tradizioni

I companatici di una volta

(articolo curato da Giuseppe Ruberto)

da libro VIAGGIO NEL PASSATO

di Francesco Tropea

 

I COMPANATICI O CALATURI - L'IMPORTANZA DEI FICHI

ctrope15 Una volta nelle famiglie per la mancanza delle comodità dei congelatori e anche per la mancanza di denaro, si doveva preparare ed essiccare tante specialità che sarebbero servite poi per companatico o "calaturo" e spesso anche da "spizzicarialli" in riunioni tra parenti ed amici che spesso avvenivano durante le giornate piovose d'inverno e poi in tante altre occasioni come nascite, battesimi, ecc.

Una volta nelle famiglie per la mancanza delle comodità dei congelatori e anche per la mancanza di denaro, si doveva preparare ed essiccare tante specialità che sarebbero servite poi per companatico o "calaturo" e spesso anche da "spizzicarialli" in riunioni tra parenti ed amici che spesso avvenivano durante le giornate piovose d'inverno e poi in tante altre occasioni come nascite, battesimi, ecc.

Queste riunioni si facevano in casa o addirittura in magazzini angusti e in compagnia di animali come asini, capre, conigli, maiali e galline e sostituivano i banchetti di oggi nei ristoranti. In estate quindi si essiccavano dai fichi, alle prugne, alle pere, pesche, melanzane, peperoni, zucchine.., e si diceva: "ad astati sicca siarpuri cà `u viarnu angilli pàrinu".

Le zucchine poi venivano preparate o spaccandole in due, ripulite dai semi e dalla polpa, affettate ed essiccate oppure tagliandole a forma di piccoli cilindri, ripulite come suddetto, affettate a forma di piccoli cerchi e infilate a delle canne venivano messe ai balconi e lasciate essiccare. Dopo l'essiccatura venivano conservate in delle casse e poi d'inverno per essere mangiate venivano prima lessate, poi dopo averle spremute ben strette venivano infarinate e fritte; stesso trattamento avveniva per poter mangiare i peperoni essiccati e per lo più si usava friggere i peperoni insieme al baccalà. Molto usati a quei tempi erano "i timalli o `u tinìallu" che erano recipienti in rovere che spesso come "i ruvaggi o rivaggi" e "li tinacchjelli" venivano usati per vendemmiare.

ctrope24 I primi si usavano al basto per il trasporto dell'uva lì dove il carro non poteva andare, i secondi invece erano i recipienti contenenti sempre uva che le donne si mettevano sulla testa e li trasportavano fino al carro. Questi recipienti venivano anche usati per mettervi alimenti sotto sale, i più in uso fra questi alimenti erano i "guardunialli" cioè melanzane affettate con la scorza, simili ad una suola di scarpa e da qui il nome "da guardulo", su queste melanzane venivano messi inoltre "suali suali" (cioè a strati) peperoni affettati (spesso piccanti), pomodori acerbi o verdi e quando era l'annata delle olive anche qualche strato di olive schiacciate; per ogni strato di affettati veniva sparso il sale con semi di finocchio selvatico e qualche spicchio d'aglio, come anche dei peperoni piccanti spaccati in due, mentre si mettevano gli strati di affettati, veniva esercitata una certa pressione e si continuava così finche il recipiente si riempiva.

ctrope9 Dopo averlo riempito oppure finita la quantità di roba posseduta, si provvedeva a chiudere il tutto con "u ruatu `ccu lla mazzàra" cioè un tappo di legno circolare grande quanto la circonferenza del recipiente e al di sopra di questo si metteva una consistente pietra (appunto "a mazzàra") così da far salire in superficie "a salimora", la salamoia che impediva il passaggio dell'aria e contemporaneamente il sale faceva maturare ciò che era contenuto nel recipiente.

