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Fatti di cronaca della picciotteria italo-canadese e americana tra il 1900-1940

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Ellis island - l'isola delle lacrime (1)Storie,fatti e personaggi dei ''cugini d'America''

"Frammenti di cronaca attraverso una nostra ricerca e gli articoli di Antonio Nicaso"

- Prima parte -

Premessa di Giuseppe Ruberto - webmaster del sito
Gli articoli a firma di Antonio Nicaso sono stati pubblicati il 2001-10-11 sul "Corriere canadese" nella rubrica - Gli speciali - "Tutto sul crimine organizzato in Canada e nel mondo - Un'inchiesta in ventidue puntate", edito da Mafie collana editrice. Antonio Nicaso nato a Kaulonia (Rc) è giornalista e scrittore - vive e lavora in Canada e autore di best-seller di risonanza mondiale.

E stato condirettore del Corriere Canadese e siede nel consiglio del Nathanson Centre di Toronto, dedito allo studio del crimine organizzato e della corruzione. Considerato un esperto a livello internazionale sulla criminalità organizzata,ha pubblicato finora tredici libri,tra i quali alcuni bestsellers che sono stati tradotti in varie lingue. E' partner della Soave Strategy Group,una società di consulenza con sede a Toronto e dirige la casa editrice -Mafie. Si ringrazia l'autore per aver concesso la pubblicazione . I nostri più sentiti ringraziamenti.

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Dalla Markham Gang alla Mano Nera -
"Un'organizzazione criminale composta da immigrati britannici taglieggiava in Ontario prima ancora della nascita della Confederazione ".
di Antonio Nicaso

In Canada non ci sono mai stati un Joe Petrosino(a), né un Vito Cascio Ferro(b) ai primi del Novecento. Ma c'è stata la Mano Nera(c), quell'organizzazione che, nata per assicurare "protezione" agli immigrati, si è subito trasformata in una terribile aggregazione gangsteristica che non ha esitato a taglieggiare i piccoli imprenditori dei quartieridormitorio nelle varie Little Italy.

È stato don Vito Cascio Ferro, il boss siciliano emigrato negli Stati Uniti, ad inventare il racket delle estorsioni. «Fateci bagnare u pizzu», il becco, dicevano gli strozzini della mala alle vittime designate.
A pubblicare nel 1903 per la prima volta la notizia di una lettera estorsiva ricevuta da un negoziante e firmata con le impronte di una "mano nera" fu il "New York Herald", secondo cui a tirare le fila dell'organizzazione che, in quegli anni, dissanguava i piccoli commercianti di Brooklyn era Annunziato Cappiello, un emigrato di origine calabrese.
Una delle tante famigliole italiane all'arrivo al porto di Ellis island ''New York''

Agli inizi del Secolo organizzazioni simili cominciarono a muovere i primi passi anche in Canada. Nel 1908 la polizia entrava in possesso della prima lettera firmata da questa sinistra organizzazione. Avvenne a Fort Frances, una cittadina dell'Ontario.
Non fu un caso isolato. Il 7 dicembre di quello stesso anno in un'altra cittadina del Sud Ontario un certo Nicholas Bessanti ed un suo connazionale, che si faceva chiamare Joe Ross, inviavano una lettera estorsiva, scritta con inchiostro rosso e in italiano, ad un panettiere del luogo, Louis Belluz. Finì male per gli estorsori. Bessanti agli inquirenti ammise di essere stato costretto a legarsi alla Mano Nera: «Ho giurato fedeltà ed obbedienza all'associazione».
Raccontò che il patto prevedeva di rubare, incendiare, uccidere, a seconda delle indicazioni del capo, ma soprattutto impegnava i vari affiliati a proteggersi l'uno con l'altro per eludere le indagini della polizia. Si riunivano ogni sabato sera ed in quella occasione decidevano il da farsi. «Chi disobbediva alle leggi della Mano nera veniva punito, in casi estremi anche con la morte».
A Welland, dove vivevano molti italiani impegnati nella costruzione dell'omonimo canale, la polizia venne in possesso di altre lettere estorsive inviate a piccoli imprenditori.
Sono documenti importanti per capire l'ambiente in cui germinava questo fenomeno criminale. In una di queste indirizzate a Fred Guido, i taglieggiatori chiedevano il pagamento di 5mila dollari da consegnare «alle ore 3 dopo la mezzanotte.nel cimitero cattolico».

Nella chiusa della lettera, scrivevano: «Sappiamo che sei persona che può corrispondere caso contrario vi succede disturbo».

