Storia antica

Breve storia della Calabria - parte III^

di Mario Caligiuri

La "mala unità": o briganti o emigranti

L'uso delle terre silane che, nel settembre del 1860, Garibaldi aveva concesso ai contadini con il proclama di Rogliano, era stato revocato subito dopo la sua partenza per Napoli. Era stato giudicato troppo nocivo dai proprietari, con alla testa Donato Morelli, appena nominato dal dittatore governatore della Calabria Citra, che proprio in Sila possedeva 900 ettari.

Né dopo andò meglio: sulle popolazioni calabresi si abbatté una serie infinita di tasse: la comunale e la provinciale, la tassa di famiglia e quella sul macinato, oltre all'inimmaginabile tassa di successione e all'impensabile leva obbligatoria. Era davvero una rivoluzione, che a quel tempo veniva meglio definita dalle popolazioni calabresi, come "repubblica", in quanto sinonimo di disordine. E le rivolte, spontaneamente sorte contro i conquistatori, divamparono ancora di più dopo la morte di Cavour, coinvolgendo borghi e villaggi, città e campagne. Alle rivendicazioni sociali si sommarono nostalgie dinastiche, delle quali fu protagonista anche lo spagnolo Josè Borjes, che sbarcò a Brancaleone senza troppi risultati. La Sila divenne il centro del brigantaggio, mentre a decine i comuni calabresi issarono il bianco vessillo gigliato dei Borbone. Tantissime bande operavano nel cosentino e nel catanzarese. Tra queste le più famose quelle di Pietro Monaco, di Pietro Bianco, di Nino Nanco, di Faccione. Quasi sempre erano persone di umilissime origini, però tra loro ci furono anche un sindaco, un medico ed un notaio.

La repressione fu spietata e la lotta ai briganti venne condotta in un primo tempo dal generale Cialdini, alla testa di un esercito regolare che venne impiegato in vere e proprie azioni di guerra. Ma la rivolta era non solo contro il nuovo ordine, ma anche contro le classi sociali che con l'Unità cominciavano a imporsi o consolidavano il proprio potere. Infatti, i proprietari della Sila e del Marchesato vennero a lungo terrorizzati da queste bande. Un brigante che operò anche in Calabria, il leggendario Carmine Crocco, così spiegò il suo punto di vista: «La nostra reazione fu frutto dell'ignoranza, ciò sarà vero, anzi verissimo, ma a promuovere le reazioni vi concorsero pure questi arrabbiati signorotti di provincia che con sfacciata millanteria dicevano: "E' venuto il tempo nostro". E i poveri oltraggiati risposero: "E' venuto pure il nostro"». Pur non raggiungendo le proporzioni di altre zone del Sud, il brigantaggio calabrese ebbe grande consenso popolare, soffuso di leggenda. E calabrese fu la più famosa brigantessa. Si chiamava Ciccilla, al secolo Marianna Oliverio, e guidò per qualche tempo la banda di Pietro Monaco. Arrestata, venne passata per le armi. La Calabria ancora una volta era in fiamme e vi rimase per lunghi anni, segnati da arresti, scontri, rapine, uccisioni. Le leggi eccezionali Pica del 1863, che esclusero la provincia di Reggio, non frenarono lo sviluppo del banditismo, che si diffuse anche nei comuni dell'alto nicastrese. Infatti, vicino Castagna operava una banda di briganti ancora nel 1868. Lo stesso anno in cui lo stesso Garibaldi, consapevole di quello che aveva comportato l'Unità, scriveva in una lettera ad Adelaide Cairoli: «Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate». E Garibaldi aveva ragione perché il consenso che lo aveva accompagnato nel Mezzogiorno era stato sempre massiccio. Anche quando, nel 1862, era ripartito dalla Calabria, per consegnare a Vittorio Emanuele II anche Roma. Era stato fermato sull'Aspromonte dalle truppe sabaude, che lo avevano pure ferito il 29 di agosto.

