Cronache tra il 600 ed il '700

Nocera un feudo in rivolta (1750-1790)

balinocera

Episodi di malvivenza a Nocera feudo ecclesiastico del baliaggio gerosolimitano di Sant'Eufemia nella metà del Settecento(1)

di Pasquale Sposato


Una generica e sommaria ricostruzione di tali episodi ci è fornita, anzitutto, dalla "Relazione dello stato del Baliaggio, fatta nell'anno 1751.. " da due cavalieri gerosolimitani francesi, Fr. Martino de Charmailles e Fr. Antonio de Saintoven.

In essa si legge: " ...Non avendo in questo dominio campeggiata nei passati governi la giustizia, i vassalli, proclivi alla vendetta, proruppero in mille delitti. Li più ricchi divennero tiranni, ed i poveri facinorosi. Quelli col denaro si liberavano dalla pena, questi non potendo pagare si lanciavano nei vicini scoscesi boschi, raminghi nelle montagne, senza speranza di perdono, dalli loro inaccessibili ricoveri oppressa tenevano la patria(2). A tal punto giunse l'audacia di questi rinomatiflagelli di Nocera, che sin dentro l'abitato commisero omicidi. Il pubblico non avendo difensore, li tradimenti e la fuga spopolavano il paese. Simili disordini caggionati dalla troppa libertà non possono ripararsi se non col rigore: per incutere dunque il necessario timore alli sudetti d'indole timida, benché licenziosa, come anche per conciliare ubidienza al comando, conviene che vengbi assistito il Governatore(3) da due delli Barigelli, stipendiati dalla Camera Priorale, atteso che li dodici Fratelli giurati residenti in Nocera senza mercede non sono persone da fidar loro l'esecuzione degl'ordini spettanti al buon governo e quiete publica... "
Notizie più circostanziate si hanno dalla relazione del Giudice della Gran Corte Criminale, D. Pasquale Perrelli, il quale, recatosi, per ordine regio, nell'irrequieta Nocera, riferisce al sovrano sull'annosa malvivenza nocerese, ne indaga le cause, prende i rimedi opportuni e propone al medesimo sovrano di inviare nella cittadina calabra adeguate forze repressive per eliminare la delinquenza.
La relazione del Perrelli è del 1780, posteriore a quella dei cavalieri gerosolimitani Scharmailles e Saintoven, ma ricostruisce, in base a testimonianze locali, anche episodi precedenti di delinquenza, rifacendosi alle "più alte ruine di amarissime angustie, per i tanti malviventi originati dalla padria, uno discendente dall'altro, che di sé stessi si sono resi mostruosi ed orribili al Regno, commettendo i più crudeli delitti, che la perversità di un uomo avesse potuto escogitare". Facendo quasi la storia della malvivenza nocerese, enumera, anzitutto, tra i precedenti delinquenti il " notorio "Giov. Battista del Greco, ossia Mastrojanni, il quale "circa quarantasei anni addietro, sfrenatosi nelle campagne, ed avendo tirato a sé altra comitiva di compaesani, tra' quali Gennaro Mastrojanni suo fratello, riempirono la comarca di orrori e scelleraggini": molto sangue umano "fu diffuso per le loro mani, oltre i tanti ricatti, furti ed irrafrenabili scorrerie, finché pagarono la pena sotto una scure, poiché dalle Squadre d'ambedue le Provincie furono uccisi e le diloro teste asportate in giro per le Provincie medesime".
Successivamente sorsero Saverio ed Annibale di Franco, "naturali dell'Amantea, abitanti in quest'istessa città, i quali pascendosi de' perniciosi esempii della distrutta comitiva" Mastrojanni, "furono simili a ricolmare la Provincia di aflizzioni, senza risparmiare omicidii e misfatti atroci". Seguirono le "scorrerie" dei fratelli Matteo, Antonio e Fortunato Mendicino, i quali " tirando ad essi l'unione di altri, con spaventevol e grossa comitiva, fecero crudelissima stragge del sangue umano, raccontandosi una confusione d'omicidii e perversità memorande ". A costoro tennero dietro Giuseppe Ganino, che " diede morte atroce al magnifico Innocenzio di Napoli "; Francesco Rizzo Frollo e Antonio Majda, i quali, " oltre l'omicidio commesso in persona di Antonio Rocca, diedero nell'ecceso di una generale incisione d'alberi di celzi, in danno di certi galant'uomini di Casata Ventura ".