Al momento di essere consumato, il tutto veniva tolto d'u tinìallu, veniva messo a mollo in acqua affinché si fosse "sbumbicatu" cioè dissalato dopodiché spremuto e condito con un pò d'olio oppure dopo averlo lessato veniva infarinato e fritto. Altre cose che venivano mangiate allora erano: baccalà, sarde, aringhe, saràche e stocco. Molte famiglie, poi, tra i primi di dicembre e la "fhera" ( cioè ai primi tre giorni di febbraio nei quali c'era la fiera e sì festeggiava la festa di San Biagio) , uccidevano il maiale (s'ammazzava `llu puarcu) che era l'approvvigionamento della carne oltre ai salami come succulente salsicce, soppressate, capicolli e pancette preparate con salsa di peperoni più delle volte piccante e sale. Questi salumi erano "i spizzicarialli" di lusso,

ctrope10 infatti nelle migliori stanza dov'era posto occasioni oltre ai già citati spizzicarialli, quando si riunivano parenti o amici veniva preparata pure `a fhilliata" cioè salame affettato, ecc. Naturalmente in ogni riunione non mancavano mai neanche noci, noccioline, lupini, castagne infornate accompagnate da ottimo vino e il tutto contribuiva a rafforzare sempre più amicizie, "Sangiuanni" cioè comparaggi e spesso in tali riunioni nascevano perfino proposte di matrimonio. Ritornando ai preparativi che si effettuavano per l'alimentazione con la carne del maiale, oltre ai salami si metteva con la salsa di peperone e sale anche la carne `nt `o salatùru" ossia nei vasi con la stessa tecnica dei tinialli "u ruatu e lla mazzàra di sopra", inoltre si "fhacia `llu grassu e lli risimugli" ossia lo strutto pulito cioè il fiore e lo strutto misto a pezzetti di carne magra, come pure pezzetti di cotenne che erano stati cotti insieme nella caldaia `nt `a quadara"; inoltre nello strutto che veniva messo in lancelle era in uso mettere dentro dei zamponi a pezzi "i garrùni" come pure delle fette abbastanza grosse e a strisce e poi intaccate cotte nel grasso e poste nelle lancelle, erano questi i "fhrittuli `ntaccariati" e quando questi affioravano dallo strutto venivano mangiati con verdura. Questi tipi di companatici era in uso prepararli non solo per sé e la famiglia ma anche per gli operai, infatti ad esempio quando si arava il terreno "allu massàru cci tuccavanu i spisi" cioè bisognava portargli da mangiare oltre al vino, lo stesso trattamento lo godevano pure i parmintàri, colui che tagliava il fieno, l'innestatore, i potatori d'ulivi e anche chi irrorava le vigne col solfato di rame "pumpiari" e gli operai della trebbia.

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Oltre al cibo era il vino che inorgogliva chi lo produceva e che si sentiva al settimo cielo quando le persone che lo tracannavano dicevano "cchi biallu bicchìari i vinu". E in queste occasioni nel breve tempo in cui si consumavano i pasti sembrava di partecipare ad una festa. In effetti se il tutto si guarda sotto l'aspetto positivo, queste occasioni erano davvero da considerarsi una festa perché si arava il terreno e si seminava per raccogliere e riempirsi la casa di viveri, si tagliava il fieno per l'approvvigionamento degli animali troppo utili all'uomo, senza contare poi la vendemmia e la trebbiatura, certo quindi che si era felici specie se il raccolto era stato abbondante; oggi invece non si produce più niente e c'è da spendere in continuazione per poter mangiare e l'allegria di un tempo ha lasciato solo musi lunghi e facili scatti d'ira. Oggigiorno non esistono più lavori massacranti, nessuno più è costretto a farne, ci sono le nuove tecnologie, né bisogna fare chilometri a piedi per andare a lavorare e nessuno è più costretto a fare rifornimenti o approvvigionarsi.

