Il brigantaggio

Il brigantaggio nelle Calabrie durante l'occupazione francese

Note essenziali sulle vite dei più famosi capi-briganti delle Calabrie(1)

Paolo Mancuso detto Parafante

nacque in Scigliano da parenti civili, pria di scorrere la campagna, per litigi dotali tirò un colpo di archibuggio al di lui cognato che ne restò ferito; in seguito d'un tale avvenimento si fece capo di briganti e col pretesto di difendere il partito degli inglesi fu uno dei terribili flagelli dell'umanità, e delle Calabrie. Alla testa di quattro in cinquecento banditi dei quali un centinaio a cavallo scelse per fare soggiorno i boschi del Cariglione alla sommità della Grande Sila Da quelle alture tantosto scendea verso i boschi del golfo di Sant'Eufemia dove interrompea il commercio della pubblica strada da Cosenza a Nicastro e da Nicastro a Monteleone, sovente scendea nel Marchesato dove esercitava ogni specie di sceleraggine, e di rapina.

Fra questi si contano il massacro del tenente Filangieri di Garafa, gentiluomo di Cosenza e di molti soldati di linea e fece bollire il primo in una mandra di pecore dentro una grande caldaia e fece pasto ai suoi cerberi delle carni di quell'infelice. Le mutilazioni di ogni genere non si possono narrare, colui che non ubbidiva ad un picciol suo cinno era sicuro di avere reciso il naso o le orecchie. Qualunque abitatore della campagna che avesse rivelato i suoi transiti, la sua dimora, o che avesse detto di averlo veduto era sicuro della morte, o di essere mutilato di uno dei membri del suo corpo.

Il giorno 9 dicembre 1810 l'ajutante generale Iannelli scoprì il ricovero dello scellerato Parafante situato nel centro del bosco del Cariglione in un luogo distante 18 in 20 miglia da qualunque abitato. Questo era sotterraneo vestito di legname dove vi era una immensa provigíone di farina, grano, lardo, preciutto, Orzo, legumi, un tale asilo fu bruciato il giorno del io del suddetto mese, uno dei briganti morì ed i cani restarono estinti.

Il giorno 15 dicembre l'ajutante generale Iannelli incontrò sulla d'Ampollino nella Sila la banda del suddetto capo brigante, forte di 300 circa briganti appiede e 70 circa a cavallo, l'attaccò, li disperse e dopo un vivo combattimento vi restarono morti i briganti Nicola Pascuzzo ed Antonio Foca di Pedivigliano, Fortuna Capuozzo dei Parenti, Rosario Mazzei di S. Giovanni in Fiore e restarono presi il famoso Angelo Rizzuto fatto capo di Parafante con 47 dei più facinorosi: dietro un tale affare la banda fu totalmente distrutta e Parafante fuggì con dodici dei suoi più fedeli compagni e la donna.

Il giorno 13 febbraio 1811 l'ajutante generale Iannelli in persona circondò nel bosco del Migliuso il suddetto capo coi suoi 12 compagni, e dopo un conflitto di 4 ore Parafante vi restò morto con tutti i dodici assassini e la donna fu presa viva. Combatté con un coraggio da disperato; la sua morte costa la vita di sei brave guardie civiche, che quasi tutti restarono estinte dalle sue mani e tre altre furono ferite, morì in età di anni 28.

Questo mostro incendiava per gusto gli alberi fruttiferi dei pacifici proprietari. Il signor Pepe di Squillace ebbe dal suddetto incendiato un fondo di ulivi. Il giorno 25 dicembre 1810 l'ajutante Iannelli incontrò il suddetto scellerato alla testa della sua formidabile banda nelle marine di Soverato e Sanguinario ed occupate le alture ed i forti saglienti dei briganti dopo un vivissimo combattimento li gettò nel mare ove cercavano di guadagnare delle barche per sottrarsi ad una meritata morte, riuscì il loro progetto vano e le brave guardie civiche l'inseguirono fino alle sponde della marina deve lasciarono la vita i facinorosi briganti Nicola Clericò di Crozzo, Domenico Latrella, Saverio Carcoglionete, Giuseppe Carfalla, Giuseppe Calabritta, Damiano Greco, Sciabolella, Emanuele Saveri, Aiello Gattara. Riuscì al solo brigante Giuseppe Russo di scappar in tale azione dove la sua banda fu interamente distrutta.

