Cronache tra il 600 ed il '700

1726: La lite tra il Vescovo di Nicastro ed i frati Minimi di S.Biase

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Anno domini 1726

La lite
tra il Vescovo di Nicastro
ed i frati Minimi di Sambiase

La vicenda è stata possibile ricostruirla grazie ad una ricerca effettuata da Antonio Raffaele il quale nel suo articolo(1) scrive a tal proposito: "questo episodio è stato dimenticato dai cronisti locali volutamente in quanto molto spesso con mano furba ed intelligente o di un'accorta persona, han fatto perdere per sempre, distruggendole, carte ritenute forse troppo compromettenti ".

Ma che cosa successe realmente??? Presto detto.
Antonio Raffaele racconta: "che ogni cinque anni i vescovi, oggi come un tempo, dovevano inviare a Roma una relazione (detta ad limina) consistente in una minuziosa descrizione dello stato della diocesi e delle sue chiese; in più obbligo del medesimo visitarle una volta all'anno. Dalla relazione di Mons. Angeletti(2), Vescovo di Nicastro inviata nel 1726 alla Sacra Congregazione del Concilio, emerge che a Nicastro - che contava 4408 abitanti - vi erano: 35 sacerdoti secolari, 20 canonici. 12 cappellani, 21 frati nei conventi dei Domenicani dei Cappuccini, e dei Francescani. Questi ultimi non gradivano la visita del Vescovo, in quanto davano una diversa interpretazione delle leggi del Concilio di Trento"; "in particolar modo in osservanza della Bolla Pontificia di Innocenzo X litepapaal secolo Giovanni Battista Pamphili (Roma, 6 maggio 1574 - Roma, 7 gennaio 1655)(b) che incominciava -ut pavis- e che cercava di fare una ispezione nel piccolo convento dei Minimi di S.Francesco di Paola a Sambiase"(3)
Nella relazione(4) lo stesso vescovo scrive " che i frati del Venerabile Convento vi si opposero con "armata manu"e che pur avendo potuto entrare nello stesso con la forza,ma,per evitare maggiori scandali,decise di rinunciare alla visita".
Ma come dimostrasi in avanti i fatti non andarono così.
Il documento conferma che la "condotta del vescovo Angeletti non fu davvero tra quelle cristiane e pacifiche", il vescovo chiese l'intervento di alcuni sbirri che comandati dal fratello Giuseppe nominato, guarda caso, Vicario Generale della Diocesi, furono incaricati di arrestare il Padre Correttore e tutti i frati del Convento.
È il caso della nostra vicenda, prosegue Raffale, " è stato possibile ricostruirlo grazie al fatto che alcuni abitanti di Sambiase'(5) si rivolsero ad un notaio per attestare quanto successe tra il vescovo di Nicastro ed i frati Minimi di Sambiase. I cittadini non scelsero un notaio della loro terra (in quel tempo gli esercenti questa professione era numerosi), ma si rivolsero ad uno (notaio)(6) di Gizzeria, forse temendo eventuali ripercussioni, o forse per mantenere una qualche segretezza sull'accaduto. Il motivo non lo potremo mai sapere, ma la testimonianza da essi resa rimane una memoria incancellabile "; quello riportato di seguito ne è il resoconto.

Il fatto

Il quindici settembre del 1725, sabato, verso le ore tre del pomeriggio, "giunse in questa terra predetta Monsignor Angeletti Vescovo della città di Nicastro per far la visita in detto luogo di San Biase diocesi di Nicastro con grosso numero di gente" il quale fatti la visita la chiesa Parrocchiale con tutto il suo seguito si diresse nella casa di don Gaspare Mazza, "Arciprete di detta terra di San Biase", dove unitamente al reverendo cantore don Pietro Orlandi, ed al canonico don Diego Papa, e ad altri scrivani, mastrodatti, e quantità di sbirri che avea condotto seco, dal convento di S. Francesco di Paola, "eretto dentro la predetta terra di San Biase, dandoli ordine, e comandando che andati che fussero in tutti muodi procurassero di carcerare il Padre Correttore di detto Venerabile Convento, anche se l'avessero ritrovato abbracciato con la colonna di Cristo (...]".
litevesco 