Più tardi fu " mostruosa la condotta di Giovanni Mendicino, fratello de' sopranominati Matteo, Antonio e Fortunato, poiché accoppiatosi in comittiva con altri compaesani, volse sostenere maggior ferocia de' suddetti suoi fratelli, franco ad uccidere genti, più facile a commettere furti, ricatti e scorrerie, sino ad inoltrarsi dentro la padria, e a tutta posta tirare alla morte diversi, raccontandosi più omicidii, per cui f u l'oggetto della crudeltà e l'oppressore della cittadinanza ".
Segue l'elenco di altri malviventi (Francesco Antonio Brescia, Andrea Macchione, Giovanni Maligno, Antonio Chrirumbolo, e, soprattutto, Giovanni Orlando, che " scorre corrottamente le campagne in comitiva d'altri ". Fra le vittime si ricorda il chierico Serafino Barbaro, fratello uterino del notaio, già mentovato, Francesco Saverio Mauri, e lo stesso Mauri, il quale, avendo voluto " esclamar giustizia al veduto scempio del fratello alzando clamori, ancor egli restò svenato ed ucciso per le mani de' medesimi malviventi, con quant'orrore del pubblico, pianti ed amarezze delle due famiglie ".
Contemporaneamente i " malviventi stessi, essendosi conferiti nella convicina terra del Castiglione, sorpresero e ricattarono in tempo di notte nella propria casa mentre dormiva il Sacerdote Don Carlo di Giov. Maria ", con il " serviente di quella locai Corte ", che aveva cercato di recare " aggiuto con alzar gridi e far gente ". Il suddetto Antonio Chirumbolo, " avvalorato dal spalleggiamento de' medesimi ", uccise Porzia Belsito, " donna vedova di questo luogo (Nocera) per aver resistito alle sue violenze, ostinato a violargli l'onore ". Dallo stesso furono uccisi Nicola Rizzuto e Andrea Saporito. Non fu risparmiato neppure il governatore della corte locale, il dott. Don Domenico Bonacci, " ucciso in tempo di notte a colpo di schioppo nel mentre dormiva nella sua casa ". Sicché, " collettivandosi l'enormità ed orrori di tanti malviventi, solamente d'omicidii si numerano circa ottanta, eccettuatone molti altri seguiti tra cittadini e cittadini, di cui non si fa parala, perché originati da discordie e private cause ".
Le risse continue, le " ferite ed omicidi privati " ricolmavano di angustie il " publico, ed amarezze tali, che son giunti li cittadini a privarsi della libertà e starsene ritirati nelle proprie abitazioni per più anni per tenere in salvo la vita, anziché ripugnare l'esercizio delle cariche che dal publico se li volevano conferire, come quelle di Sindaco ed Esattore della tassa catastale, per non inquietarsi e cimentarsi ".
A questi delitti si aggiunsero le " scorrerie, che f urno l'orrore delle Calabrie e l'ímpedimento del publico traffico, per cui si visse sempre nel duro giogo di trattare con riserva i cittadini, per mettere in salvo la vita, l'onore e l'averi... ".
Fin qui gli elementi essenziali della drammatica descrizione del Perrelli, che, per comodità dei lettori, viene inserita integralmente nella silloge documentaria in appendice al presente studio. Non è una delle tante descrizioni settecentesche ricavate, non di rado, da osservazioni di uomini prevenuti, impegnati nella polemica contro la feudalítà laica ed ecclesiastica: difatti, il contenuto della relazione del Perrelli, relativa alla delinquenza nocerese, trova riscontro nella ricordata descrizione dei cavalieri gerosolimitani, e coincide con l'esposto inviato al sovrano dagli amministratori dell'Università. A conferma di ciò si ha una testimonianza, non dubbia, del vescovo di Tropea, mons. Gennaro Guglielmini, il quale, riferendo alla Congregazione del Concilio (28 dicembre 1740) sullo stato della diocesi, così scrive di Nocera: " Quater tempore mei Praesulatus has Dioeceses(4) visitavi, et Deo gloriam refero, quod in ipsis fidem catholicam, et Religionem sanctam foedantia non viveant, sed potius Deitimor omnes continent in of ficiis Christianae vitae. In Terra tantum Nuceriae adsunt graves inimicitiae, quas nec ego salutaribus monitis per Religiosas personas exbibitis evellere, nec Regia Curia cum suis continuis persecutionibus compescere potuit, quapropter nonnulli grassantur per Campaniam, et Religiosis Conventibus molesti sunt"(5).