Ma la storia della Calabria era da secoli la storia del Sud. Questa caratteristica si accentuò con l'Unità. E le cause che avevano provocato il brigantaggio, più alcune nuove, furono i motivi del vasto fenomeno che stravolse la società calabrese: l'emigrazione. Fino all'inizio del secolo partirono quasi 280.000 persone, quasi tutte per gli Stati Uniti. Ma gran parte di chi emigrava ritornava poi in Calabria con i frutti del proprio lavoro, maturati sempre con grandi sofferenze. Il fenomeno riguardava soprattutto le zone interne e ovviamente le persone più povere. Si trattava di braccianti, coloni, piccoli proprietari. Dal 1901 al 1913, su una popolazione media di circa 1.400.000 abitanti, abbandonarono la regione in 439.000. Di essi ritornò meno di un quinto. Anche stavolta il flusso migratorio, che si bilanciava con l'aumento delle nascite, si indirizzò nella quasi totalità verso gli Stati Uniti, l'Argentina e in misura più ridotta, il Brasile. Fu un esodo che provocò la prima grande trasformazione della regione: economica, culturale, politica. Ma oltre agli effetti devastanti, vi furono paradossalmente anche elementi positivi: l'arrivo delle rimesse degli emigrati e l'aumento dei salari, determinato dalla riduzione della manodopera. Non aveva tutti i torti Sidney Sonnino, fautore della libertà di emigrazione, scriveva nel 1879: «L'emigrazione migliora gradatamente le condizioni fatte ai lavoratori della terra per la diminuita concorrenza delle braccia e, quando ben diretta, può inoltre procurare al Paese nuovi capitali se gli emigrati ritornato, influenza gli sbocchi commerciali all'estero se si stabiliscono definitivamente nel luogo di emigrazione». Fu indubbio che in Calabria, pur pagando prezzi enormi, migliorarono le condizioni di vita, soprattutto delle classi più povere. L'Italia era nata e come primo risultato otteneva quello di indurre molti cittadini a espatriare. Proprio in quel periodo, anche in Inghilterra, che era la Nazione più potente d'allora, Oscar Wilde paradossalmente commentava:«L'avvenire dell'Inghilterra sta nell'emigrazione». Non a caso sulla inevitabile necessità dell'emigrazione in un certo senso si espresse negli anni Cinquanta di questo secolo anche Alcide De Gasperi, indiscutibilmente il presidente del consiglio più meridionalista di tutti, sebbene trentino. Nel frattempo il flusso migratorio che interessò la Calabria dal 1876 al 1930, coinvolse oltre un milione di persone. Con sacrifici immensi, costi sociali altissimi, linciaggi. Nel secondo dopoguerra il flusso migratorio riprese, ma con caratteristiche diverse. E nonostante questi esodi, l'aumento demografico è stato molto forte e si è passati dalla popolazione residente del 1871 di 1.200.000 persone a quasi 2.000.000 del 1971. Quasi la stessa popolazione odierna.

In mano ai galantuomini

Subito dopo lo smantellamento dell'apparato repressivo contro il brigantaggio, in Calabria, scoppiò a Filadelfia un moto repubblicano promosso da Giuseppe Giampà, che durò dal 1869 al 1870 e che venne represso. Assistiamo alla creazione del Parlamento e quindi alla nascita di una classe politica, che venne definita: dei "notabili" in Italia e dei "galantuomini" in Calabria. Nella direzione dello Stato, ai nobili si sostituirono i deputati, alla corte il Parlamento, e i poteri del sovrano vennero notevolmente ridotti. Con l'allargamento dell'area della gestione del potere, il ruolo degli uomini diventò ancora più importante e saranno i loro comportamenti che, più che un destino cinico e baro, influenzeranno per la Calabria il corso degli eventi. Comunque, i nobili mantennero una percentuale consistente anche nel nuovo sistema. Basti pensare che ancora nel 1900, chi sedeva nel Consiglio Comunale di Catanzaro per un quarto appartenevano a famiglie nobili. Napoli continuava a mantenere la sua centralità per la nobiltà del Sud. Infatti dei 37 senatori meridionali che intorno al 1880 sedevano al Senato, dove la presenza dei nobili era più marcata essendo di nomina regia, ben 15 risiedevano a Napoli. Le altre famiglie della nobiltà provinciale andavano invece chiudendosi in una dimensione sempre più locale, come dimostrava anche la completa assenza di matrimoni tra la nobiltà catanzarese e quella della corte borbonica dal 1799 in poi. All'inizio si votò soprattutto in base al censo e quindi in media partecipava in Italia il 2% della popolazione e in Calabria anche meno: nel 1870 era ancora l'1,63. I collegi erano 25 e tra questi, nella prima legislatura unitaria, quasi la metà erano nobili.

Nel corso dei decenni, tra i deputati calabresi, erano molti gli aristocratici e furono influenti per lungo tempo i Nunziante, i Barracco e i Compagna che, avendo terre, relazioni e influenza politica, rappresentarono un punto di riferimento per gli interessi di tutta la nobiltà meridionale. Già dalle prime elezioni del 1861 la Calabria sedeva all'opposizione. Infatti la maggior parte dei venticinque deputati assegnati alla regione apparteneva al partito della Sinistra, che nelle elezioni del 1874 conquistò addirittura 23 seggi su 25. Nel 1876, con l'esordio della Sinistra al potere, arrivò anche il primo ministro calabrese: Giovanni Nicotera, al quale Depretis affidò il dicastero dell'Interno. Eletto a Sapri in ricordo della spedizione di Pisacane, della quale era stato uno dei superstiti, Nicotera, che era di Sambiase, fu un personaggio di primo piano nelle vicende della lotta politica italiana dopo l'Unità. Contestatissimo ma anche seguitissimo, tanto che anche a Napoli, affacciato sul lungomare, nelle vicinanze del celeberrimo negozio di cravatte Marinella, c'è oggi una statua che lo ricorda. Altro ministro calabrese fu Bernardino Grimaldi, che da responsabile delle Finanze nel 1879 fece approvare dalla Camera l'abolizione dell'odiata tassa sul macinato, ma fu costretto a fare immediatamente marcia indietro perché si accorse che senza questa entrata il bilancio non poteva quadrare. Fu una tempesta che fece cadere il governo.