Molti dettagli vennero alla luce durante un processo celebrato ad Hamilton nel 1909, dopo l'arresto di John Taglierino, Samuel Wolfe, Carmelo Columbo e Ernesto Speranza, accusati di estorsione ai danni di Salvatore Sanzone. Fu il primo grande caso giudiziario che coinvolse la Mano nera in Ontario.

La polizia arrestò Wolfe, Columbo e Speranza grazie alla collaborazione di Sanzone. E risalì subito dopo al capo dell'organizzazione Taglierino, autore delle lettere inviate a Sanzone che aveva un negozio di frutta e verdura su North James Street ad Hamilton, uno dei centri siderurgici più importanti del Canada.

I quattro vennero condannati, ma Sanzone visse per molti anni nel terrore. Altri casi si registrarono in quegli anni a Copper Cliff, Burlington e Niagara Falls.
Un altro caso clamoroso ebbe il suo epilogo in un'aula del tribunale di Welland il 21 febbraio del 1928, quando Giuseppe Italiano di Niagara Falls venne condannato a 9 anni di reclusione, diciotto frustate e all'espulsione dal Canada.

Tutto era cominciato il 2 novembre del 1927, quando Frank Mango, proprietario di un negozio di calzature su Portage Road, a pochi passi dalle cascate, ricevette una lettera contrassegnata da alcuni inequivocabili simboli: un pugnale, un cuore, una croce e una cassa da morto. Nella lettera, spedita da Buffalo, negli Usa, una minaccia di morte ed una richiesta estorsiva: 4.000 dollari.

Il 7 novembre, dopo un altro avvertimento, la veranda della casa di Mango venne fatta saltare con una carica di esplosivo. Dieci giorni dopo Mango ricevette la visita di Giuseppe "Joe" Italiano, anche egli residente a Niagara Falls. Fu un colloquio molto esplicito.

«La Fratellanza vuole i soldi», gli disse Italiano senza mezze parole. Mango replicò di non avere 4.000 dollari e accettò di pagarne 400 in quattro rate. Italiano incassò i primi 300 dollari, biglietti segnati dalla polizia, la quarta volta il boss finì nella trappola degli inquirenti.
Il giorno della sentenza a Welland, il giudice McAvoy usò parole forti contro la Mano Nera e contro Italiano: «Non c'è spazio in Canada per la vostra organizzazione», tuonò.

Fu l'ultimo caso legato alla Mano nera nella penisola del Niagara.
Ma non era stata quella la prima volta che il crimine organizzato si era affacciato sulla scena canadese.
Prima ancora che nel 1867 il British North American Act sancisse la nascita della Confederazione una potente organizzazione terrorizzava la Township di Markham.
Erano tutti di origine britannica ed erano noti in quegli anni per la loro nefandezza. Conosciuti come la "gang di Markham", truffavano, rubavano e uccidevano.
Di loro si parla anche in un libro "Four Canadian Highwaymen" di Edmund Collins.

Avevano creato un'organizzazione sofisticata con un linguaggio criptico per comunicare e con un codice di fedeltà e obbedienza.
«Agli associati», scrive il "British Colonist" in un supplemento pubblicato l'8 luglio del 1846, «veniva chiesto di seguire certe regole e di non tradire i segreti dell'organizzazione, di aiutare finanziariamente, ma anche con la creazione di falsi alibi, i compagni arrestati dalla polizia. Per chi trasgrediva le regole, scattavano pene severe e gli infami rischiavano di perdere anche la vita».

Il processo a Robert Burr, uno degli affiliati alla Markham Gang, iniziato il 25 giugno del 1846, rivela la brutalità di questa organizzazione.
L'imputato con altre tre persone aveva fatto irruzione nella casa di John Morrow, il quale venne picchiato a sangue assieme alla moglie davanti ai figli.
«Eravamo una maschera di sangue», raccontò la donna ai giudici della Corte di Assise. «Ed i nostri figli erano terrorizzati dalla brutalità di quegli uomini». Non è la tua vita che vogliamo, ma i tuoi soldi», aveva gridato Burr in faccia a Morrow.

Foto 2Anche in quella circostanza, il blitz della banda era stato preceduto dalla visita di un falso prete metodista che andando di casa in casa segnalava alla gang le famiglie più facoltose. Burr, assieme a Nathan Case e Hiram e James Stoutenborough, venne condannato a morte.
La sentenza venne commutata poi in pena detentiva dall'Attorney General of Upper Canada, una prassi comune nelle colonie britanniche.
Alcuni giornali cercarono di attribuire agli affiliati un'origine diversa da quella vera, facendo una distinzione tra coloro che erano nati in Gran Bretagna e quelli invece nati nelle Americhe. E ricorsero anche alla povertà ed al sottosviluppo di certe zone.