Le summenzionate persone (vedi nota '5)costituitesi dinnanzi al notaio, con giuramento assicurarono di aver inteso dire dalla propria bocca di detto Monsignor Vescovo quest'ordine, mentre il presule stava affacciato alla finestra della casa del suddetto arciprete. Le persone incaricate di compiere l'arresto, si trovavano anch'esse davanti alla finestra, e "avuto detto ordine verso l'ore 22 di detto giorno si portarono dal detto Venerabile Convento nel quale ritrovarono la porta della chiesa" aperta. Al termine delle recite e del canto del Santissimo Rosario alla presenza, al solito, di "un gran concorso di popolo dell'uno e dell'altro sesso", gli inviati di Mons. Angeletti entrarono in chiesa con "parte di detti sbirri armati con tutte sorti d'armi, e colle scoppette, e pistoni in mani, di modo che pareva che più tosto volevano assassinar detto convento, che fare altra cosa,due de quali sbirri di subito entrati viddero che il Padre Pietro dell'Amato steva in catedra cantando il Santissimo Rosario, e li giunsero adosso dicendogli che non s'avesse mosso ch'era carcerato (...]".
Il malcapitato padre vistosi assalire, gli rispose: "che la chiesa di Dio non si custodiva more pecundum e che non avessero proceduto così villanando con Padri Sacerdoti, ma loro poco curandosi le sue grida, tenendolo dal petto colle loro mani, lo condussero con spinti ed urti verso il Coro", la di cui porta è vicina all'altare Maggiore attaccata col tabernacolo dove s'adora il Santissimo Sacramento . Gli altri restanti compagni di detti sbirri, "entrarono nel Coro, e nella sagrestia, dove si erano soffermati i detti Reverendi Canonici, l'Arciprete, ed altri officiali tra cui i due religiosi laici frat'Andrea e frat'Angelo i quali furono arrestati dalla sbirraglia, e quindi passarono dentro il Monastero "con l'armi in mani, e vista la porta di battere che stava rinserrata, l'aprirono, avanti della quale vi erano ancora di detti sbirri, e cursori che stavano di guardia, e molti del clero di detta terra di San Biase con buona parte del popolo, il quale si ammirava con grosso scandalo delli maltrattamenti che li detti sbirri ed officiali facevano a detti reverendi Padri e loro Venerabile Convento, e con ciò li detti sbirri salirono nel chiostro di sopra ...]."
litefrace

Giunti alle scale, gli sbirri si imbatterono in Padre Antonio di Anoja che fu afferrarono minacciandolo e maltrattandolo gravemente; il che provocò la reazione di Padre Pietro dell'Amato che per aiutare il suo confratello con forza si dimenò dalla morsa degli sbirri e si lanciò verso di questi "per non farlo più maltrattare ed offendere", ma un certo tale di Nicastro, loro cursore e compagno di detti sbirri, li corse sopra colla pistola in mano, e gliela pose al petto, ed il caporale Mastro Giacomo Basile alzò la canna del suo pistone verso la testa di detto Padre Pietro dicendogli: "che l'ucciderebbe se niente s'avesse mosso". Poi si portarono dalla camera del reverendo Padre Correttore Padre Marco di Catanzaro", al quale fu intimato di uscire avendo avuto ordine dal Vescovo Angeletti "di condurlo carcerato avanti di se, ma quello intimoritosi per li maltrattamenti che avea visto fare agl'altri Reverendi Padri si racchiuse ben forte dentro la sua camera e detti sbirri con molte minacce di voler scassare la porta se non apriva fecero molto fracasso; alla fine visto che non potevano far aprire se ne andorno assieme con detti reverendi canonici, ed ufficiali con aver lasciato detti Reverendi Padri così villanamente maltrattati doppo tanti contrasti, e dibbattimenti fatti."
Mons. Angeletti però non si diede per vinto, infatti li predetti costituti con giuramento dichiararono "come il dì susseguente diecessette del caduto mese di settembre giorno lunedì il detto Monsignor Vescovo di Nicastro, dove se n'era ritornato di sabbato", a sera inviò altre venti persone tutte armate, "affinchè avessero fatto sortire la carcerazione del detto Padre Correttore, e di tutti li reverendi Padri del Venerabile Convento" per condurli legati davanti a lui a Nicastro.
Le persone assoldate giunsero puntuali a Sambiase e "si portarono avanti il detto Venerabile Convento, ed avendo fatto ogni sforzo non fu possibile far aprire la porta atteso li Reverendi Padri per il timore di non esser più maltrattati s'erano fortemente racchiusi, e serrati dentro."

