Il brigantaggio

Dichiarazione sugli eventi causati dal regime francese in Calabria

franceseDopo la dettagliata cronistoria sulla vita del brigante Lorenzo Benincasa,pubblichiamo una serie di documenti poco conosciuti al fine di delineare il profilo storico che vide protagonista il brigantaggio e l'esercito d'occupazione francese. Abbiamo tracciato una sorta “paria facere cum aliquo” per dare spazio all'altra faccia della medaglia raccontata dal Jannelli. Tra i documenti filoborbonici-proBrigantaggio che ci sembrano più diretti ed efficaci per deliniare la politica francese abbiamo scelto la testimonianza del Duca di Lauria il quale sosteva : “di non poter reprimere il suo sdegno per i metodi del terrore e del ricatto che furono del Jannelli e del Manhès gli strumenti micidiali".

Charles Antoine Manhès (Aurillac, 4 novembre 1777 – Napoli, 26 agosto 1854) è stato un generale francese, noto in Italia soprattutto per aver combattuto, sia pure con metodi violenti e crudeli, il brigantaggio nel regno di Napoli durante il periodo napoleonico Dichiarazione sugli eventi causati dal regime francese in Calabria

 

Il Duca di Lauria

[....Quasi non bastasse il sangue sparso tra' Calabresi e Francesi, si volle il sangue tra Calabresi e Calabresi versato. A ciò le barbare leggi, più barbari assai gli esecutori. Spogliavansi ora gli altari, ed ora preci si comandavan ad dei inni per vittorie straniere. Ora negarsi i conforti della religione a' condannati, ora chiudersi le chiese e costringer gli abitanti a correr contro a' banditi. Disarmarsi ora gli abitanti, ora spingerli a perseguitare e com­battere; ora straziarli e denudarli, ed ora chieder tributi e temperanza cittadina.

Di qual ferino animo fossero i generali Manhès, Jannelli ed alcuni altri, ma vinti da que' due in barbarie, non è da ricordare. Quali fossero i loro atti iniqui e ferocissimi, il narrarlo partita mente non so se più biasmo che tedio mi arrecherebbe. Massimi orrori ad udirsi, massime vergognose a registrarsi. Armate da schifosi tirannelli, nel dominar le intere popolazioni spinte contro ai banditi. Senza differenza di grado, di condizione, di età, tutti, al suon delle campane a stormo, usciano armati. Erano popolazioni per rupi e boscaglie perseguitanti, banditi per quei selvaggi luoghi perseguitati. Chiusi gli armentí per sanguinosi edítti, il commercio colle campagne vietato, le terre abbandonate e deserte.

Una miseria, un lutto, uno squallore che in niun conquistato paese fu l'eguale giammai. Or un padre di squallida e numerosa famiglia tratto all'istante a morte. Nel suo zaino si erano trovati alcuni grappoli d'uva ed alimento ai banditi si giudicavano. Ora una madre che, ignara del bando, por­tava il giornaliero vitto al figliuolo, lavorante ne' campi. Ora un fanciullo che il recava al padre, poco discosto dalla città. Un prete nel mentre ministrava il pane di misericordia, un sacerdote mentre recava il viatico, senza metter dimora, militarmente uccisi.

Affrettava Manhès cagioni a far uccidere. Quando alla scoperta non v'erano, o non ardiva, alle frodi si volgeva. Profferse pubblico perdono, e buon proceder sarebbe stato a spegner ogni seme di banditi. Al suono delle dolci parole si calavano molti, non sospettando. Ricevuti benignamente, tra la stolta sicurezza di loro sommissione, colti all'improvviso e fatti a pezzi. Taluni introdotti armati nel suo palazzo, erano ricevuti nel perdono, al quale con arte taluna volta alcun danaro si aggiungea. Spogliate poi le armi, uscivano dalla parte opposta, ove da celati sgherri erano assaliti e gettati in profonde carceri. Non permetteva che alcun entrasse nei recessi di sua casa, alcun che se gli avvicinasse.

Pure alcuni, stimati fautori dei banditi, trasse a convito, e poscia dopo i banchetti furono morti. Orribili fatti che l'età nostra vide, ed alla posterità celati si speravano. Con questa fede il Manhès ed il Jannelli adombravano le intenzioni ed appianar voleano le vie della buona concordia. Gli aderenti ai Francesi a queste enormezze ed iniqui atti aiutavano. Per arbitrio o perfide vendette registravano gl'innocenti negli allestimenti del fuoribando. L'assenza di pochi dì dalla terra natale bastava. Ignari delle leggi e del fatto, d'esser rei s'accorgevano al momento della pena. Non assistiti da alcun patrocinio, venivano moschettati. I fatti scellerati si susseguivano rapidamente, ed a tutte le condizioni si allargavano.