 

Giuseppe Russo detto il Tiranno
senza anima nacque in Monte Paone nel Distretto di Catanzaro da vilissimi parenti, ed esercitava il mestiere di guardiano di bovi; portato alle scelleraggini fu il primo del 1806 a mettersi alla testa dei briganti di Gasparina e sue vicinanze; esercitò sempre il suo brigantaggio nei paesi siti sul mar Ionio cominciando da Squillace e Gasparina fino alle montagne di Assi e di Stilo, più volte entrò a mano armata nei paesi di Montauro, Gasparína, e Monte Paone, prese in Montauro a viva forza, l'Arciprete ed altri gentiluomini primari, prese in Monte Paone l'Arciprete M. Pollinzi, il figlio del signore Muraca, e fece pagare a tutti i suddetti delle somme esorbitanti. Le uccisioni, i massacri, le mutilazioni che commise un tal mostro sono infinite, se ne racconta una per formar l'idea del suo crudele carattere; incontrò nel territorio di Squillace quattro mulattieri con quattro muli di loro pertinenza e dopo di averli spogliati di tutto ciò che avevano recise ai quattro infelici ed oltre ai muli le teste e prese gli otto teschi, l'appese ad un albero alternando una testa di uomo con un'altra di bestia.

Il giorno 9 febraro 1811i il suddetto scellerato fu cinto dalle colonne mobili e dall'ajutante generale Iannelli nel palazzo del signore Giacinto Madonna in Stallatti [Staletti] che l'avea asilato per un'infame venalità, dopo un combattimento di quasi un'ora il tiranno senz'anima, restò morto e don Giacinto Madonna ferito: morì in età di anni 30.


Giuseppe Rotella detto il Boia
nacque in Tiriolo da vili genitori, dopo il 1806 si pose brigante in campagna, e si fece capo di molti assassini di Tiriolo, di Amato e vicinanze, esercitava il suo brigantaggio sulla strada pubblica che da Nicastro conduce a Catanzaro per S. Raimonda. Una tale strada mentre visse un tal mostro insigne fu chiusa ad ogni sorta di viaggiatore; quante volte i cacciatori francesi vollero azzardare in picciol numero per questa strada vi lasciarono la vita, se ne contano al di là di 30. L'iniquo Boja avea il costume di tagliare il naso e le orecchie a chi incontrava o di farlo divorare dai suoi cani che aveva accostumati di fare simili scempi. Gli infelici abitanti di Feroleto sperimentarono per lungo tempo la più crudele tirannia di questo prodigio di crudeltà. Si vedono oggi quasi tutti i campagnuoli di codesto paese, senza orecchi e molti senza naso, monumento della ferocia dell'empio Rotella.

Il suddetto prese un giorno agli abitanti 130 teste di bestiame vaccino, ed indi chiese al comune di Feroleto ducati 4.000. Feroleto ricusò di pagare una tal somma ed il Boja con tutto il bestiame [andiede] sulle rupi di Caraffa, dopo d'averlo egli ed i suoi compagni trafitto a colpo di coltello lo precipitò in una profondissima valle, per più tempo l'aria fu infetta dalla presenza e dal fetore delle carni di quegli infelici animali.

Nel 1809 il Boja colla sua banda entrò colle armi alla mano nel villaggio di Caraffa dove massacrò da 42 abitanti delle primarie famiglie, rubò e trasportò seco una donzella di anni 14 appartenente alla famiglia Grandi la prima in Caraffa; accostumò così bene la detta giovane alle armi e al genere di vita che egli menava di modo ché fra poco ella divenne coraggiosa e crudele al pari di lui; quando fu distrutta la sua banda ed il Boja era obbligato salvarsi la vita fuggendo da un luogo ad un altro accadeva sovente che egli si abbandonava al sonno e la donna lo custodiva con le armi alla mano. Finalmente il giorno 4 settembre 1810, fu attaccato dal detto ajutante generale Iannelli nel passaggio che si fa dalla Fiurnarella di Catanzaro al fianco del [fiume] Alli, dove il Boja lasciò la vita, e la donna rese le armi: morì in età di 30anni, fu dei più coraggiosi fra tutti i briganti.