litearci Il giorno seguente, martedì diciotto del cennato mese, il Vescovo nicastrese inviò suo fratello don Giuseppe Angeletti, da lui stesso nominato Vicario Generale della Diocesi di Nicastro, affinché "in ogni muodo avesse fatto sortire tal carcerazione, il quale si portò con grosso numero di gente nella casa del sopracennato Sig, Arciprete Mazza affichè questi potesse andare con loro dal detto Venerabile Convento per fare quanto li giorni innanzi s'era tentato". Fu grazie all'intervento del sindaco della terra di San Biase il quale, assieme a tutto il suo reggimento, intimò lo stesso Vicario per comunicargli di fare a meno di "andar di nuovo dal detto Venerabile Convento atteso che il popolo s'era tutto commosso in favore, ed a giusto di San Francesco di Paola loro protettore, e che non dovea succeder qualche danno e detrimento, che s'era consumato li giorni passati, tanto più che il Convento, e li Reverendi Padri e frati in esso commoranti erano tutti d'esemplarità, venerazione, e stima, e che così per il Venerabile Monasterio, come per li Reverendi Padri e Frati l'Università tutta stava in procinto di spargersi il proprio sangue delle vene, il che inteso da detto Don Giuseppe mutò anche lui pensiero, e se ne ritornò in detta città di Nicastro, senza far motivo veruno".