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da libro VIAGGIO NEL PASSATO

di Francesco Tropea

L'IMPORTANZA DEI FICHI
( Quandu a fhàmi spaccava 'llì petri !!!! )

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I fichi facevano parte dell'alimentazione di un tempo. Questi venivano dapprima essiccati e dopo una parte maggiore venivano infornati e un'altra parte in misura minore (si facevano "i fhicu janchi") venivano lavorati con acqua bollente e cioè mentre l'acqua era in ebollizione in una grossa pentola detta "stanatu" o addirittura una caldaia "quadara", i fichi da trattare venivano messi in un paniere oppure in un colapasta e calati nell'acqua bollente per due volte, dalla durata di un minuto ogni calata e tutto questo per tante volte finché non si esauriva la quantità di fichi da lavorare è dopo tolte dall'acqua bollente venivano poste di nuovo al sole sulle cannizze o stize con intorno rametti di pulicària per tenere lontane le vespe.

Questo tipo di fichi erano molto richiesti, c'era addirittura `u `mbarcu" così era chiamata la vendita all'ingrosso. ctrupia44Questi fichi bianchi venivano spaccati in due, messi due sotto e due sopra incrociati e detti appunto "crucette", erano otto in totale queste "crucette", fatte con otto fichi incrociati e chiusi, fra ogni due nel mezzo venivano messe noci, scorza di mandarino e pezzettini di foglie di alloro sempre essiccate.

Di queste crucette si faceva largo consumo alle feste e in riunioni e tavolate varie. I fichi infornati invece venivano posti in casse e pressati, detti "`nsardillati" e in inverno venivano consumati proprio come il pane. Chi andava in campagna, percorrendo a piedi la strada, consumava come colazione la sua saccata di fichi, come pure i ragazzi che andavano a scuola. Questo tipo di fichi dopo essere stati posti nelle casse creavano oltre ad un aroma eccezionale anche una patina di tartaro cioè il loro zucchero naturale che ne accresceva il meraviglioso sapore; come i fichi bianchi venivano preparati inoltre e con lo stesso metodo prugne già essiccate e grappoli d'uva detti "passuli" cioè uva passa.

Le piante di fichi allora erano numerose in tutte le campagne, tant'è che pure nei terreni intorno al paese (Cirasùalu, Anzàru e Ila Fhirrùzza) in mezzo agli ulivi c'erano anche le piante dei fichi e la gente che possedeva poche piante o chi non ne possedeva affatto, nel mese di agosto ognuno prendeva in fitto le piante che gli occorrevano per il proprio fabbisogno. Con i fichi crudi quelli di scarto, come pure con quelli infornati, si nutrivano pure i maiali, questi venivano uniti "nt' o scifhu" nel trugolo uniti alla brodaglia "vrudata o viviruni" insieme a della "crusca" e il tutto serviva insieme ad altri cibi all'ingrasso dei maiali.

ctrupia31I fichi infornati venivano usati anche per addizionare i vini nelle annate di scarsa maturazione delle uve, a secondo della quantità dell'uva da addizionare si bolliva "una stanata" oppure "una quadarata" di fichi e un'altra "stanata o quadarata" di mosto bollito "vinicuattu" e il tutto si versava nell'uva posta in fermentazione, con questo sistema oltre a migliorare la gradazione si migliorava anche l'abboccato. Come pure con i fichi si preparava "llu viniallu" vinello che si otteneva dalla messa in fermentazione di vinacce già torchiate a cui si versava una quantità d'acqua in base alla stessa vinaccia e poi bollita una stanata o più di fichi e "vinicuattu" e miscelati al tutto, da ciò si otteneva questo vinello dal sapore amabile e poco alcolico che veniva consumato per i primi lavori nelle vigne, veniva cioè "passato" dato agli operai nella misura di un litro ognuno ogni giornata.

Questo vinello per la sua fermentazione quasi rapida, doveva essere consumato nell' inverno altrimenti con i primi calori andava soggetto ad acidità ma bisognava dire che la produzione di vino allora non era mai sufficiente e questo tipo molto richiesto anche dai paesi limitrofi non durava mai oltre il Natale. Con i fichi, inoltre, era in uso preparare dei decotti contro il raffreddore e la tosse, venivano bolliti insieme a camomilla, radici di malva, altea, scorza di mandarino e il tutto dolcificato con miele.