 

Vincenzo Luca detto Zampogna
nacque in Policastro da un massaro, sortito dall'adolescenza uccise il proprio padre e si pose in campagna, divenne il terrore del Marchesato, rapì molte donzelle, massacrò e mutilò molte persone d'abene distrusse molte mercanzie ed animali, ed incendiò molte proprietà.

La sua banda composta dal di lui fratello egualmente scellerato e da cinquanta altri individui fu distratta in diversi attacchi dall'aiutante generale Iannelli. Egli e il di lui fratello furono presi il giorno 14 di dicembre dal signor ufficiale ed indi giudicati dalla Commissione Militare ed afforcati. Vincenzo Luca morì in età di anni 28, Francesco 31.

 

Domenico Pasquale Saverio ed Antonio Cefali detti gli Azzariti
nacquero in S. Pietro di Maida da una famiglia di galantuomo, in epoca anteriore al 1799 si posero in campagna e cominciarono a commettere ogni sorta di estorsione: nel 1806 presero il partito degl'inglesi e commisero con sevizie massacri infiniti trainati con i di loro partigiani fra i quali il figlio di L. Vincenzo Fabiani famiglia primaria di Monteleone, incendiarono alla detta famiglia tutte le possessioni e la ridussero in stato di bisogno, commisero massacri di ogni sorta, mutilarono frequentissimamente; furono il terrore di Maida, San Vito, Serrastretta, Filadelfia e Squillace. Erano costoro diretti da un loro zio chiamato Domenico Antonio Cefali di Azzariti, costui correva da paese in paese, ed ordinava gli incendi ai suoi nipoti, e le stragí, gli Azzariti avevano una compagnia di circa tre[cento] briganti di lacurso, Curinga, Filadelfia.

La suddetta compagnia fu distrutta dall'aiutante generale lannelli, e loro vi perirono in diversi rincontri cioè Pasquale Cefali morì nel 30 novembre 1810 in età di anni 24. Il 20 marzo 1811 di anni 34 Antonio. Il 5 aprile 1811 Saverio nel detto giorno, e lo zio fu arrestato e giudicato a' ferri in vita.

 

Angelo Rizzuto
nacque nel villaggio dei Parenti da vili genitori, dimorò 18 anni in campagna commise i suoi eccidi che tutti gli altri briganti, fu capo di una comitiva di 40 circa persone di paesi di Cotronei, Misuraca, S. Giovanni in Fiore. Signoreggiò nella Sila e nel Marchesato ed aggi di concerto con Parafante, il giorno 17 dicembre 1810 fu chiuso dall'aiutante generale lannelli in persona fra la Valle di S. Antonio e la montagna di Mollarotta presso Misuraca; forzato dalla fame fu preso con tutti i suoi compagni i più
facinorosi, fu condannato dalla Commissione Militare a morire sulle forche in età d'anni 39.

 

Francesco Domenico e Pietro Marinaro detti Rinfreschi
nacquero in Cortale da una famiglia civile; nel 1806 uniti alli quattro fratelli Penna del medesimo Comune e a 30 altri briganti di Contrada, lacurso, Girifalco, formarono una compagnia che fu chiamata la terribile fra quanti scellerati esisterono nelle Calabrie; questa ebbe il primo rango nella crudeltà. Essendo stato ucciso uno dei loro compagni in un conflitto dal civico Antonio Bilotta, riuscì l'indomani ai scellerati di avere nelle mani il vecchio padre di Antonio Bilotta e presolo vivo lo legarono al cadavere dell'estinto loro compagno, e così lo fecero barbaramente morire; tagliarono molte volte alle loro padrie le acque e ne riscossero dei tributi, proibirono i lavori della campagna, uccisero, e mutilarono molte persone oneste.

