memorie

IL TOPONIMO BUCOLÌA

IL TOPONIMO BUCOLÌA

di Francesco Gaspare La Scala (addì 13 ottobre 2019)

A volte è proprio la facilità con cui si risale ad un etimo soddisfacente a tarpare le ali ad ogni successiva ricerca storico-filologica relativa ad un termine. La lampante evidenza ottunde ogni collaterale speculazione lasciando congelato ( in dialetto avremmo detto " ngriunatu " dal greco "κρύος - kriúos", gelo, freddo pungente) il lemma nello spesso strato di permafrost delle colte banalità locali.

 

Accade esattamente questo al nostro toponimo "BUCOLÌA" che individua una frazione ben nota posta sulle pendici del Monte S. Maria, poco sopra Sambiase.
I più accorti declinano, con tollerante algidità, la ovvia derivazione del termine da "βoυκολία- bucolìa" che significa in greco " mandria, allevamento di animali " e da " βουκολός- bucolós" cioè allevatore, pastore. Il puntuale rimando, puramente scolastico, alle Bucoliche di Virgilio è immancabile e roboante quanto vuoto di contenuti e riferimenti.
A nessun viandante filologo è venuto fin'ora in mente di analizzare, almeno in parte, le " sedimentazioni storico-letterarie " del termine, citato, tra l'altro, anche da Omero. Verosimilmente , essendo un toponimo, è andato depositandosi nella nostra località nei tempi lontani dei primi insediamenti coloniali in Magna Grecia ( VIII, VII sec. a.C.) per attestare che lì mandrie ed allevamenti trovavano un collocamento ideale per la pratica della pastorizia. Proprio lì un'isola arcadica, lontana dal trambusto dell'Istmo e della Piana, in una posizione idilliaca. Presso ogni popolo antico, i canti eseguiti dai pastori, accompagnati dai loro semplici strumenti per riempire i momenti di ozio tipici della loro vita, ebbero sempre notevoli risvolti in letteratura. In particolare, la poesia bucolica d'arte, nata nel periodo alessandrino della letteratura greca, ebbe i suoi antecedenti in una fioritura di canti popolari che erano molto simili ai canti degli antichi rapsodi rispetto all'Iliade ed all'Odissea.
Il primo autore greco a portare il merito di aver elevato la poesia pastorale a dignità letteraria, celebrandone ambienti e vita , fu Teocrito ( nato a Siracusa nel 315 a.C., floruit nella prima metà del III sec. a . C) che con i suoi "Idillii" fece rivivere gli ancor più antichi miti arcadici sicelioti raccolti intorno alla figura dell'avvenentissimo pastore siracusano Dafni, dal canto melodioso, conteso da Dee e Ninfe.
Teocrito , usando il dialetto dorico, trattò i miti arcadici e pastorali con grande vivezza di immagini e talvolta con rozza crudezza tanto gradite nell'allora raffinato periodo alessandrino. Egli ricostruì gli arcaici canti pastorali, i cosiddetti "bucoliásmi" (da "βουκολιασμός" e dal verbo "βουκολιαζω") che consistevano in scambi di strofette in versi ( distíci per lo più) da parte di due contendenti nell'ambito di agóni poetici in cui venivano poi giudicati da arbitri. Questi canti erano chiamati appunto "αμοιβaia μήλι - amoibaia méli" , canti di scambio o di contrasto dal verbo greco " αμείβω - ameíbo " , cioè ricambiare. Erano canti di sorpendente naturalezza e prestanza poetica, il cui schema e la cui tradizione sono ancora conservati, sia in Sicilia che in altre regioni della Magna Grecia, e che fanno, però, fatica a riemergere travolti dalle ondate delle effimere mode odierne. Come sappiamo, Virgilio (70 a.C. - 19 a.C.) prese a modello delle sue "Bucoliche" proprio gli "Idillii" di Teocrito e ne trasfuse in latino, sebbene in forma letteraria più gentile e ricercata, l'ammaliante affresco arcadico-pastorale. Alcuni critici hanno più strettamente definito "saggi bucolici" quelle egloghe ( componimenti lirici di contenuto pastorale in forma di dialogo o monologo; le Bucoliche sono formate da dieci egloghe) che Virgilio compose seguendo fedelmente il modello teocritéo. I due amebéi della terza e della settima egloga ne sono magnifici esempi. Virgilio seppe combinare magistralmente il suo amore per la campagna dove era stato cresciuto con la conoscenza di Teocrito acquisita attraverso la lettura dei poeti greci, regalandoci il primo grande componimento latino del genere pastorale.
Una strabiliante staffetta poetica, quella dei due grandi poeti, che ci ha consegnato un prezioso testimone che noi non sappiamo ancora compiutamente raccogliere.
Bucolìa, quindi, non è solo e riduttivamente quel luogo di mandrie ed allevamenti suggerito dall'etimo nudo, ma costituisce lo scenario potenziale per accogliere rievocazioni di miti e leggende attraverso testi poetici, rappresentazioni teatrali e certami nello stile degli amebei. Bucolìa, oggi frazione modesta e fuori dal clamore, si rivela, a sorpresa, una fonte di ispirazione preziosa per tutto il nostro territorio.