Cronache Risorgimentali

L’arrivo di Garibaldi Catanzaro nel ricordo del Cav. Antonio Serravalle

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L’arrivo di Garibaldi a Catanzaro nel ricordo diel Cav. Antonio Serravalle.

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…La fama de’successi di Garibaldi in Provincia di Reggio, dopo quelli ottenuti in Sicilia, non potea non produrre in Catanzaro incitamenti ed inviti a muoversi ed agitarsi. Contro i molti che incerti voleano attendere che la rivoluzione venisse a trovarli sin dentro la casa e non accorrere essi stessi ad incontrarla e seguirla surse volentieroso quanto deciso a grandi rischi un uomo che tornato non guari dall’ emigrazione, avea recato nell’ animo sentimenti patriottici con lo scopo di un’avvenire, ch’era lo scopo di quanti nella scuola dell’esilio appresero il da fare nelle contingenze sperate, prevedute ed avverate.

Antonio Greco si trovò uguale al suo compito. Senza ambagi e senza tollerare l’indugio, comparve seguito da pochi per la nostra piazza con in mano la bandiera dei tre colori, e dritto, fra gli evviva di quei pochi, andò a insediarsi nel locale della Intendenza con nome e funzioni di Prodittatore.
Molti lo censurarono, altri lo compiangevano, e furonvi anche i derisori: tutti scusabili, non credendo che la fortuna avesse arriso una volta agli sforzi de’cospiratori contro Governi formidabili.
In presenza di questo contegno il Greco trovò necessario procurare una forma di legalità alla sua assunsione, ed aprì un plebiscito del sì e del nò, vigilandosi bensì l’urna dagli stessi suoi adepti; e dopo poche ore si bandì che 802 cittadini avean votato pel sì, e dodici pel no. Ma più che questo non serio simulacro di plebiscito, valsero a raffermare la Prodittatura del Greco le notizie che si succedevano dei progressi delle armi Garibaldine, onde egli, vinte tutte le dubbiezze, fissò il suo quartier generale nella Intendenza, sendo accresciuto il numero de’giovani energici e risoluti che lo circondavano.
Valga il vero, questa Prodittatura surta da origini così triviali acquistò a causa degli avvenimenti e per la sua onestà una grande forza morale, e divenne utilissima al loro progresso, potendo coi molti mezzi pecuniari che ottenne da privati e da casse pubbliche accorrere alle previsioni di viveri pei Garibaldini, e ad ogni altra bisogna della circostanza.
Non dobbiamo qui omettere che fra gli altri ajuti il Prodittatore ebbe quello del servizio del telegrafo, nel quale, comunque sospetto nei primi giorni l’Uffiziale addettovi, in seguito lealmente comunicava gli ordini e le notizie così del Governo che di Garibaldi.
Nel lunedì 27 Aggosto venne annunzio dal sig. Stocco di Nicastro che si udiva un cannoneggiamento verso l’Angitola, e questa nuova sparse l’allarme nel paese, vociferandosi dai tristi, che non mancano mai benchè ristrettissimo ne fosse in Catanzaro il numero, che i Regi vittoriosi si sarebber diretti per questa città e avrebber manomesso persone e sostanze: onde molti intimiditi preser la campagna portando seco tutto il prezioso.
Lo stesso panico si sperimentò in Monteleone nel 27 Agosto Domenica quando la colonna del Generale Chio che era colà, avuta notizia dell’avvicinarsi di Garibaldi a Mileto irritata minacciava fuoco e sacco, e lasciando la Città si accampò nel vasto piano del Telegrafo e del Camposanto in atteggiamento ostile.
I Monteleonesi spaventati si allontanarono dalle loro case restando in patria pochi Gentiluomini. La famiglia Gagliardi presso cui erano stati in alloggio varii ufficiali superiori, mise in opera tutta la sua influenza, e non risparmio denari per salvare come salvò il Paese da una orrenda catastrofe.
Nel dì appresso di buon’ora si venne a scoprire che la truppa nel corso della notte era partita per la consolare del Pizzo, e cosi i fuggitivi Monteleonesi rassicurati rientrarono in Città.
Nel giorno stesso arrivò in Monteleone il Generale Sirtori con pochi individui e dopo qualche ora giunse Garibaldi con Medici, Cosenz, Thur, La Masa ed altri circa 20 e tutti presero alloggio in quella stessa ospitale casa Gagliardi che fino al dì innanzi avea servito di quartier Generale ai Regi.
In un’istante appena comparve Garibaldi la Città si vide affollatissima non solo di Monteleonesi ma pure degli abitanti dei paesi circonvicini. Il vasto Largo Gagliardi e tutte le strade eran gremite di gente. Garibaldi dal balcone della casa Gagliardi alla vista di quello spettacolo imponente profferì le seguenti parole.
“Quando un popolo si scuote così vivamente all’annunzio della libertà questo popolo merita d’essere libero. Io accetto questa vostra calda manifestazione e ve ne sono riconoscente”.
Gli applausi frenetici impedirono di proseguire e Garibaldi commosso se ne rientrò. Dopo pochi momenti andò solo al Telegrafo elettrico, e la mattina del 29 alle 5 a. m. lasciò Monteleone dirigendosi a Maida.
Ritornando a Catanzaro, in mezzo all’universale spavento di cui la Città fu invasa si conobbe persino, che un soggetto non Catanzarese ma ben noto pei suoi antecedenti, era già ito all’incontro della truppa per dirigerla nello sperato esterminio e saccheggio. Però nelle ore pomeridiane venne avviso che la truppa si era resa e gli animi si tranquillarono.
L’attacco era cessato perché si ebbe avviso di una capitolazione, mercè la quale Garibaldi avrebbe concesso alla truppa di ritornare a Napoli. Stocco che trovavasi fra i Nazionali, ricevette dal Sirtori Segretario di Garibaldi lo annunzio della Capitolazione. Ma corse un grande equivoco tra l’ordine del Garibaldi al Sirtori e la comunicazione del Sirtori a Stocco, imperocchè la concessione ai Regi del ritorno a Napoli era stata a condizione di deporre le armi, e non si era ciò eseguito per essersi male interpretato il dispaccio di Garibaldi.