Ma quali le cause di tanta sfrenata criminalità in questo popoloso centro urbano(6), che, prima che mettessi le mani tra le carte di archivio, mi aveva dato, e conservato, l'impressione di essere sempre stata una cittadina, in genere, tranquilla e facilmente adattabile alla buona e cattiva sorte, immune da disordini, da sommosse, da torbidi e rivolte di tanto rilievo?
Se si esamina questa criminalità attraverso il vaglio della storia, essa può essere inserita nel triste quadro storico del fenomeno di tutto il banditismo calabrese e meridionale, che, a sua volta,è legato a un complesso di fattori, determinanti e concomitanti, di cui i principali sono il mal governo centrale, periferico e locale, la ferocia dei tempi, le vessazioni feudali, il fiscalismo regio, le insidie dei luoghi, il carattere instabile e sedizioso delle popolazioni, la prepotenza dei più forti, le rivalità familiari, il distacco fra i ricchi e il credente numero dei poveri, fra i nulla o troppo poco tenenti e i possidenti, la depressione demografica, la conseguente sottoccupazione con l'aggravamento generale della miseria, specie tra le masse contadinesche, escluse dalla proprietà della terra o legate ad un sistema di proprietà affatto insufficiente alle stesse necessità primordiali del sostentamento. Che anche fra queste siano da ricercarsi le cause della criminalità di Nocera, nella seconda metà del Settecento, sono le stesse fonti che ci inducono a crederlo: i riferiti deteriori aspetti sociali, determinati dalla corrosiva delinquenza, furono originati non solo da non poche delle stesse cause che diedero origine e sviluppo al secolare fenomeno del banditismo calabrese, ma anche dall'inetto governo feudale ecclesiastico - il baliaggio maltese di Sant'Eufemia -, che, anche a causa della sua decadenza, si trovò affiancato ad altri baroni laici del tempo nel trascurare le necessità delle disagiate popolazioni, senza tutelarne la quiete e incoraggiarne il benessere economico-sociale.

Per eliminare la delinquenza nocerese, si chiede, da parte del Perrelli, dell'Università e dei procuratori del baliaggio di Sant'Eufemia, il " disarmo generale " della popolazione. Tale progetto è esaminato ed accolto dalla Camera Reale di Napoli e dal marchese Carlo De Marco, al quale, sentito il parere favorevole del sovrano, il ministro Giovanni Acton scrive (3 marzo 1781), di aver dato "l'ordine al Capitan Generale, perché destinasse cento Granatieri, dai Reggimenti di Real Macedonia e di Jauch, e trenta Fucilieri di Montagna per portarsi in Nocera della Provincia di Cosenza per assistere a uno de' Ministri di quel Tribunale che sarà destinato per farsi un disarmamento generale in detta terra".
Il disarmo generale della popolazione fu l'unico rimedio approntato contro la malvivenza e per il ristabilimento dell'ordine pubblico, non senza rimanere un rimedio inferiore al male, inadeguato cioè alle condizioni economíco-sociali della massima parte della popolazione nocerese, che, fatta eccezione della borghesia terriera e possidente, dei detentori di terre e possessori di cespiti fissi, degli enti ecclesiastici, economicamente potenti, ma poco o nulla produttori di benessere sociale, continuò a vivere nella cronicità della disoccupazione, della miseria e dello sfruttamento da parte dei ceti benestanti.