Cambiato il sistema elettorale con l'introduzione della proporzionale, vi fu l'aumento dei collegi e l'ampliamento del corpo elettorale, che si triplicava. I vecchi partiti tradizionali si sfaldarono e quella fu la stagione del trasformismo. Furono ministri di questi governi diversi calabresi, anche in dicasteri importanti: Luigi Miceli, Bernardino Grimaldi, Bruno Chimirri, Bernardino Giannuzzi-Savelli, Gaspare Colosimo e di nuovo Nicotera. Nel 1893, quando scoppiò uno dei più grandi scandali dell'Italia unita, quello della Banca Romana, vennero direttamente coinvolti Bernardino Grimaldi, ministro delle Finanze, Luigi Miceli, oltre a Giovanni Nicotera e a Rocco De Zerbi, il quale si suicidò. Altro deputato degno di nota è Achille Fazzari, che nel 1874 venne eletto per la prima volta con un programma preciso: la conciliazione tra Stato e Chiesa. Ma non essendo maturi i tempi, nel 1887 si dimise. In questi periodi i ricambi erano minimi e i mandati parlamentari dei calabresi assumevano le caratteristiche della lunga durata.

Nel periodo giolittiano, la questione sociale si fece avvertire anche nella regione ed esplose con il terremoto del 1905 . Infatti, in mezzo secolo poco si era fatto, e anzi nuovi problemi erano sorti. Si ebbe così la legge 25 giugno 1906, proposta da Bruno Chimirri, che in sedici anni avrebbe dovuto portare la Calabria a livello delle altre regioni. Questa legge venne finanziata con 8 milioni, mentre altri 22 milioni erano stati stanziati dalle leggi sulle bonifiche del 1899, del 1900 e del 1902 per consentire la sistemazione idraulica e il recupero delle pianure calabresi invase dalla malaria. Ma gli eventi successivi vanificarono ogni buona intenzione. Infatti nel 1908 un terremoto terrificante rase al suolo Reggio e devastò 167 comuni della Calabria. Le vittime furono circa 25.000 e in quella circostanza vi fu un grande sforzo di solidarietà del governo.

Nel 1913 con l'estensione del diritto di voto ci fu, per la prima volta, un ricambio consistente. Infatti 7 deputati su 23 erano nuovi. Nel dopoguerra i deputati più prestigiosi furono Giuseppe De Nava, Gaspare Colosimo e Luigi Fera. In particolare Gaspare Colosimo diventò anche vicepresidente del Consiglio nel governo guidato da Vittorio Emanuele Orlando. Nel 1919 la deputazione calabrese fu rivoluzionata. Infatti entrarono combattenti, popolari, socialisti e risultò sconvolta la vecchia organizzazione elettorale delle clientele. Entrarono alla Camera i primi deputati popolari che furono Antonino Anile, Giuseppe Cappelleri, Francesco Miceli-Picardi e Francesco Sensi. Faranno il loro ingresso anche i socialisti Pietro Mancini ed Enrico Mastracchi. Questa, in grandi linee, dall'Unità al primo dopoguerra, la storia parlamentare che si intrecciava con la situazione economica e sociale della regione.

Subito dopo il 1860, le ferriere di Mongiana vennero dapprima smantellate e quindi acquistate dalla famiglia di Achille Fazzari, garibaldino e deputato. E nonostante questo, ancora nel 1901 la Calabria, con il 26% di addetti, era più industrializzata perfino dell'Emilia-Romagna. La percentuale calabrese è rimasta sostanzialmente invariata fino al 1977, quando contava il 25% di addetti nell'industria, rappresentando l'unico caso del Paese in cui fossero diminuiti.

La stampa, che con il Regno d'Italia acquistava un sempre maggiore peso, era divisa in Calabria tra i fautori delle varie fazioni, di personaggi e famiglie. Tra i pochi, si distinse soltanto il prete di Acri Vincenzo Padula che fu un patriota e fondò «Il Bruzio», un giornale sul quale dal 1864 intraprese, in solitudine e poco ascoltato, forti battaglie sulle condizioni economiche e sociali della Calabria. Le comunicazioni ferroviarie, che rappresentarono il primo grande investimento dello Stato unitario, non tardarono ad arrivare anche nella regione, agevolando in modo considerevole le comunicazioni e, soprattutto, cominciando a ripopolare lentamente le zone marine. I tre capoluoghi di provincia, nel gennaio del 1881, a vent'anni dall'unificazione, ricevettero la visita ufficiale dei sovrani Umberto e Margherita, che vennero accolti da popolazioni entusiaste. Nuove città si ingrandirono e assunsero rilievo centri come Monteleone, Tropea, Crotone, Nicastro, Paola, Castrovillari, Rossano, Palmi. Il 20 novembre del 1909, con la messa in scena dell' Aida di Verdi, venne inaugurato il Teatro Comunale di Cosenza, successivamente intitolato al musicista Alfonso Rendano. Tra le indagini parlamentari che riguardarono la Calabria la prima è stata quella sull'agricoltura, presieduta da Stefano Jacini, e poi quella del 1910 della quale fu relatore Francesco Saverio Nitti. In esse venivano messe in evidenza le grandi arretratezze, storiche e strutturali, della società calabrese. E proprio per rappresentare i bisogni delle classi popolari che cattolici e socialisti svolsero anche in Calabria delle meritevoli azioni di promozione sociale ed economica. Don Carlo De Cardona, un prete illuminato, aveva creato a Cosenza un efficiente reticolato di casse rurali, mentre i socialisti avevano dato vita ad oltre 150 Società di Mutuo Soccorso. La regione non fu interessata alle operazioni belliche, ma 20.000 calabresi morirono sul fronte. E come nelle più immani tragedie c'è anche il risvolto della medaglia: il servizio militare obbligatorio, che era stata una delle cause del brigantaggio, e quindi la guerra rappresentarono per migliaia di calabresi la possibilità di conoscere l'Italia. La Calabria con un grande lavacro di sangue si integrava nello stato unitario. Ma un altro rivolgimento, quello fascista, batteva alle porte. Per la Calabria, rappresentò uno scossone ancora più forte, conquistando questa regione alla modernità.