I Regi dunque comandati dal Generale Ghio sotto la protezione di quello equivoco procedevano con armi e bagagli a marcia forzata senza essere molestati. Speravano potersi riunire alla Divisione del Generale Caldarelli in Cosenza: E passando per Tiriolo ebbero il singolare vantaggio di impossessarsi de’ viveri che il prodittatore Greco avea colà spediti pei Garibaldini, il che fu fortuna insperata per la truppa che trovavasi estenuata fra l’inedia e la stanchezza. Ma la speranza del Generale Ghio di riunirsi al Caldarelli sarebbe anche essa risultata vana, perché Caldarelli minacciato da’ Nazionali di quella Provincia capitolò e prese la via di Napoli per salvarsi.
Quando Garibaldi a Mileto o a Monteleone apprese che i Regi eran passati senza deporre le armi, diè subito ordini energici ai Nazionali lungo tutta la linea sino Cosenza per opporsi e arrestare nel miglior modo il cammino alla truppa, onde aver tempo di farla raggiungere dalle sue schiere comandate dal Generale Cosenz. Ma al tempo stesso egli irrequieto e turbato, con sessanta dei suoi a cavallo corre ed insegue. Prende la via della montagna per giungere presto. Arriva a Maida la mattina del 28 Agosto fra gli entusiastici evviva di numerosi volontari di già ivi riuniti per seguirlo. Trovò la notizia che la colonna di Ghio era già passata il dì avanti dopo breve scaramuccia coi Nazionali nella quale fè prigionieri due Signori Maidesi Schettini e Squitti, e tenendo in ostaggio il secondo ottenne viveri e il passaggio libero, dopo aver parlamentato con Stecco e con Angherà. Garibaldi consultando la carta topografica e demandando dei luoghi calcolò che avrebbe potuto raggiungere la colonna Ghio nel dì appresso tra Tiriolo e Soveria, onde dopo un’affrettato reficiamento in casa Farao parti subito colle sue celeri guide. .
In quei momenti gli si fé innanzi il bravo Sacerdote Ferdinando Bianchi ch’era già del suo seguito, uno dei mille, e di quelli che spediti dal Governo Borbonico in America preser la via d’Inghilterra e rientrarono in Italia. In mezzo a numerosa folla nella galleria Farao il Bianchi presentò al Garibaldi il cappello a cone alla calabrese, detto comunemente cervone, guernito di lana e seta a velluto, e gli disse. “Dittatore, questo è per lei, la media Calabria per mano mia le offre questo ricordo”. Garibaldi giulivo e ridente accolse il dono, depose il cappello alla italiana, e si mise sul capo il caratteristico cervone, al quale faceano simpatico adornamento i pendenti suoi capelli alla nazzarena, e la sua fisonomia si avvantaggiò nelle Calabrie di un prestigio che non potea essere maggiore. E tutti plaudirono il Bianchi del suo felice pensiero.
Al prendere congedo da tutti gli astanti ai quali affabilmente e guerrescamente il Garibaldi stringea la mano, il padron di casa offrendoin la matita e un taccuino lo pregò di lasciargli un ricordo ed egli con mano ferma e da buon calligrafo vi scrisse Giuseppe Garibaldi 29 Agosto 1860.