I suddetti scellerati per disposizione dell'ajutante generale Iannelli il giorno 28 ottobre 1810, furono chiusi nel villaggio di S. Vito, dove perirono tutti e sei i fratelli Penna ed i più terribili loro compagni. Francesco morì in età di anni 28. Domenico di anni 27. Pietro di anni 24.

 

Francesco Muscato detto il Bizzarro
nacque in Vazzano da vilissimi genitori; nella sua primissima età fu servo della famiglia de Sanctis la più distinta del paese. Sedusse la figlia nubile dei suoi padroni donna Felicia de Sanctis e per più tempo, ebbe con la medesima un carnale e segreto commercio. Si avvidero il padre e lo zio della giovine del tradimento del servo infedele, e dopo di averlo bastonato fortemente, per loro cooperazioni, lo fecero partire per Napoli come soldato nei reggimenti di Ferdinando IV. Nella entrata delle armi francesi nel Regno riuscì al Bizzarro di abbandonare le sue bandiere e si trasferì subito in Vazzano dove sorprese nella chiesa gli infelici suoi padroni, e li massacrò ambedue tagliandoli a pezzi, saccheggiò la loro casa, e condusse seco nella campagna la sua amante donna Felicia che lo seguì, ma si crede che questa sconsigliata giovine fosse stata d'intelligenza nell'esterminio dei suoi genitori. Cominciò sin d'allora il Bizzarro a formare una banda di briganti, si pose alla loro testa e saccheggiò Filadelfia, Francavilla, Vazzano, commise stragi e delitti di ogni genere, le sue crudeltà gli valsero la protezione di Carolina che gli diede il grado di capitano delle masse.

In uno degli attacchi fu presa dalle truppe francesi la detta Felicia de Sanctis la quale per domanda dei suoi parenti soprattutto fu posta dal governo in uno dei rinformi di Napoli.

Continuò il Bizzarro la sua carriera nei delitti, uccise con sevizie il capitano Loredo di Monteleone, il tenente colonnello Lombardi di Polistina e molti ufficiali civici nonché molte altre persone oneste.

Nel mese di giugno 1809 nel tempo della spedizione marittima inglese Bizzarro alla testa della sua banda entrò in Rosarno, massacrò il comandante e quattro altri uffiziali Civici ai quali recise la testa.

Il giorno 10 agosto del detto anno l'ajutante generale Iannelli, marciò sopra Laureana dove dietro un combattimento di più ore disfece tutti i briganti riuniti fra i quali vi era la comitiva di Bizzarro; si trovava ancora in quella riunione Andrea Orlando divenuto capo di una compagnia di briganti più per circostanze particolari che per scelleraggine; Orlando non aveva mai ucciso, né commesso alcuna violenza; si guardava in campagna e serviva gli inglesi; più volte aveva incontrato degli uffiziali francesi isolati. Egli li scortò al loro destino dicendo loro di essere un uffiziale civico col suo distaccamento; Orlando di costume più onesto, non amava le rapine, la crudeltà e la truce maniera del Bizzarro, l'ajutante generale Iannelli protetto dalla discordia esistente fra i due capi trattò la presentazione d'amnistia di Orlando, alla condizione che egli si fosse cooperato alla distruzione della banda di Bizzarro, riuscì perfettamente il progetto: Orlando si dichiara contro Bizzarro, l'attaccò lo disperse e condusse ivi in Monteleone dodici dei più facinorosi briganti della compagnia di Bizzarro, che furono subito afforcati essendo stati presi da lui con le armi nella mano.
Orlando con la comitiva di 120 individui fu ammesso all'indulto ed oggi per servizi importanti che non ha mai cessato di rendere si trova tenente nella compagnia scelta del distretto di Monteleone. La persecuzione contro Bizzarro dívenne sempre più attiva, la sua comitiva fu considerata indebolita; finalmente nel 1810 inseguito ed incalzato in tutti i punti, si rinserrò nel bosco della Lauria del Golfo di Gioia.