litecix Non riuscendo nella sua impresa, il vescovo ricorse ad altra soluzione: scomunicare il Padre Correttore e nello stesso tempo interdire(7) la chiesa di San Francesco di Paola. Entrambi i disposti furono successivamente sospesi per intervento della Congregazione del Concilio e della Immunità ecclesiastica, ma ciononostante il vescovo rimase fermo nella sua posizione. Questo il testo della scomunica, emanata da Mons. Angeletti:
"Questo giorno del mercoledì sei del corrente mese di febraro del corrente anno 1726, e proprio verso l'ore 20 di detto giorno essendosi portati personalmente innanzi la chiesa Porochiale di detta terra di san Biase, nella porta maggiore della medesima anno visto, ed osservato un cedolone discoverto, il quale per averlo letto, e riletto ciascheduno d'essi, e parte fattaselo leggere asseriscono che conteneva la scomunica contro il Reverendo Padre Marco di Catanzaro Correttore del Venerabile Convento di San Francesco di Paola di questa terra predetta emanata dall'Illustrissimo Monsignor Vescovo della città di Nicastro, il quale è stato affisso in detta porta sin dalli 15 del caduto mese di decembre del caduto anno 1725, per averlo visto ogni giorno affisso in detta porta, e con tutto che secondo anno inteso dire al predetto Illustrissimo Monsignor Vescovo si fussero sin dalli 29 del ceduto mese di gennaro del corrente anno state presentati due ordini, uno della Congregazione del Concilio, e l'altro dalli immunità ecclesiastica che restasse sospesa detta censura per tre mesi con la reincidentia, nondimeno il detto cedolone non l'anno visto, ne tolto dalla suddetta porta, ma sta attualmente sincome è stato sempre affisso, il quale non solo si puol credere da essi suddetti, ma da tutto il popolo di detta terra, e d'ogni altra persona, che passa per innanzi detta porta, essendo in luogo alto, che da tutti è visto, ed osservato con grandissimo scandalo, ed ammirazione di tutto questo popolo per I'inobbedienza usata a detti cennati ordini".
litematriLa seconda testimonianza che segue(8), è relativa "all'interdetto" che, nonostante la sospensione, era ancora esecutivo. Si ricava da un'istanza presentata dai cittadini di Sambiase in relazione al rispetto delle ultime volontà di due donne, Porzia e Beatrice Pansino , le quali avevano disposto tramite i loro testamenti ( rispettivamente tramite i magnifici notai Marzio Turco e Domenico Bufera di San Biase) che alla loro morte fossero sepolte nella cappella della confraternita del Santissimo Rosario sita dentro il Convento di S.Francesco di Paola. Nonostante ciò e nonostante l'istanza fatta dai Padri di detto Convento l'arciprete Gaspare Mazza, e i reverendi Don Marco Notarianni e Don Giovanni Vertino economi della chiesa Matrice (S. Pancrazio - Duomo di Sambiase) sotto pretesto che Monsignor Vescovo di Nicastro avesse proibito che i cadaveri non fossero sepolti in detta chiesa perché la stessa era stata interdetta dalla sagra Congregazione del Concilio, che vedeva aveva proibire parimenti li Padri e Frati di detto Convento di San Francesco di Paola di non andare a processioni de morti, come anche a non andare a processioni, e dir messa di fuora, ed ancora di non portarsi il popolo in detta chiesa, ed altre stranezze, con pregiudicio, e danno notabilissimo di essi Frati, e di detto Convento, e parimenti con scandalo grandissimo di questo popolo di San Biase, per tutto ciò li predetti costituititi(9) lo testificano con giuramento per essersi trovati presenti nel trasporto di detti cadaveri". I predetti testimoni(10) anno requisito a Noi notizia e giudizio che di tutto ciò avessimo fatto il presente atto pubblico, e perché l'officio nostro non può nelle cose giuste denegarsi, l'abbiamo steso su certificantes insi nem juramento .

 

Nostra conclusione :
"Da questa triste vicenda cogliamo comunque la devozione, l'attaccamento ai valori del popolo sambiasino verso il loro Venerabile S.Francesco di Paola che per la cronaca si ribellò tramite il sindaco intimando il Vicario don Giuseppe Angeletti con le seguenti parole "…il popolo s'era tutto commosso in favore di San Francesco di Paola loro protettore, e che così per il Venerabile Monasterio, come per li Reverendi Padri e Frati l'Università e che stava in procinto di spargersi il proprio sangue delle vene, il che inteso da detto Don Giuseppe mutò anche lui pensiero, e se ne ritornò in detta città di Nicastro, senza far motivo veruno".
liteproceEvidentemente il vescovo desistette dal suo velleitario intento iniziale visto che il popolo, molto allergico alle prevaricazioni, era pronto …"a spargersi il proprio sangue delle vene" forse con "armata manu" e non con l'acqua santa come avrebbe voluto scrivere Mons. Angeletti vescovo di Nicastro nella sua relazione "Ad limina" il 4 ottobre 1726".
L'Ordine dei Minimi è un ordine religioso cattolico fondato da San Francesco da Paola nel XV secolo. Deriva il nome dall'estrema umiltà del fondatore che, ispirandosi all'eponimo San Francesco d'Assisi, fondatore dei frati Minori, ne ha voluto rimarcare il carattere di soggezione alla volontà di Dio e di servizio ai fratelli più bisognosi, senza alcun margine per l'affermazione o soddisfazione personale, nella vita terrena. Motto del fondatore e, quindi, anche dell'Ordine, è "Charitas", parola latina traducibile sia in "carità" sia in "amore", come valore indispensabile a far sì che la fede non sia vuoto ritualismo, bensì modo di vivere operando concretamente per il bene spirituale e materiale degli uomini.San Francesco da Paola, sull'esempio del "Poverello" d'Assisi, coerente con tale umiltà, non volle mai accettare i voti sacerdotali, rimanendo un semplice frate. G.Ruberto


ps: Un sentito plauso ad Antonio Raffaele studioso della storia locale che ha contribuito dopo 287 anni (1726-2001) a ripristinare la "verità dei fatti" e che se "armata manu" c'è stata oggi sappiamo da chi è stata fomentata e chi l'ha subita e che, Noi, per onor di cronaca l'abbiamo riproposta; ai posteri l'ardua sentenza.