 


NOTE:
(1) è tratto dallo scritto, di carattere scentifico, di Pasquale Sposato " Per la Storia del Brigantaggio nella Calabria del Settecento - Episodi di malvivenza a Nocera feudo acclesiastico del baliaggio gerolomitano di Sant'Eufemia" pp.170/180 in *ARCHIVIO STORICO per LA CALABRIA E LA LUCANIA* , anno xxxv - (1967) Collezione Meridionale Editrice fondata da Umberto Zanotti Bianco - Spedizione in abbonamento postale - stampato dallo Stababilimento Tipografia" Grafica" di Salvi & C. - Perugia.

* " L'archivio storico per la Calabria e la Lucania raccoglieva scritti, di riconosciuto carattere scentifico, riguardanti la storia politico-ecomomica ed artistica della Calabria e della Basilicata e delle terre facenti parte della Lucania augustea, dall'età classica all'attuale ". (dalle norme per i collaboratori ).

(2) Nella stessa « Relazione » così è descritto il territorio di Nocera: « Nell'affacciarsi da Tramontana al già cennato Golfo (di Sant'Eufemia) scopresi di Nocera il Territorio: Posto Egli quasi nel centro delli seguenti Territori confinanti si divide: Picciola parte sta situata di là dal Fiume Savuto, e tutto il rimanente di questa parte di detto Fiume. Quella, che si ritrova di là del Fiume verso il Mare confina colla Regia Città dell'Amantea, e divide il Territorio un Fiumicello detto Turboli. Salendo più sopra confina col Territorio del Barone della Terra di Savuto. Da questo ultimo confino si scende al Fiume Savuto, e passando da questa parte, e salendo verso la Montagna confina colla Terra di Sanmango Feudo del principe di Castiglione, e passando più in sù nella Montagna confina col Territorio della Città di Martirano, ed indi tocca il Confine delli Conflenti, e si congiunge colle Montagne di Gizzaria. Ritornando poi nella sua Marina, venendo verso S. Eufemia, viene da questa disgiunto col tramezzo di tre miglia di Spiaggia, soggetta al Principe di Castiglione, e più in sù confina colla Terra di Salerno (sic, ma Falerna) Feudo della stessa Casa. Quali sempre furono, tali per appunto attualmente si veggono l'esteriori Confini. Questo Territorio situato nella Provincia di Calabria Citra di trentadue miglia di circuito in circa, ritrovasi in buona parte così scosceso, che a solo Volatili può darsi il vanto di girarlo senza pericolo: godendo per altro le sue Montagne propizio l'aspetto del Sole; par egli ottimo per le Vigne: Infatti tempo fù talmente abbondava di Vino, che valeva solo a somministrare il carico di più Vascelli ciascun Anno: Oggí dl però quelle eminenze rivestite altre volte di fruttiferi pampani, sono tutte ricoperte di Piante selvatiche. In cima delle minaccevoli orride Montagne vi sono pianure di smisurata ampiezza di solo pingui, e di sufficiente culture proviste. I primi Fondatori di Nocera non sappiam per qual motivo, se pure non fosse per non vedere, e non essere veduti, a tutti quei ventilati Piani anteposero uno situato a mezza costa, sepolto tra due ben alte Montagne per fabricarla. Ivi contro ogni regola fondata tra precipizj, che spaventano, e Monti che minacciano, invisibile giace Nocera, d'Anime Mille e ottocento (vedasi nota 6), d'Aria mediocre, fra due Fiumi, con tre Conventi fuori dell'Abitato, uno dei Capuccini all'Oriente, di Conventuali nel Settentrione, e di Agostiniani al mezzo giorno.... Delle Montagne di Nocera alcune sono coltivate, poche sterili, e molte boscose, tra queste una tiene la Cima alberata di Faggi dalla parte dell'Abitato, e di Carigli ricuopre il suo pendio verso il Mare. Detto Monte di vasta estensione, e folto di Piante, essendo stato sino al presente mal custodito, da per tutto vi s'incontrano manifesti contrassegni della libertà del Pubblico, e della tolleranza del Governo, la quale non solo diede luogo di tagliare, svellere, e diramar Alberi, ma fece in oltre, che i Cittadini pretendano aver il Gius di fida, e legname verde per uso proprio, ed alcuno tiene parecchie conserve di Neve, senza veruna recognizione alla Corte, neppure licenza dalla medesima. Dall'ampio Seno di detta Montagna scaturiscono molte Fontane, che servono alla fecondità delle Campagne, ed al diporto dei Cittadini. Il di lei accesso è poco più che mal agevole, e molto meno che impossibile ».