Era egli restato con tre compagni ed una sua druda alla quale per goderla liberamente uccise il suo marito e ancor brigante, e suo compagno: credendo di non essere sicuro in tale asilo avea formato il progetto di passare nei boschi dell'Aspromonte, ed imposto avea i suoi compagni, ed alla donna di seguirlo; questa ultima ricusò di ubbidirlo e li manifestò la sua intenzione di volersi nascondere in qualche villaggio; passarono in parole oltraggianti ma il Bizzarro finì la questione cavando il suo coltello dalla tasca, tagliandole la faccia e ferendola in una mano. Tali offese determinarono la donna ad eseguire il progetto di assassinarlo, ed infatti nel centro della notte gli scaricò nel petto la di lui stessa carabina e gridando ai compagni allerta che vi sono le Civiche fuggì; in tal guisa che morì lo scellerato Bizzarro in età di anni 36.

 

Francesco Curcio detto Orlandino
nacque in Petrizza da Domenico Curcio Massaro di bovi; nel 1806 egli, ed il padre si posero in campagna per favorire il partito di Ferdinando; formò una banda di 40 circa persone, e fu il terrore dei circondari di Davoli, Satriano, massacrò molti soldati francesi, e non pochi pacifici abitanti, mutilò, stuprò ed incendiò molte possessioni ed alberi fruttiferi; questo scellerato, per maggiormente ingannar le Civiche, vestì la sua comitiva con pantaloni bianchi ed abiti alla francese, e con questo mezzo li riuscì più volte di evitare, ed eludere le persecuzioni della giustizia. La banda dello scellerato fu distrutta dall'ajutante generale Iannelli.

Il detto ufficiale riuscì a guadagnar l'animo di due briganti della detta comitiva Vincenzo Sera e Francesco Carcaglioniti, promise e diede a loro l'indulto alla condizione di scoprirli la dimora del loro capo: Orlandino e la sua banda erano ricoverati in una torre due miglia distante da Petrizza, Sera e Carcaglioniti presero un pretesto, partirono e ne avvisarono le truppe.

La torre fu all'istante investita e circondata dalle colonne dell'ajutante generale Iannelli nella notte dei 29 novembre 1809, incominciò il combattimento il più ostinato, i briganti si batterono con un coraggio da forsennati. Francesco Piromallo di Chiaravalle, Gregorio Grillone di Gasparina, il padrone della torre che aveva asilato gli assassini morirono nell'attacco: Orlandíno, il padre, ed i suoi compagni combatterono per 24 ore finché mancarono loro le munizioni e furono obbligati ad arrendersi a discrezione.

È da rimarcarsi che tra i briganti presi si è trovato la moglie, vestita da soldato francese; la quale donna avea ingannato con un coraggio straordinario; così finì tutta la banda del famoso Orlandino.

 

Antonio Colacino detto Gorigoro
due fratelli Crocerio, tre fratelli Puccio detti Volpe e Giuseppe Gallo tutti nativi di Tiriolo da vili genitori furono alla testa delle sanguinose rivolte di Tiríolo e Gimigliano, avevano formata una banda di 300 circa assassini, e minacciarono più volte Catanzaro, avevano ridotti gli abitanti di questa città a non sortire le porte; perfidi e sanguinari al par degli altri massacrarono incendiarono e violarono: distrussero molti soldati francesi che restavano isolati, e commisero qualunque eccesso. Nel mese di gennaro 1811 l'ajutante generale lannelli perseguitò la detta banda, l'attaccò e la fece attaccare più volte, molti restarono estinti altri furono presi.

I suddetti capi tutti perirono cioè Antonio Colacino morì il dì 29 febbrai di anni 24. Domenico, Tommaso Puccio furono uccisi il dì 20 gennaio, il primo di anni 20, ed il secondo di anni 22. Vincenzo Crocerio morì combattendo in campagna il 21 settembre di anni 30. Gaetano Curcio giorno 8 novembre di anni 36 e Giuseppe Gallo lasciò la vita il 30 gennaio di anni 28.

 

Giuseppe Pisano detto il Cagno
nacque in Montauro da vili parenti, fu capo di una comitiva che si estendea dalle porte di Catanzaro, fino ai paesi di Davoli, e Satriano, fu un terribile devastatore di campagna, massacrò e mutilò molti francesi, e molte persone da bene, si fece un nome orribile. La sua compagnia fu interamente distrutta dall'ajutante generale Iannelli e lui morì il 30 gennaio 1811 di anni 27.