La Calabria in camicia nera

«Il fascismo ha portato la vita politica nei paesi della Calabria; e, per questa via, paradossalmente, ha aperto la strada di una moderna democrazia nell'estremo Sud». Così scriveva lo storico francese Jean Besson già nel 1958. Il fascismo fu un fenomeno autenticamente di popolo, che fece avvertire anche nella regione quello che Giordano Bruno Guerri chiama «vero e proprio terremoto legislativo e sociale». E in Calabria, regione particolarmente sensibile ai fenomeni tellurici, non poteva che lasciare il segno. La grave crisi dei partiti liberali, gli errori delle sinistre, le tensioni sociali scaturite dalla prima guerra mondiale, erano delle forti spinte al cambiamento. Le novità promesse dal fascismo, la sua penetrazione in tutti i comuni, il coinvolgimento delle donne nell'attività politica, l'inserimento dei ceti medi emergenti nella struttura del partito determinarono la creazione di un movimento di massa. Nel 1923 gli iscritti nella regione furono circa 27.000 e nel "manifesto" proposto da Croce agli intellettuali, c'era anche la firma di un giovane giornalista calabrese, Corrado Alvaro. Nelle elezioni del 1924, il Blocco Nazionale proposto da Mussolini ottiene più del 75% dei voti a fronte della media nazionale del 66.3%. Michele Bianchi, quadrumviro della marcia su Roma, ebbe un autentico plebiscito. Tuttavia i socialisti non erano ancora al lumicino: nella città di Cosenza Pietro Mancini, deputato socialista uscente, conseguì più voti di Michele Bianchi, ma meno di Tommaso Arnone che faceva parte del Blocco Nazionale e che diventò anche podestà di Cosenza, lasciando un ricordo molto positivo. La presenza di Michele Bianchi, che era stato il primo segretario del Partito Nazionale Fascista nel 1921, rappresentò un elemento positivo per la Calabria, tanto che di lui si è scritto che da ministro dei Lavori Pubblici (carica ricoperta tra il 1929 ed il 1930, anno della morte) avrebbe «favorito eccessivamente la sua regione».

In effetti le opere del regime trassero la Calabria dall'antico isolamento. Certamente tantissimi problemi restarono irrisolti, ma in quei vent'anni si fece più di quanto era stato fatto dall'Unità in poi. Parte significativa della vecchia classe dirigente liberale aderì in Calabria al nuovo regime, così come avvenne in tutto il Paese. In questo periodo la "questione calabrese" venne affrontata dal nuovo regime. Nel 1923 fu Michele Bianchi che, insieme ad Achille Starace, inaugurava il Parco Nazionale della Sila, dove nel 1932 terminarono gli imponenti lavori dei bacini. Vennero creati i laghi artificiali dell'Ampollino, del Savuto, del Cecita e dell'Arvo che producevano un'imponente massa di energia elettrica. A Crotone nacque il primo polo industriale della regione, con gli insediamenti della Pertusola e della Montecatini, che impiegarono fino a 2000 addetti. Soprattutto tra il 1926 ed il 1931 ci furono investimenti colossali nelle opere pubbliche, che riguardarono le opere di bonifica, le costruzioni stradali, la ricostruzione dei centri terremotati. I "1000" chilometri di strade calabresi in cinque anni annunciato nel 1924 vennero conclusi solo con qualche anno di ritardo. Nella realizzazione delle opere pubbliche furono migliaia le persone che trovano occupazione. Vennero completati i lavori delle ferrovie interne, gestiti poi dalle Calabro-Lucane, che rappresentano dei collegamenti ancora oggi, per alcuni tratti, fondamentali. L'opera di sbaraccamento dei terremotati venne conclusa. La "battaglia del grano" determinò un consistente aumento della produzione. Per dare maggiore efficienza organizzativa, vennero aggregati numerosi comuni: nacque così la "grande Reggio" che comprese i centri vicini, diventando una delle prime venti città del Regno. Infine la bonifica delle zone malariche fu quasi completamente risolta e riguardò oltre 400.000 ettari, soprattutto nelle pianure di Sibari, di S. Eufemia e nella valle del Crati. Nella piana di Lamezia sorse una città, S. Eufemia, che costituì l'ultima, significativa tappa del viaggio che il duce fece in Calabria nel marzo del 1939, accolto da adunate che allora venivano definite "oceaniche". «La politica era per Mussolini», come ci ricorda Marcello Veneziani, «storia in movimento». Scolarizzazione, mobilità sociale, coinvolgimento nella capillare organizzazione del partito rappresentarono lo sviluppo della Calabria in questa fase.