(3) La giurisdizione baronale di Nocera era così amministrata: « Un Giurista sotto il titolo di Governatore amministra la Giustizia in Nocera e suo Territorio.... Fa le veci di Notaro un Mastro d'atti, il di cui officio annualmente si subasta a favore della Corte. Per custodire il Territorio v'è un Mastro giurato con dodici Fratelli giurati, li quali altro stipendio non godono fuor che i dritti provenienti dalle Carcerazioni. Serve la Curia un Famulo, a cui paga la Corte tre docati l'anno.... Secondo le notizie ritrovate nei Cabrei Gattimara (1624), Anselmi (1655), e S. Vitali (1705) vi era un Casamento Baliale ben condizionato, il quale nell'universale Terremoto del 1638 fu distrutto, e nel 1705 venne ordinata la sua riedificazione, quale fu principiata, ma non terminata, poiché al presente vi appaiono solamente pedamenti in una parte, e ruine nell'altra in faccia della Piazza pubblica, le quali formano un carcere rotto e inabile, onde conviene mandare i delinquenti in Carceri dei luoghi vicini. In questa Terra non vi è veruna Chiesa dipendente dalla S. Religione (di Malta): In essa il Priore (di Sant'Eufemia) solamente esercita la Giurisdizione temporale, spettando l'altra al Vescovo di Tropea ».

(4) Si allude alla divisione della diocesi in due parti, la zona tropeana e la plaga amanteana.
(5) ARCHIVIO SEGRETATO VATICANO, Congregazione del Concilio, Relatio status Ecclesiae Tropiensis anni 1740. Nella relazione del 1683 il ve¬scovo si lamenta dei continui litigi nel clero nocerese (IBIDEM, ad annum). In quella del 1620 si riferisce sui delitti commessi in tutta la diocesi; così in quella del 1637 (IBIDEM, ad annum).

(6) Secondo la citata Relazione del 1758, Nocera contava 1.800 anime (vedasi nota 2). Per i periodi precedenti, a cominciare dal 1679, dalle relazioni triennalí dei vescovi di Tropea, si hanno questi dati statistici: 1679: anime 1695, sacerdoti 16, chierici 20, conventi 3, confraternite 2, monte di pietà 1, ospedali 1; 1683: Anime 1500, parroci 6, sacerdoti e chierici in sacris 15, chierici celibi 20, conventi 3, monte di pietà 1, ospedale 1, 1687: parroci 6, sacerdoti 9, chierici 19, monte di pietà 1, ospedale 1, conventi 3; 1689: parroci 6, sacerdoti 10, chierici 22, conventi 3, monte di pietà 1, ospedale 1; 1695: parroci 6, sacerdoti 10, chierici 20, conventi 3, monte di pietà, 1, ospedale 1; 1699: anime 1550, parroci 6, sacerdoti 6, diaconi 1, sudiaconi 1, chierici 43, conventi 3; 1708: parroci 6, conventi 3; 1711: come nel 1708; 1714: anime 1570, parroci 6, sacerdoti 10, chierici 30, monte di pietà 1, conventi 3; 1720: anime 1752, parroci 6, sacerdoti 12, chierici 20, conventi 3; 1723: anime 1755, parroci 6, sacerdoti 12, chierici 25, conventi 3; 1740: parroci 6, sacerdoti 23, diaconi 2, chierici 40, conventi 3 (ARCHIVIO VATICANO, Congregazione del Concilio).