 


NOTE

(1) L'articolo "La lite del 1725 tra il Vescovo di Nicastro ed i frati Minimi di Sambiase" e stato scritto da Antonio Raffaele e pubblicato in Storicità (rivista d'altri tempi, anno X n°96 maggio 2001, pp 4/8 ); Rodolfo Calfa Editore Lamezia Terme (Cz)
(2) - Nostra annotazione - curata da G.Ruberto- "Domenico Angeletti nacque a Manfredonia (Foggia) il 25 ottobre 1663; laureatosi in utroque alla Sapienza di Roma il 26 agosto 1686 e ordinato sacerdote il 22 dicembre1691, divenne Uditore del Card. Carlo Bichi. In questa carica fu promosso alla chiesa di Nicastro il 2 ottobre del 1719. Fu consacrato dal Card. Fabrizio Paulizio il 29 ottobbre successivo ". (p. Francesco Russo M.S.C. in "La Diocesi di Nicastro", p.261 )
(b) -Nostra annotazione- curata da G.Ruberto " Per la cronaca Innocenzo X, al secolo Giovanni Battista Pamphili (Roma, 6 maggio 1574 - Roma, 7 gennaio 1655), fu Papa dal 1644 al 1655. Fu creato cardinale nel 1629. Il cardinale Pamphili ascese al soglio di Pietro il 15 settembre 1644. Educato come avvocato, dal punto di vista politico, fu uno dei pontefici più abili della sua epoca ed aumentò notevolmente il potere temporale del Vaticano. Subì fortemente l'influenza di Olimpia Maidalchini, moglie del fratello scomparso e soprannominata Pimpaccia. La donna, nata a Viterbo nel 1592, era bella, intelligente e furba. Dopo essere rimasta vedova, riuscì a sposare Pamphilio Pamphilj, più vecchio di trent'anni e fratello del papa. Rimasta nuovamente vedova ed entrata nelle grazie di Innocenzo, divenne la sua principale consigliera. A Roma era risaputo che qualsiasi decisione importante veniva presa solo dopo una consultazione con Donna Olimpia. Per questo nel giro di pochi anni divenne la donna più temuta, e più odiata di Roma. Chiunque avesse voluto avere un qualsiasi tipo di contatto con il papa doveva passare tramite lei; spesso il suo appoggio veniva concesso solo dietro compenso. A corte si diceva che i due erano molto più che cognati, ma questa diceria non è suffragata da alcuna prova.
Il soprannome di Pimpaccia derivò da una pasquinata: "Olim pia, nunc impia", che tradotto dal latino suona 'una volta religiosa, adesso empia'. Ovviamente Donna Olimpia sistemò anche il figlio Camillo, che fu prima nominato capo della flotta e delle forze dell'Ordine della Chiesa, e poi fatto cardinale. Rinunciò alla porpora per sposare Olimpia Aldobrandini, giovane del principe Borghese. I contrasti tra le 2 Olimpie diventarono l'argomento centrale dei pettegolezzi delle famiglie nobili di Roma. Negli ultimi anni di vita del pontefice, Olimpia vendette benefici ecclesiastici per l'importo di 500.000 scudi. Il successore di Innocenzo X la esiliò ed alla sua morte, nel 1657, lasciò in eredità 2.000.000 di scudi.
Innocenzo X morì il 7 gennaio 1655. Donna Olimpia fece sparire dai suoi appartamenti tutto ciò che trovò e non volle dare nulla per la sepoltura. Per l'avarizia dei parenti, il cadavere del pontefice rimase per un giorno in una stanza e, solo grazie alla generosità del maggiordomo Scotti, che fece costruire una povera cassa, e del canonico Segni, che spese cinque scudi per la sepoltura, Innocenzo poté essere inumato nella basilica patriarcale del Vaticano. In seguito, i suoi resti vennero traslati nella tomba fatta costruire dal nipote Camillo e dal pronipote Giovanni Battista nella chiesa di Sant'Agnese in Agone. La sua tomba è posizionata sopra l'ingresso.