E' evidente che gli elementi negativi che caratterizzarono la politica fascista, e su tutti la scelta della guerra, lo scellerato patto con Hitler, la limitazione delle libertà, la politica razziale, determinarono l'inevitabile caduta di Mussolini. A parte qualche purga e qualche bastonata, il regime non aveva offerto nella regione prove di particolari scelleratezze. Anzi, in Calabria il fascismo aveva dato «l'illusione di una sollecitudine governativa e, per la prima volta, un'impressione di importanza politica». Insieme alle esagerazioni di qualche gerarca, la memoria di alcuni uomini ancora positivamente resiste nel ricordo dei calabresi. Forse sono gli unici politici dei quali, insieme a Giacomo Mancini, il popolo calabrese serbi un positivo ricordo. Oltre ai già citati Arnone e Bianchi, al quale i suoi concittadini di Belmonte hanno eretto un mausoleo, c'è Luigi Razza, morto nel "cielo de Il Cairo" il 5 settembre 1935. Era ministro dei Lavori Pubblici dal 24 gennaio dello stesso anno. A Vibo Valentia, sua città natale, che egli voleva nuovamente provincia, c'è un monumento in suo onore di fronte al Duomo di S. Leoluca. Calabrese era anche Carlo Scorza, il segretario nazionale del partito fascista del 25 luglio 1943.

Tra il 1935 e il 1936, Cesare Pavese venne inviato al confino in Calabria. Nei suoi diari annotò: «La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui, una volta, la civiltà era greca». Questa esperienza del confino, "traspare disincantata" soprattutto all'interno di Prima che il gallo canti e poi nel racconto Terra d'esilio. Sul finire degli anni Trenta venne costruito in Calabria, in territorio del comune di Tarsia, un campo di concentramento, dove vennero ospitati soprattutto ebrei. Entrato in funzione il 20 giugno del 1940, operò fino al settembre del 1943. Nel periodo di attività, la presenza media era di 1.000 persone. Il trattamento fu molto umano da parte delle autorità ed anche della popolazione circostante. Uno dei responsabili del campo, il commissario Paolo Salvatore, venne premiato con una medaglia d'oro sul finire degli anni Ottanta. Di questo lager nella regione non se ne era praticamente accorto quasi nessuno, tanto che solo nel 1984 il Consiglio Regionale della Calabria decise le prime iniziative.

Ma è stato proprio durante il Ventennio che la riscoperta del patrimonio archeologico della Magna Grecia ha ricevuto impulsi rilevanti. Dal 1925 al 1936 Edoardo Galli diresse la Sovrintendenza della Calabria, e, seguendo l'esempio del suo predecessore Paolo Orsi, fece cose importantissime: stabilì il sito di Laos, diede un fondamentale impulso all'individuazione di Sibari e fece edificare nel 1932, su progetto di Marcello Piacentini, il Museo di Reggio. Nello stesso anno, venne scavata al "Parco del cavallo" la presunta sede di Sibari da Umberto Zanotti-Bianco, il quale nel 1925 aveva scritto Il martirio della scuola in Calabria, che aveva suscitato viva attenzione sull'arretratezza del sistema educativo. Fu arginata l'emigrazione della regione e venne ridimensionato quel fenomeno della 'ndrangheta che non aveva le dimensioni allarmanti della mafia siciliana, per combattere la quale il regime aveva inviato nell'isola Cesare Mori, il prefetto di ferro. Ed erano quelli gli anni in cui iniziava la sua paziente opera di studio il tedesco Gerald Rohlfs, il più importante studioso della lingua calabrese. La sua tesi più originale, variamente contestata, è stata quella che la parlata riscontrata in alcuni paesi interni del reggino discendesse dagli antichi Greci. L'avventura coloniale in ritardo portò 8.000 calabresi in Etiopia.

In definitiva la Calabria è la regione da dove emerge, forse con la più grande evidenza, quello che ha per tanti anni scientificamente sostenuto, tra infinite polemiche, Emilio De Felice e che Giuseppe Prezzolini aveva scritto fin dal 1948: «Il fascismo fu formato, diretto, accettato e sostenuto da Italiani». E in più, la Calabria non era stata investita da un movimento antifascista, per nulla dalla Resistenza e dalle persecuzioni razziali ed era stata interessata solo marginalmente dalla guerra combattuta. Anche per la seconda guerra mondiale, però, la Calabria pagò un duro tributo di sangue con migliaia e migliaia di morti.

