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Giovanni Nicotera, cospiratore e soldato

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di Enrico Borrello (*)

Suo padre era Felice Nicotera, patriota e cospiratore,e sua madre Giuseppina Musolino, sorella di Benedetto, illustre patriota della vicina Pizzo, capo di una setta repubblicana nelle Calabrie. Fu studente nel collegio di Catanzaro, dove ebbe a maestro Luigi Settembrini, il quale lo fece iscrivere alla Giovane Italia, quando ancora non aveva che quattordici anni e tale giovanissima età sembrava non dovesse offrire sufficiente garanzia di fermezza di carattere.

Giovanni Nicotera doveva, invece, dimostrare, in tutta la sua vita, un carattere ferreo, un disprezzo sovrumano del pericolo, una tempra fisica d'acciaio e la generosità del grande. Studiò letteratura e poi giurisprudenza, ma implicato nella rivoluzione del 1846-47, dovette mantenersi uccel di bosco, tra le campagne di Nicastro, Sambiase, Pizzo, per sfuggire agli artigli di Del Carretto.
Nel 1848 lo troviamo, come abbiamo visto, tra i membri «più facinorosi» del comitato rivoluzionario di Sambiase. Nella battaglia sull'Angitola, la compagnia da lui comandata sostenne valorosamente l'urto di agguerriti soldati, dando, così, tempo al Generale Stocco, capo degl'insorti, di scendere coi suoi da Filadelfia e sconfiggere il Nunziante.
Fallita miseramente la rivoluzione calabrese, Giovanni Nicotera riparò cogli zii Benedetto e Pasquale Musolino a Corfù, poi in Ancona e, infine, a Roma, dove si arruolava nella Legione Italiana come semplice soldato, a difendere quella repubblica.
Il 29 aprile 1849 i volontari di Porta S. Pancrazio sono mole¬stati dai Francesi di Villa Pamphili. Garibaldi prende cento dei più valorosi giovani e muove all'assalto della villa, ma il cancello chiuso impedisce di tentarne l'approccio. Due coraggiosi ne ten tano la scalata, ma cadono colpiti dal piombo nemico. Giovanni Nicotera, sprezzante, come sempre, d'ogni pericolo, s'accosta strisciando al cancello, lo scala e lo apre, lasciando a Garibaldi di entrare coi suoi. Intanto corre alla palazzina e, armato di sol pugnale, costringe alla resa il Maggiore, comandante dei Francesi, il quale gli consegna la spada.
Garibaldi nomina sul luogo Giovanni Nicotera, per questo suo atto eroico, Luogotenente.
Il 3 giugno, al Casino dei Quattro Venti, il nostro giovane eroe viene colpito da una scarica di moschetteria alla testa e a una spalla. Ritenuto morto dai suoi stessi compagni, sta per es sere seppellito, quando, essendosi questi accorti che dà segni d vita, viene trasportato all'ospedale, dove, riavutosi, apprende la ua promozione a Capitano.
Gli è vicino di letto Goffredo Mameli, che spira poche ore dopo.
Caduta la repubblica, Nicotera, Musolino, Mauro e altri, muniti di passaporto inglese, riescono ad entrare in Genova e, quindi, a Torino, dove Nicotera lavorerà nello studio del grande giureconsulto e patriota Pasquale Stanislao Mancini.
Era a Torino il Generale Raffaele Poerio, proscritto fin dal 1831, il quale, essendo amico dei Musolino e della famiglia Nicotera, volle conoscere il nostro ardente e giovanissimo patriota. Ne nacque un'amicizia tenerissima e, quando il Generale venne colpito a morte da improvviso malore, Giovanni Nicotera lo assi-stette come figlio. Dopo qualche tempo, divenne fidanzato di Gaetanina, figlia del Generale e cugina di Carlo Poerio.
Nel 1853 prese parte ai moti di Milano e nel 1856 accettò da Cavour l'incarico di recarsi in Sicilia a giudicare quale fosse l'entità della preparata insurrezione.
Munito di passaporto sotto altro nome, Nicotera arrivò a Genova per imbarcarsi, quantunque su di lui pesasse la condan¬na in contumacia a 28 anni di ferri. Ma, giunta la notizia dell'impiccagione del Bentivegna, capo della rivolta sicula, Nicotera fu richiamato a Torino dallo stesso Cavour.
Si era nel 1857, quando Pisacane meditò la Spedizione di Sapri, malgrado la contrarietà del Mazzini e dello stesso Nicotera, che aveva forti dubbi sulle assicurazioni del Comitato Napoletano, il quale dava per certa l'insurrezione del popolo al primo segnale. Il 26 giugno, il «Cagliari», di cui si erano impadroniti a viva forza Pisacane e Nicotera, mentre era diretto con un carico di armi a Tunisi, gettava l'ancora a Ponza, dove, fatta arrendere la guarnigione, non senza spargimento di sangue, i due capi del¬la spedizione si impadronirono di 500 fucili e di 19 casse di munizioni, liberarono i detenuti, quasi tutti condannati per reati comuni, dirigendosi, poi, a Sapri, dove sbarcarono il 28 giugno.