Talarico di Carlopoli, capitano di milizie, accusato da un facinoroso, senza altro indizio o riguardo ai suoi servizi, era moschettato. Lui, aderente ai Francesi, dissero che era in corrispondenza col Parafanti e colla Sicilia. Compassionarono tutti alla misera sorte del giovane, ché non vi erano prove; o se furono, derivarono da iniqua malizia. Molte infelici donne violentemente rapite dai banditi a menar vita selvaggia, quando venivano catturate, erano messe crudelmente a morte. I congiunti degli uni e delle altre ristretti in anguste e malsane prigioni. Pestilenziali malattie poco dopo ad essi si appiccicavano, e sì erano spenti. Molti imprigionati così di stenti estremi perivano. A' moribondi negati i conforti della religione. Uccisi in terra, disperar dovean del cielo.I banditi, cui la carceri non uccideva, furono condannati al supplizio. A queste sanguinose tragedie si aggiungevano fantastiche ed orribili forme e rappresentazioni. Posti in lunghe file, cavalcando asini in isconce maniere, con berretti dipinti a fiamme, menati in trionfo dal carnefice. E perché nulla mancasse in sì nemico tem­po a questa rabbia. Preso appena talun bandito fu con un chiodo alla gola conficcato ad un albero. Ad altro distillato olio bollente sulle piaghe, a questo lacerate con ferri, a quello con nerbi le carni. I governanti poi comandavano ad intervalli le esecuzioni, per­ché a duraturo spavento servissero. Orride le strade da Reggio a Castrovillari per teschi di uccisi affissi a' pali. Come il delitto, perdeva così la morte il suo orrore. Con quei teschi vidersi scherzar i fanciulli nei campi ed esserne incuorati ed applauditi. Tanto le menti eran use a spettacoli di sangue. E per lunga pezza cada­veri bruttamente sformati pendetter da' tristi rami ludibrio dei venti.

Taglieggiati, angariati gli abitanti se alla persecuzione dei banditi non concorressero; mentre i banditi i campi dei perseguenti bru­ciavano. Ma più la desolazione si allargava e più dalla fame erano straziati. Cacciati dallo spavento e dalla mala coscienza, con non meno orribili atti si vendicavano. Ferro a ferro, fuoco a fuoco, ferocia a ferocia opponevano. Si cibavano lungamente degli ani­mali più schifi; i più venivano meno di stenti nelle selve. I superstiti, aggirandosi con occhi infossati e torvi, vendevano caro l'avanzo della loro misera vita. Colto Beníncasa,che infestato aveva i dintorni di Nicastro, si difendeva contro un centinaio di Francesi e legionari. Ferito, si curvò a baciar il solo compagno di sua fortuna mortogli a fianco, e, poi cadde. Altri volevano attraversare le acque ingrossate dell'Angitola. Assaliti, si difendevano disperatamente; ma venute meno per la stanchezza le forze, si aiutavano l'un l'altro.

Strane furono le maniere di morte di altri. Chi, mancate le munizioni, dava fuoco al pagliaio, in cui si era difeso; chi fa­cendo saltar in aria vecchia torre, chi di fame in abbandonati casali, chi precipitandosi dalle rupi. Costretti alcuni dalla rabbia patriota di servir da carnefice l'un all'altro, si rifiutavano con orrore. Ciascun di per sé si slanciava e davanti la morte. I più facendo atti e pronunciando festevoli motti. Del che, nel dì precedente alla morte, in favor di loro congiunti o loro donne facendo scommesse. Impossibile il narrar tutti gli atti o detti di tal natura. E spiace­vole a me ed agli altri sarei a raccontar tanti e somiglianti casi, atroci tutti e continui. Ma essendo i più feroci banditi, difensori di niuna causa che legittima fosse, degni di supplizio e non di pietà, altro sentimento non destavano che di stupore ]...

La testimonianza del Duca di Lauria e tratta dal libro "Cronache della Calabria in guerra" di Atanasio Mozzillo,p881, edito da Scentifiche Italiana,1972.