Esso è considerato l'ultimo della Controriforma Cattolica. Tra gli illustri pellegrini del Giubileo del 1650 si ricorda la regina Cristina di Svezia. L'animo di Innocenzo X era tuttavia occupato in tanti altri affari e alla sua salute più che ad una riforma religiosa di Roma e della cristianità. Egli morì il 14 gennaio 1655, tra il disinteresse generale, tanto che si fece non poca fatica anche per seppellirlo ".
(3-4)-Nostra annotazione-curata da G.Ruberto ACC,Relazione ad limina, Nicastro, 4 ottobre 1726: "….quemadmodum tentavi visitationem pavi conventus P.P. Minimorum Sacti Francisci de Paula loci Sacti Basij,etiam ex speciali facultate SS.mi D.ni Nostri, sed patresmetipsi, januis clausis, existentes intus armata manu me repulerunt et ego absque ulla violentia quam adhibere potuissem,ad evitando malora scandala, prout jam innotescit huic Sacrae Congregation ex recursu abito per Patres praefatos"
- notizia tratta dal libro del prof. Vincenzo Villella "La Calabria della Rassegnazione,baroni,vescovi,clero e popolo in una società in disfacimento"Vol.II (sec.XVII-XVIII); p.163,164 + relativa nota 335 a p.203,204 - Grafica Reventino Editrice, ivi stampato nel mese di luglio 1985 presso la Grafica Reventino Editrice- Decollatura (Cz)
(5) Giovanni Vertino, Mastro Luca Antonio Morano, Gaetano Liparoto, Francesco di Fiore, Mastro Lorenzo Persico, Mastro Francesco Dattilo, Mastro Antonio Palermo, Il magnifico Giacinto Vaccaro, Il chirurgo Giuseppe di Napoli, Antonio di Costa, Francesco Antonio Villetta, Mastro Francesco Palajia, Mastro Domenico di Jesi.
(6) Sezione Archivio di Stato Lamezia Terme (SASL), Protocollo notaio Domenico Antonio Darà (Gizzeria), B. 208 1-3
(7)-Nostra annotazione-curata da G.Ruberto " Per la cronaca il termine interdetto (o anche interdizione) si riferisce in genere ad una punizione ecclesiastica della Chiesa Cattolica Romana. Nell'uso più comune è una punizione che sospende tutte le manifestazioni pubbliche di culto e ritira i sacramenti della Chiesa dal territorio di una nazione. Un interdetto emesso contro una nazione era l'equivalente di un atto di scomunica nei confronti di un individuo. Un interdetto faceva si che tutte le chiese venissero chiuse, e quasi tutti i sacramenti non venivano permessi (ovvero impediva matrimonio, confessione, estrema unzione ed eucarestia).
L'interdetto può essere anche una punizione rivolta ad un singolo individuo. È come una scomunica in quanto la persona non può ricevere i sacramenti e partecipare al culto pubblico, ma non vieta alla persona di continuare a detenere ed esercitare l'ufficio ecclesiastico. Quindi per un membro laico della chiesa è sostanzialmente equivalente alla scomunica ".
(8) SASL, Protocollo notaio Domenico Antonio Dara, B. 208, pag. 3-4.
(9) Sarsale, Grillo, Fiore, Dattilo. Cicione, Benincasa, Rende, Caligiuri, Volpe, Pujia, Persico, Dattilo, Perri, Notarijane, Macrì, De Masi, Scordovillo, Morano, Vaccaro, Palermo, Villella, Giaccio, Chiocco, Tripodi, Palaija, Liparota, Sesto, Pugliese, Orlando.
(10) SASL, Protocollo notaio Domenico Antonio Dara, B. 208,4-5.

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