Ma quale non fu l'amara delusione dei nostri eroi, quando non trovarono neppure un uomo delle bande armate promesse dal Comitato Napoletano! Dovettero, anzi, presto accorgersi della palese ostilità di quei popolani, aizzati dal Borbone con minacce, promesse di denari e volgari calunnie contro quei prodi.
Nella valle di Sala Consílina erano schierate 800 guardie urbane e 200 gendarmi, e già i nostri cominciavano ad averne ragione, quando apparvero il 5° reggimento cacciatori e una lunga schìera dì altri gendarmi.
Nicotera volle si effettuasse la ritirata su Padula, dove molti, stremati di forze ed affamati, preferirono restare prigionieri. Gli altri seguirono i capi, che, consigliati da un vile pastore, mossero verso Sanza, sperando di trovarvi da rifocillarsi. All'ingresso del paese si ebbero invece, accoglienza di fucilate, di sas¬sate e colpi di zappa, falce e roncole da parte di una folla ubriaca di cieco furore.
Pìsacane gìacque col petto squarciato, la faccia sanguinante per un colpo di scure e il cranio spaccato; Nicotera ebbe la mano destra trapassata da una fucilata e due colpi di scure in testa. Creduto sulle prime morto, fu poi legato su di una barella di rami d'albero e portato nudo nel convento di Sanza, sotto gli insulti della plebaglia, che lo imbrattò di fango e gli lacerò il ventre, facendone uscir fuori gli intestini. Una megera volle che acclamasse al re, ma Giovanni Nicotera, raccogliendo le ultime forze, grìdò: «Morte al tìranno!».
Dopo lunghi giorni di altre sofferenze inaudite, costretto a viaggiare sopra un carro, con le ferite esposte ai raggi cocenti del sole, sotto l'infuriare degl'insulti e delle percosse dei vili, fu portato a Sapri e, quindi, a Salerno, dov'ebbe luogo il processo. Avendolo uno dei giudici chiamato mentitore, Nicotera, afferra- - to un calamaio di bronzo da un tavolo vicino, lo scaraventò contro di quello, gridando: «Vile!».
Fu condannato a morte, e già eglì si era preparato con animo forte, mangiando e dormendo tranquillamente nella stessa cappella, dalla quale doveva essere portato l'indomani al patibolo, quando gli fu annunziata la grazia. Giovanni Nicotera, scrollando le spalle, disse ad alta voce: «Sarà per un'altra volta!».
Fu mandato a marcire nella fossa di Favignana, dove le sofferenze d'ogni genere erano una morte continua. Nè esse valsero a piegarlo a firmare una supplica al re, che il giudice del luogo aveva gìà steso.
«Morrete in questo luogo» - gli gridò sdegnato il vile servo del Borbone. E Nicotera: «Mi fate pietà!».
Ma l'ora della riscossa era ormai vicina. Il 5 maggio 1860, Garibaldi muoveva verso la Sicilia e, sbarcato a Marsala, gli faceva sapere: «Fra pochi giorni o voi sarete libero o io sarò morto».
Libero, finalmente, Nicotera venne ricevuto da Garibaldi a Palermo e da lui ebbe l'incarico di reclutare volontari in Toscana e marciare in Umbria e nelle Marche. Corse poi a Milano, a rivedere la Nina Poerio, che tanto aveva sofferto per lui, e la sposò. Tornò quindi con Garibaldi e combattè al suo fianco, col grado di Colonnello Brigadiere, sul Volturno, a Capua, a Caserta.
Nel 1862 fu ancora con lui nel tentativo di una seconda spedizione nel Mezzogiorno, per la liberazione di Roma, e quindi nel 1866, nella guerra contro l'Austria, al comando di un reggimento. Combattè nel Tirolo con tanto valore da meritare la promozione sul campo a Maggior Generale e la Croce dell'ordine di Savoia. Nel 1867, infine, ebbe da Garibaldi, che lo predilegeva fra tutti, il comando di mille volontari, per l'ultimo infelice tentativo della liberazione di Roma.

(*) Tratto da Sambiase, Storia della città e del suo territorio,Cap.I, pagg.271/276, Temesa editrice 1988

Nota

1. La foto di Nicotera è tratta dalla rivista d'altri tempi "Storicittà" Editore e Direttore Massimo Iannicelli. Si ringrazia.

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Una lapide dettata da Felice Cavallotti lo ricorda ai posteri:

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In questa casa
Addì IX settembre MDCCCXXVIII
Nacque

Giovanni Nicotera
Che giovinetto

Al grande sogno d'Italia
Suscitando i dormienti
Sacrò audacie sublimi.

Ed esule, cospiratore, soldato,
Da Roma, a Sapri, a Favignana
In Faccia alla morte e a tormenti
D'ogni morte peggiori
Mostrò quanto possa
In Italica anima
Virtù calabrese.
Sambiase

Del suo Figlio superba
Nell'anniversario
Del giorno che lo diede all'Italia
Questa lapide pose
IX Settembre MCMI.