Arriva Garibaldi a marcia forzata a Tiriolo, e dopo breve riposo riparte e giunge a S. Pietro nella notte del 29 al 30 Agosto, ed ivi sà che i regi erano a tre ore di distanza, sicché senza porre tempo in mezzo con quei settanta a cavallo parte fiduciando che il Generale Cosenz che lo seguiva colla sua divisione non avrebbe tardate a raggiungerlo.
I regi forti di 10,000 uomini con 12 cannoni un obice e quattro mortai si trovavano lungo la consolare di Severia che sta a mezzo di una vasta pianura, e si accingeano a riprendere il cammino nel mattino del 30 Agosto, giorno memorando. Garibaldi e già sulle spalle della retroguardia e intima la resa. Uffiziali e soldati restan confusi e sbalorditi. Garibaldi comanda a quei settanta di cavalleria una Scarica, e si esegue ma senza offendere perchè non si volea che intimidire, e di un subito egli stesso con soli dieci si slancia sulla truppa e col grido di viva Garibaldi, che si ripete dalle soprapposte colline coverte tutte di nazionali intima gittarsi le armi. A questo punto la retroguardia come un eco risponde vivà Garibaldi, e spezza e gitta le armi per aria. Quel grido come scintilla elettrica corre e invade tutta la colonna, e tutta si arrende con dimostrazioni di gioja. Garibaldi solo della sua persona, in mezzo a quell’agitato campo, ove tutto è disordine e defezione, riceve la spada del Generale Chio, cui scortato da un’Ajutante fè partire per’Napoli, via del Pizzo. I soldati si sbandono e prendono ciascuno la sua via pel proprio paese.
Si sono visti campi di cadaveri e di morienti. Si sono visti eserciti disfatti fra le artiglierie e le armature, ma non si è visto mai un immenso campo di armi, munizioni, cannoni, casse, cavalli e muli senza neppure un sol’uomo rimasto sul terreno, nè vivo nè morto. Persone che passarono su quel teatro non più di guerra, ma di desolazione, dipinsero il quadro come orribilissimo. Sembrò che la vendetta di Dio avesse con un soffio annientato l’alterigia di tutto un esercito sperdendolo al vento. Garibaldi annunziò ai suoi amici l’insperato trionfo dividendone la gloria co’Calabresi: Dite al mondo – ei segnalò – che co’miei bravi calabresi ho fatto depositare le armi a diecimila uomini!
Molti dei vicini luoghi nei primi momenti si gittaron su quell’abbandonato e ricco bottino come per depredarlo, ma subito tutto venne affidato al delegato da Garibaldi Ferdinando Bianchi che distribuì le armi a quei che numerosi correvano per seguire Garibaldi nella sua trionfale marcia verso Napoli col nome di Cacciatori della Sila.
Nello stradone di Soveria fra non molto sarà eretto un monumento già decretato dal Generale Consiglio della Provincia per tramandare ai posteri la memoria di quel prodigioso fatto. Sul monumento vi sarà questa epigrafe:
UNO CONTRO DIECIMILA.
Una deputazione di quattro notabili fu spedita da Catanzaro a Garibaldi e potè a stenti raggiungerlo a Soveria nell’alba del 31 Agosto nell’atto muovea per Cosenza.