La repubblica: il "ritorno della monarchia"

Caduto il fascismo, circostanza che in Calabria non suscitò eccessivi entusiasmi, la regione nel 1943 venne bombardata e attraversata dalle truppe alleate. Al voto per il referendum istituzionale la monarchia superò il 60%, mentre all'Assemblea Costituente la Democrazia Cristiana era già il primo partito della regione, per restarlo ininterrottamente fino al 1992. Il primo problema da affrontare era quello della terra, in una regione dove gli addetti all'agricoltura erano il 63% della popolazione attiva. Le tensioni, specie in Sila e nel Marchesato, erano molto alte e ad esse si era data una efficace ma purtroppo parziale risposta con i decreti che vennero emanati nel 1944 dal ministro dell'Agricoltura Fausto Gullo, comunista cosentino, che da allora venne sempre indicato come "il ministro dei contadini". Le occupazioni delle terre si susseguivano ed emblematici furono gli episodi di Calabricata, presso Sellia, dove nel 1948 fu ucciso un contadino e, soprattutto, quello di Melissa, dove il 30 ottobre del 1949 vennero uccisi due uomini ed una donna: Giovanni Zito, Francesco Nigro e Angelina Mauro. In entrambi i casi aveva sparato la Polizia. Nel Paese e in Calabria la Dc era la forza egemone, dotata di un larghissimo seguito popolare. La riforma agraria, che venne predisposta dal Ministero De Gasperi, rappresentò a partire dal 1950 un fatto sconvolgente, dando vita a un esempio pacifico di ridistribuzione della proprietà. Infatti a 156 proprietari vennero espropriati 75.000 ettari, che insieme ad altri 10.000 ettari acquistati successivamente, vennero assegnati a 25.000 nuovi proprietari, tutti lavoratori della terra che coronavano un'aspirazione secolare. Nell'occasione venne istituito pure un ente, l'Opera Valorizzazione Sila, con il compito di fornire assistenza ai neo-proprietari. Con tutti i limiti, allora si trattò davvero di una rivoluzione spezzare quasi completamente il latifondo in una regione dove solo quattro famiglie possedevano, nella sola Sila, 30.000 ettari. Sempre nel 1950 venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno per creare una rete di infrastrutture e promuovere lo sviluppo economico delle aree depresse. In Calabria si aggiunse pure nel 1955 una legge speciale che si proponeva la realizzazione di un piano organico per la sistemazione del suolo. La legge, poi prorogata nel 1968, ha operato fino al 1980. Pur con dotazioni finanziarie non certo sufficienti, stante la vastità e complessità dei problemi e pur con un utilizzo non sempre corretto di questi fondi, anche la legge Calabria, così come l'intervento straordinario, ha provocato indiscutibili benefici. Infatti, con queste risorse sono state realizzate strade, scuole, acquedotti, fognature, asili e tante opere pubbliche indispensabili per rendere accettabile la qualità della vita nei paesi calabresi.

Continuava l'esodo migratorio, stavolta indirizzato solo nei primi tempi oltreoceano, quindi verso l'Europa e infine, ma in modo molto più consistente, verso il triangolo industriale del Nord Italia, dove si stima che, dal 1958 al 1967 emigrassero oltre 700.000 calabresi. Nel contempo si verificarono anche spostamenti rilevanti all'interno della regione, che produssero il fenomeno dell'urbanizzazione, con il concentrarsi della popolazione nei centri amministrativi più importanti. Il caso più emblematico fu quello di Cosenza. Altro fenomeno che si determinò fu quello del popolamento delle coste. Iniziato dapprima lentamente sul finire dell'Ottocento, accentuatosi poi sotto il fascismo, esplose poi negli anni Sessanta e Settanta. Nel corso degli anni è avvenuta una cementificazione selvaggia dei litorali, in particolare quello tirrenico, con la costruzione di brutte case chiuse per gran parte dell'anno che, essendo state edificate in assenza di qualsiasi programmazione urbanistica, hanno il più delle volte deturpato in modo irreparabile alcune delle coste più belle e incontaminate del Mediterraneo. Molti di quelli che sono emigrati fuori regione, hanno raggiunto posizioni importanti nella società italiana. Ma solo se lo hanno fatto definitivamente. Altissimi funzionari dello Stato, giornalisti, professionisti sono calabresi e hanno sempre mantenuto un forte legame affettivo verso la propria regione, che quando possono sostengono sempre. Ma subito dopo la guerra, la lotta politica era ripresa più violenta che mai. Adesso non si contrapponevano solo gruppi ristretti di clientele, ma organizzati partiti di massa. La Dc e il Pci, ma anche il Psi si erano subito imposti nella vita politica regionale. La Chiesa, così come in tutta l'Italia, sosteneva con forza i candidati democristiani. Si registrò anche in Calabria la nascita del "ceto politico" cioè di chi faceva politica per professione. La politica diventava così un mezzo di promozione sociale e spesso anche di arricchimento personale. I partiti rapidamente diventeranno sempre di meno uno strumento di democrazia e sempre di più verranno controllati dagli onorevoli, i nuovi baroni della democrazia, la nobiltà della repubblica e con ciò instaurando una vera e propria monarchia, con tutti i difetti e nessun pregio. Situazione che ha caratterizzato in modo marcato la Calabria in questi ultimi cinquant'anni. Con un'economia debole come quella calabrese, senza una classe imprenditoriale sviluppata, la maggior parte delle risorse sono quelle che provengono dalla gestione della pubblica amministrazione e degli enti locali. Il loro controllo significa poter indirizzare la spesa pubblica anche in direzione del consenso elettorale. Comportamento diventato quasi esclusivo soprattutto a partire dal 1970, quando entrò in funzione l'ente Regionale. La nascita di questa istituzione, che aveva suscitato tante fondate speranze, ha rappresentato finora per la Calabria un oggettivo elemento di debolezza, pur essendo oggi il maggior gestore di risorse finanziarie, soprattutto attraverso i fondi europei e la sanità.