Tali orde di mostri avevano delle reciproche corrispondenze: agivano di concerto e si prestavano scambievolmente la mano; avevano inventate le morti più tormentose, ed i castighi più snaturati per quei civici che marciavano contro di loro, per quei fra gli abitanti che tardavano un momento di ubbidire alle loro domande, o che ardivano di svelare le loro dimore e i loro transiti.

Le mutilazioni di ogni specie furono infinite: le morti lente, e precedute da sevizie non ebbero numero, i massacri di uomini e di animali, avvenivano in tutti i giorni.

Per mezzi così orribili avevano incusso un terrorismo a tutti gli abitanti in maniera che veruno ardiva pronunciare di loro anzi tutti e molti senza-la propria volontà, e per compito timore erano obbligati ad inviar viveri, ad asilarli, a proteggerli. A moti così estremi tutti si richiedevano i rimedi, la moderazione che l'autorità per secondar la clemenza del Sovrano apposero qualche volta alla loro ferocia, fu sempre creduta debolezza. Fu dunque cosa necessaria mostrare un carattere fermo, frenare le loro scelleraggini ed occuparsi dei soli mezzi possibili per vendicare l'oltraggiata umanità.

L'arresto dei loro parenti e di quei vili che loro inviavano notizie e soccorsi divenne necessario 1° per fargli mancare le sussistenze, 2° per avere nelle mani degli ostaggi, onde frenare le atrocità, che i malvaggi commetteano sulle innocenti vittime che cadeano nelle loro mani; si vide per esperienza che il grido della natura per alcuni dei loro parenti ai quali vivevano attaccati, parlò sovente in quei cuori induriti ad ogni delitto, e sordi alle voci di ogni dovere, molti individui furono restituiti, e moltissimi eccessi vennero impediti per il timore che i parenti dell'assassino che avea commesso l'arresto o minacciato il danno, potessero soffrire delle bastonate o altro castigo.

Fu cosa indispensabile di rendere deserta la campagna nel tempo della viva persecuzione, per fare loro mancare le sussistenze, e così forzarli ad uscire dai loro ripari, combattere per avere dei viveri; la loro tattica essendo stata quella di sollecitare i combattimenti contro forza maggiore.

Questo pensiero io lo proposi al generale Cavaignac il giorno 8 marzo il 1810, io lo eseguii nel mio picciol comando del golfo di Sant'Eufemia e riuscì perfettamente; avendosi distrutte tutte quelle comitive.

Il generale Cavaignac non lo approvò e ne sospese l'esecuzione con sua circolare dei 22 marzo 1810. Arrivato al comando il tenente generale Manhès il primo ottobre 1810 ingrandì il mio comando, anzi lasciò liberi le braccia nella esecuzione. I soldati furono felicissimi, le città i villaggi furono tutti circondati. Non si portavano viveri in campagna. Tutti i giovani civici, e le truppe sortirono armati, e in parte occuparono i boschi ed accompagnarono in quei medesimi posti, ove i briganti si erano per lungo sottratti alle ricerche della gíustizia. Gli uomini più attempati, i feriti stessi, e le Autorità presero le armi, e assediavano le mura.

Le colonne volanti composte dall'altra parte della gioventù serrando tutte le pianure e le vicinanze e le rive dei fiumi non restò in modo alcun scampo ai scellerati.
In seguito da per tutto i luoghi abitati chiedevano loro l'ingresso, le loro posizioni erano occupate da forse maggiori, coreano al capriccio della fortuna e s'imbatteano sovente la morte.

In questo modo quasi tutti perirono, quei molti orribili che erano divenuti il flagello dell'umanità, e il terrore delle Calabrie.

 


Note:
(1) Manoscritto conservato nella Bibliothèque Nazionale di Parigi (Mns.,Fonds Italiens, 1124, fasc.10) tratto da Atanasio Mozzillo in - Cronache della Calabria in Guerra "Bandi e proclami inglesi e borbonici 1806-1807"pp.1079/1079; Ed. Scentifiche Italiane anno 1972 .