Al desiderio espressogli perchè onorasse di sua presenza la città, Garibaldi rispose: “Prima dovere, e poi piacere: essere i momenti pre« ziosi e doverli abbracciare”. Raccomandò alla generosa Catanzaro di non far mancare di vivere le sue schiere:
La divisione del Generale Cosenz arrivò a Soveria tre ore dopo succeduta la resa de’ Regì. Però diremo che anche senza la resa e senza l’arrivo di Cosenz, i Regì non avrebber potuto salvarsi, perché ad ogni passo si sarebbero incontrati cogl’innumerevoli nazionali, accorsi da tutt’i paesi dietro l’ordine di Garibaldi, e impostati in alture e gole per attaccarli ad ogni passo. Ciò va detto non per scusare la resa senza colpo tirare, nè per scemare il merito dell’ardimento di Garibaldi nell’essersi gittato con soli dieci de’suoi fra le file de’ nemici, ma per mostrare soltanto che la resistenza de’Regì non avrebbe prodotto che una inutile effusione di sangue.
Sappiamo che molti e allora e dopo attribuirono a tradimenti tutte le defezioni, li sbandamenti e le sconfitte dei Regì. Ma nò, era questa una spiega, ma non una verità. Dovremmo altrimenti dire che non solo il Generale Ghio, ma pure Melendez, Vial, Caldarelli, Ruiz, e quanti altri Generali e Capi comandavano i Regì in Calabria, e lo stesso Pianel Ministro, della guerra sarebbero stati tutti traditori, perché tutti indietreggiarono, tutti con poca o nessuna resistenza deposero le armi. E valga a smentire la falsa opinione il caso tristissimo del Generale Briganti.
Garibaldi da Catena spedì due suoi uffiziali al Generale Briganti in Villa S. Giovanni a pregarlo di un’abboccamento. Briganti, prese consiglio dal suo Stato Maggiore e accompagnato da due Uffiziali Superiori si recò a Catena. Da testimoni degni di fede, presenti a quel colloquio il Maggiore Gercea e il Marchese Trecchia ora Aiutante di Campo di Sua Maestà sappiamo che Garibaldi intendea evitare l’effusione del sangue, ma Briganti rispose ch’egli come avea bombardato Palermo, cosi avrebbe resistito ad ogni attacco, e che riconoscendo ci tutto il suo passato dal Re Borbone, allo stesso consacrar dovea il suo avvenire. Chiese bensì di concederglisi la ritirata per Napoli, e a tal patto non si sarebbe battuto. Garibaldi non consentì, e l’abboccamento si sciolse, e fe accompagnare il Briganti da due Uffiziali Garibaldini sino al suo Quartiere Generale.
Nel dì appresso i Nazionali costeggiando e percorrendo pei monti attaccarono la dritta della Divisione Briganti che soffrì gravi perdite, e vi furono sbandamenti e defezioni. Briganti anzioso di riunire le sue forze dopo avere corso per vari luoghi, trovando anche reso ai nemici il Castello di Scilla, procedette scortato da un Lanciare sino a Mileto, ove trovavasi accampata gran parte della sua truppa nella piazza cosi detta della fontana lungo la consolare. Ma quei soldati, lungi di accoglierlo e acclamarlo, mostrarono un dispetto quasi sedizioso. Il sospetto del tradimento avea già fatto cammino e si era impossessato dei loro animi. Il Generale passò per tutta la linea in mezzo a questo tenebroso contegno e di già trovavasi fuori il paese per proseguire verso Monteleone, quando fatalmente si arrestò e ritornò indietro perché forte del sentimento della sua coscienza. Ma al suo nuovo apparire l’imitazione della soldatesca trasmodò, e pochi del 14.° di linea gridando al traditore gli tirarono delle fucilate e l’uccisero col cavallo.
Fu dunque il Generale Briganti vittima infelice di una cieca esaltazione, e con pena vediamo, neppure dopo detmrso tanto tempo, la Storia abbia fatto espiazione per reintegrare la sua fama.
No, non furono i tradimenti che produssero il trionfo della rivoluzione, fu il dominio di una idea che avea esteso il suo impero su i popoli civili, fu l’esplosione di un vapore tenuto compresso per lunghi anni, furon le lacrime di tante famiglie che reclamavano i loro congiunti gementi fra gli esili e gli ergastoli, fu insomma l’aspirazione di tutta una gente.
Il successo della giornata del 30 Agosto fè sospendere la marcia dei Garibaldini che raggiunger doveano la divisione Cosenz; e le due Brigate comandate da Bixio e da Eber deviarono da Tiriolo per Catanzaro. Arrivò prima Bixio con soli 200 Garibaldini, e il dì appresso Eber con una colonna di 3000. Vi era anche Sacchi, che poi abbiamo avuto qui per Generale di Divisione, lasciando di se desiderio. Fu grande la impressione prodotta dalla vista di quella gente, sia per la varietà e singolarità del vestito con tunica rossa o caratteristico fazzoletto variopinto sulle spalle legato a nodo nel collo. La città ne’ tre giorni di dimora di quella nomade forza godette di un entusiasmo mai più provato, e vi partecipò in vari modi. Ve n’eran di tutte le parti del mondo. Camminando per soli dieci passi ti era dato udire il francese, l’ungherese, il greco, l’inglese, l’africano. I loro volti si rassomigliavano soltanto dal lato della ilarità. Vi erano le distinzioni di grado e se vuoi anche di abbigliamento, ma eran tutti uguali nel coraggio, e nel principio che li muovea. Parlavan di Garibaldi come del nume che avea dritto alle loro vite e su cui eran fondate le fortune di tutti. Diceano che con lui sarebbero andati all’Inferno, perché sicuri di non bruciarsi. Nelle notti che eran di està dormivano sulle vie servendosi dei cappotti per materassi. La città era allietata delle loro briose canzone che formavano un bellissimo accordo collo strepitoso movimento. Ci pare ancora di sentir quel guerrosco canto leggiadro:

Addio Biondina, addio
L’ armata se ne và:
Se non partissi anch’io
Sarebbe una viltà.

Il sacco è preparato
Sugli omeri mi età:
Son uomo e son soldato,
Viva la libertà.

La daga e le pistole
Lo schioppio l’ho con me,
Nello spuntar del solo
io partirò da te.

Chi sa quanti morranno
E forse anch’io morrò:
Non ti pigliar di affanno
Da prode io morirò.

Non pianger mio tesoro
Che in patria tornerò:
Ma se in battaglia morò
In ciel ti rivedrò.

Bixio prese alloggio nella casa Rocca dove si recarono Magistrati e altre Autorità a prestarin omaggio, ma Egli non ricevette alcuno, non amando siffatto formalità.
Mentre questo avveniva altri Magistrati, e furon cinque, temendo di compromettersi, partirono da questa marina sopra un legno a vela, sperando trovare in Napoli l’antico Governo, ma s’ingannarono. Taluno di essi divenne poi fiero republicano!
L’ entusiasmo sempreppiù crescea, e si vedeano arrivare in Catanzaro moltissimi per aggregarsi a quello masse, di t‘alcl1è cssendosi aperti qui i ruoli per due Divisioni in poche ore furono coverti. ‘
Ricordiamo a preferenza l’arrivo di otto monaci guidati dal loro Guardiano, armati, e con bandiera. La paglia sul capo era la sola aggiunzione al loro abito monacale.
Fu altresi ammirata una compagnia di giovani ardenti venuta da Castelvetere, paese eccentrico affatto, con un prete alla testa. Anche i Seminari e gli Orfanotrofi diedero le loro tangenti all’armata meridionale Garibaldina.
E fra tanti giunse pure una Signora che si disse la Contessa De Latour, vestita alla militare con un soprabito a ricci color latte, coppola gallonata e sciabola. La sua apparizione non ebbe uno scopo conosciuto.
Nella domenica 3 Settembre partirono i Garibaldini da Catanzaro e il gran movimento di quella giornata presentò un quadro impossibile ad essere descritto. Eglino compravano ad ogni prezzo cavalli e muli quanti se ne offrivano, traini, carri, carrozze, tutto affollatosi avanti il Palazzo d’Intendenza in mezzo al suono di due bande e ai gridi e ai canti di allegria. Era poi oggetto delle maggiori simpatie e acclamazioni il Generale Bixio, ferito nel braccio e avea sulla testa il cappello calabrese a cono, onde tutti cercarono di provvedersene, e la città rispondendo a questo entusiastico desiderio ne raccolse quanti ve ne erano, e alla uscita fuori il paese venner distribuiti. Cosi quei valorosi portaron con loro un grato ricordo del luogo dove avean trovato ospitalità generosa…

 

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