La storia di questa istituzione peggio non poteva cominciare. Iniziò nel 1970 con la rivolta dei "boia chi molla", che paralizzò per mesi la città di Reggio pur suscitando un clamore enorme nel Parlamento e nel Paese. Fu causata dalla circostanza che la città di Reggio si sentiva scippata del titolo di capoluogo di regione a favore di Catanzaro, ma ad essa si sommarono anche rivendicazioni sociali e politiche. La polizia, e poi anche l'esercito, presidiarono la città, scoppiarono circa 700 bombe e ci furono sette morti, dei quali tre nelle forze dell'ordine. Dopo una prima fase in cui si distinse il sindaco della città, il democristiano Piero Battaglia, la direzione della rivolta venne assunta dalla destra, e in particolare dal sindacalista Ciccio Franco, che venne anche arrestato, per poi essere eletto ininterrottamente al Senato dal 1972 fino alla morte, avvenuta nel 1991. Questa vicenda ha deturpato la città di Reggio e ha indebolito fortemente fin dal suo nascere l'istituto regionale, scavando dei solchi tra le varie province e determinando una disfunzione endemica, con la collocazione della sede della Giunta a Catanzaro e con la sede del Consiglio a Reggio Calabria. A ciò si aggiungano le modalità di individuazione dei dipendenti regionali, che non raramente sono state dettate da criteri discutibili. Già il loro numero, oltre 5000, lascia perplessi: è quasi pari a quello della Lombardia. A questi si devono aggiungere gli operai forestali, che ora sono "solo" 15000.

Migliaia di miliardi di fondi statali ed europei sono andati in fumo nell'ultimo quarto di secolo per l'incapacità di politici e di funzionari, dimostrando che qui non ci sono un'amministrazione regionale e degli enti locali adeguati alle esigenze di evolute comunità. E ai limiti dello sviluppo che storicamente la Calabria ha sempre avuto, si sono aggiunti questi ritardi che in un'ottica di lungo periodo sono minimi, ma che nel contingente pesano tanto. Eppure, negli anni Sessanta, nonostante gli indicatori calabresi, caso unico in tutta l'Italia, non volgevano in direzione del "boom" economico, la regione si avvicinò come non mai al resto d'Italia. Merito soprattutto del socialista Giacomo Mancini, ministro dei Lavori Pubblici, leader di primaria grandezza di allora. L'autostrada del Sole, le tre strade trasversali che collegavano lo Ionio e il Tirreno, l'aeroporto di Lamezia rappresentarono davvero i simboli di una Calabria finalmente moderna. E poi strade, scuole, ospedali costellarono tutta la regione. «I lavori pubblici non sono tutto», ammoniva Mancini, che recentemente, ironia della storia, è stato inquisito per voto di scambio e a suo favore ha invece testimoniato anche l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Infatti, la situazione calabrese aveva bisogno di consistenti interventi da parte dello Stato, anche alla luce della rivolta reggina. Il governo predispose il "pacchetto Colombo", cioè una serie di provvedimenti che prevedevano la realizzazione dell'Università a Cosenza, insediamenti industriali a Gioia Tauro con il quinto centro siderurgico, a Saline Jonio e a S. Leo con gli impianti della Liquigas, a S. Eufemia con la SIR di Rovelli e a Castrovillari con un' industria tessile. Complessivamente si prevedevano 25.000 posti di lavoro che però non si sarebbero mai visti e che avrebbero invece rappresentato occasioni di speculazione di gruppi economici privati. Questo ha reso ancora più scettica la popolazione calabrese nei confronti del governo centrale, che invece ha un ruolo decisivo per il decollo della Calabria. Inoltre, fiere perplessità vengono rivolte anche nei confronti dell'ente Regione, per non aver svolto una seria programmazione del territorio e delle risorse, sprecando soldi preziosi e disseminando la regione con una serie infinita di opere pubbliche inutili, inutilizzabili e inutilizzate. Soltanto se i fondi assegnati nell'ultimo quarto di secolo, che è poi quello in cui si sono registrati comunque i maggiori cambiamenti, fossero stati utilizzati e spesi meglio, le condizioni economiche e civili della Calabria sarebbero sicuramente diverse.

