavano con la moglie del proprietario verso il vigneto.
Per la strada, ( oggi diremmo la Statale 18 che costeggia le coste del mar Tirreno in Calabria) principale di tutta la Piana di S.Eufemia Lamezia che da l'accesso alle varie proprietà terriere del "Carrà alla Marina, da S. Sidero al Piscirò" , ecc. ecc..si poteva assistere ad una una lunga fila di carri trainati dai buoi con sopra una inverosimile montagna di fieno, di paglia, di "curine" di granturco che si dirigevano verso Sambiase.

Costoro provenivano dai paesi dell'entroterra del vibonese come Piscopio, Filandari, S. Gregorio.,Vena di Maida, S. Procopio, in fila indiana, con la lanterna penzolante dal mozzo delle ruote. Le bestie avevano la schiuma in bocca. I magazzini dei proprietari di Sambiase venivano adibiti a dormitorio con ciacigli di paglia, fieno e foglie di granturco per i bovari, e a depositi di mangime per gli animali.

Dalla stazione ferroviaria del paese si riversavano gruppi di donne e di ragazzi e ragazze di tutte le età,portando a tracolla un vecchio tascapane, con dentro tutto l’occorrente per la permanenza.

Arrivano in Piazza Fiorentino e si fermano lì. Quello era il luogo di... ingaggio alla mattina. Si siedevano intorno alla gradinata del monumento ( di Francesco Fiorentino) mangiucchiando qualche pezzo di pane col companatico fatto da qualche sarda salata o qualche fettina di mortadella o peperone arrosto. Lì passavano anche la notte , all'addiaccio, sulla nuda pietra, a tenere compagnia alla statua del filosofo.

La Sagra della vendemmia era intanto nel suo pieno fulgore in Sambiase, centro di maggior produzione della Calabria, sia per qualità che per qualità specie per i vini da "taglio" . Tutta la produzione della Piana di S.Eufemia Lamezia, di 200 mila ettolitri, almeno la metà apparteneva ai piccoli e grandi produttori di Sambiase. Lunga è la Sagra, e lungo è il sacrificio di tutti. Non c’era più né giorno, né notte: si mangiava quando si poteva, e si dormiva quando e dove sera possibile. Si dormiva anche sui luoghi di lavoro come al palmento, con il mosto in fermentazione ma con la porta aperta.

All'alba, si muovevano i carri e carretti trainati da buoi e da asini , uno spettacolo da esodo biblico, sulla nazionale per S. Eufemia Lamezia. Dopo qualche ora, la colonna si snodava in senso inverso verso Sambiase, coi carri pieni d uva e i ragazzini che vi si arrampicavano per rubacchiare quà e là qualche grappolo d'uva. Innanzi al finestrino dei palmenti, l'uva vieniva scaricata dai "palmentari", tutti imbrattati di mosto, e a piedi scalzi, perché ancora in buona parte " i palmintari " la pigiatura la facevano a piedi nudi! Un lavoro faticosissimo, allietato dal pranzetto ( che era al solito patate fritte con baccalà ed olive nere) che gl'interessati erano tenuti a offrire agli operai, quando il mosto si metteva a fermentare. Si pestava l 'uva e si diraspava, mentre il succo dolcissimo scendeva nella vasca sottostante, il “palarchio” , da dove successivamente veniva riportato su, poi, a mescolarsi con le bucce a fermentare, per 12-48 o anche 60 ore.

Certuni preferivano non dare nessuna fermentazione inquanto realizzavano un il vino da pasto, più facile da vendere nella regione: frizzante, chiaro, dolce, color rubino. Intanto, chi aveva bisogno di realizzare subito, vendeva al prezzo migliore a vendemmia ultimata. Chi non aveva questo assillo, conserva il vino nelle botti e attendeva i mesi migliori per le richieste settentrionali, di febbraio - marzo, aprile e maggio.

C'è anche chi vendeva l’uva, allo Stabilimento Gallinari , attiguo alla stazione. Qui, il lavoro era fatto più razionale. Incanta lo spettatore tutto quel pulsare di motori, di pompe,che risucchiavano il mosto uscente a fiotti dalla pigiatrice elettrica unitamente alle bucce, mentre i rupi vengono lanciati fuori e ammonticchiati da parte, mentre il mosto veniva portano su, nei potenti serbatoi.. Dopo la fermentazione le bucce passavano ai torchi elettrici, e quindi incassate pronte per la distilleria, che è sul luogo: la Distilleria Pirozzi . Un lavoro questo che il quel perido occupava un centinaia di operai.

Verso la fine della vendemmia quando si vedevano diradarsi i carri e gli autocarri, in Piazza Fiorentino si poteva vedre radunate donne, ragazzi e uomini “ per la maggior parte forestieri”, con gli abiti ripuliti, col viso sereno per aver guadagnato un gruzzoletto , (un tesoro per loro) costato fatica,tra il mangiar sarde salate e il dormire sulla paglia.

Costoro si preparavano per la partenza ballando la tarantella al suono della immancabile organetto. Si ripulivano ancora tutt'insieme e si dirigevano verso la vicina, stazione,per tornare al paese natio. Il paese si ripuliva anch’esso; si spazzava via definitivamente il ghiaiolino dal Corso Vittorio Emanuele pavimentato a portico, si chiudevano i palmenti e si pagano i "palmentari". Nelle botti il mosto continuava a bollire e il padrone faceva mille conti preparandosi ai nuovi lavori.
Egli stava con le orecchie tese a sentire o a leggere i prezzi del vino nuovo, le ammende per i sofisticatori e i produttori di vinelli artificiali, delle provvidenze governative per garantire il vino vero, quello che è costato a lui, per lo più piccolo proprietario, trepidazioni, sudori, sacrifici, denaro.

 

Tratto da "La sagra della vendemmia a Sambiase" di Enrico Borrello,pp.382-383-384 dal libro "SAMBIASE" Storia della Città e del suo territorio, Collana Recepta, Edizione 1988 integrata , Temesa Editrice s.a.s.

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