Ma l'immagine della regione più negativa l'ha sicuramente data la delinquenza, meglio nota come 'ndrangheta. Fenomeno documentabile fin dai tempi dell'Unità, la criminalità calabrese con l'avvento della stagione dei lavori pubblici degli anni Sessanta, ha fatto un salto di qualità e da fenomeno rurale è diventata "imprenditrice", come scrive Pino Arlacchi. Nel giro di qualche lustro, sfruttando anche le notevoli risorse erogate dalla Regione Calabria, «ha raggiunto un livello di sviluppo e di pericolosità simile a quello della mafia siciliana», secondo quanto risulta attestato nel 1987 nella relazione dell'Antimafia. Collegata con il potere politico e ambienti massonici deviati, la delinquenza calabrese ha forti legami anche oltreoceano. Ma la 'ndrangheta ha assunto notorietà soprattutto con i sequestri di persona, una vera e propria industria dove i calabresi hanno dimostrato grande "competenza". Tra i 620 sequestri del periodo 1969-89, 114 sono stati in Calabria, ai quali vanno aggiunti quelli effettuati dalla 'ndrangheta fuori regione. Il totale presunto è di circa 200, che hanno prodotto oltre 400 miliardi di riscatti. Gli anni Ottanta e i primi anni Novanta hanno rappresentato per la Calabria una vera e propria mattanza con oltre cento assassini all'anno. Tra questi alcuni efferati, come quello di Taurianova nel maggio del 1991, dove una testa mozzata venne buttata in aria e usata come bersaglio da tiro a segno. Altri omicidi sono stati "eccellenti", come quello dell'ex onorevole democristiano ed ex presidente delle Ferrovie dello Stato Ludovico Ligato nell'agosto del 1989 e quello, avvenuto due anni dopo, del giudice Antonio Scopelliti, che indagava su importanti processi di mafia. Tutti episodi che hanno suscitato vivo clamore nell'opinione pubblica nazionale.

Ma il fatto che ha provocato addirittura orrore a livello mondiale, è stato l'assassinio di Nicholas Green, un bimbo americano di sei anni ucciso sull'autostrada vicino Pizzo. I genitori di Nicholas hanno subito fatto espiantare i suoi organi per altri bambini che ne avevano bisogno. E' stata una lezione memorabile che ha commosso tutto il mondo, ma soprattutto la Calabria, dove per ricordare il piccolo americano innocente sono state intestate decine e decine di parchi, scuole, strade. Ma nonostante la palla al piede rappresentata dalla criminalità, che negli ultimi anni ha subito una forte battuta d'arresto, la Calabria sta dimostrando una straordinaria vitalità. Il tessuto imprenditoriale ha prodotto una serie di realtà nel settore agricolo, turistico, industriale che hanno conquistato anche i mercati internazionali. A prescindere dal funzionamento della Regione Calabria, che ha comunque attivato processi economici (inferiori comunque alle possibilità e alle necessità), tante amministrazioni locali sono esempi di buongoverno. Come Rende, il cui piano regolatore è studiato anche a livello europeo, oppure Altomonte, dove il centro storico è stato recuperato e animato in modo ineccepibile. Ma tanti altri centri storici sono di grandissimo interesse come quelli di Cosenza e di Morano, di Pentadattilo e di Rossano, per non dire di Gerace, un'autentica perla, dove, secondo Repaci, si respira «un'arte per l'eternità e non per i giorni». Le potenzialità ambientali sono enormi e i parchi della Calabria (che interessano la Sila, il Pollino e l'Aspromonte) rappresentano delle oasi verdi incomparabili.

E' immenso in Calabria il patrimonio dei beni culturali, come le antiche città greche, ancora in buona misura avvolte nel mistero e quindi da recuperare con opportuni scavi archeologici. Ma, anche se in ritardo rispetto alle altre regioni, si stanno affermando le università. La prima è nata a Cosenza nel 1972 e sta gradatamente imponendosi in tutto il Paese. Presenta, unica in Italia, una struttura residenziale e un accesso a numero chiuso (ma che si sta sempre di più allargando) che la rende simile ai campus americani. La seconda è ubicata a Reggio Calabria, dove opera dal 1981 riprendendo l'esperienza dell'Istituto superiore di architettura, sorto nel 1970. La terza sta per nascere a Catanzaro. Visitando le università calabresi, pur tenendo conto che sono assai recenti, veramente si ha l'impressione di una Calabria nuova, proiettata nel futuro. Di una Calabria in cui la cultura possa esprimersi e dove poeti come Lorenzo Calogero e Franco Costabile (nativo di Sambiase) non debbano essere compresi solo dopo la morte, oppure non debbano vivere fuori dalla Calabria per tutta la vita come Leonida Repaci e Saverio Strati. Una regione dove ci siano giornali, televisioni, case editrici, associazioni, fondazioni e promuovano lo sviluppo della cultura. C'è già parecchio, ma si deve fare ancora tanto, con il sostegno doveroso della società, della Chiesa e delle istituzioni calabresi. Nel frattempo, la sfida tecnologica ha investito anche la Calabria. Quattrocento miliardi sono già stati assegnati per il piano telematico regionale e altri per i parchi tecnologici. E' possibile ottenerli presto. Così come è possibile migliorare la qualità dell'azione amministrativa della Regione e dei Comuni. In definitiva, i nodi della società calabrese sono sostanzialmente gli stessi della società italiana che, per una serie di contraddizioni e di situazioni, qui vengono amplificati. Basta non disperare.

L'arrivo, nel settembre del 1995, della prima nave nel porto di Gioia Tauro, dopo un quarto di secolo dall'inizio dei lavori, non è un fatto trascurabile. Questo porto, che rappresenta uno dei più importanti scali per container di tutto il mondo, ha dato l'immagine di una Calabria moderna che può riprendere a svolgere un ruolo nel Mediterraneo in funzione dell'Europa. Una regione, insomma, che ha già in sé tutte le potenzialità per costruire il proprio futuro, ripartendo appunto dai luoghi che venticinque secoli fa vennero toccati dai Greci in cerca di fortuna. E che proprio in questa terra trovarono l'America.

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