Da un'inchiesta del "Toronto Examiner", invece, venne fuori che molti degli affiliati alla "Markham Gang" erano britannici, spesso erano «figli di rispettabili agricoltori, sposati con prole» e in molti casi «erano coltivatori diretti di terreni con una superficie di oltre 200 acri»; insomma niente a che fare con il sottosviluppo e le origini oscure.

Si ricorse anche alla politica, dicendo che molti esponenti della gang avevano preso parte alla ribellione del 1837 nell'Upper e Lower Canada contro l'élite che gestiva il potere e che era nota come "Family compact". Una dinastia politicoeconomica questa che continua a dominare in Canada. Ancora oggi.

S.Michele Arcangelo - leggi nostra nota 2Quando su Toronto dominava la picciotteria -
"Un commerciante stanco di pagare il pizzo ammazzò uno dei gregari del boss che gestiva il racket delle estorsioni. E il marcio venne a galla ".
di Antonio Nicaso

L'omertà non era un atteggiamento diffuso. La gente, il più delle volte, non parlava, non perché si atteneva a presunte regole del silenzio, ma perché provava un sentimento forte, la paura, che poco ha a che fare con la condivisione di atteggiamenti mafiosi e si trova, a seconda delle circostanze, a qualsiasi latitudine.
Nei primi anni del Novecento, quando a Toronto, nella zona del porto, comandava Joe Musolino, cugino del famoso brigante(d) calabrese, molti omicidi rimasero impuniti. E alcuni addirittura vennero archiviati dagli inquirenti come incidente. Lo si seppe dopo, quando Musolino venne arrestato e alla centrale di polizia giunsero decine di telefonate anonime. Nessuno però si prese cura di andare alla ricerca di prove e riscontri, nessuno si interrogò su quelle vicende che vennero sbrigativamente liquidate con qualche lieve condanna.

Nel 1911 un ristoratore, stanco di pagare il pizzo, aveva ucciso uno dei suoi taglieggiatori. Venne arrestato, processato e infine prosciolto. Fu l'unico a puntare il dito contro la banda di Musolino, altri suoi connazionali si nascosero per paura dietro l'anonimato.
«Musolino è il capo della picciotteria», raccontò ai giudici. «Ha cercato di coinvolgermi, mi ha proposto di entrare a far parte della sua organizzazione, ma io mi sono sempre rifiutato».

Riuscì ad evitare il carcere, ma non a convincere i giudici dell'esistenza di un'organizzazione criminale. «Roba da immigrati», tagliarono corto magistrati e avvocati. Nulla si seppe dei contraccolpi di quella coraggiosa deposizione. E del ristoratore esasperato che aveva premuto il grilletto per uccidere uno degli esattori di Joe Musolino si persero le tracce. Forse andò a ricominciare la sua vita da qualche altra parte. Lontano da Toronto. Eppure era proprio quell'insieme di norme, non scritte, ma rigide e spaventevoli, raccontate dall'ex ristoratore che avrebbe costituito il cuore d'acciaio di una organizzazione criminale diversa e pericolosa che aveva scelto il Canada per prosperare. Quelle norme che ai giudici di Toronto erano sembrate farneticazioni di poveri immigrati col tempo avrebbero finito per creare confusione tra gli onesti e i disonesti, tra chi aveva scelto il Canada per assicurare un futuro alla propria famiglia e chi invece lo aveva fatto per catapultare al di qua dell'oceano mentalità e disegni destabilizzanti. Nessuno alzò mai la voce per colpire quella rete inestricabile di complicità che aveva trovato uno dei suoi bandoli anche in Canada. Anzi si arrivò addirittura a negare l'esistenza della mafia, come fecero in più occasioni il Congresso Nazionale degli Italocandesi e la Faci, la Federazione delle associazioni canadesi di origine italiana. Quest'ultima spalleggiata dal ministro della Giustizia dell'Ontario Allan Lawrence negli anni Settanta mise in campo tutte le sue forze per smentire alcuni giornali in lingua inglese che avevano pubblicato notizie su omicidi riconducibili alla presenza in Canada della 'ndrangheta, la potente mafia calabrese. Unica voce stonata fu quella di Benito Frammarin, un coraggioso prete italiano in Canada: «Più che inalberarsi per quelle notizie», scrisse qualche anno dopo in un libro pubblicato in Italia, «bisognava cercare di fare chiarezza sul fenomeno, distinguendo la comunità italiana in Canada dagli avanzi di galera di origine italiana».
foto 3 - Il territorio dell'Ontario

Ai poliziotti in quegli anni mancavano le unghie per graffiare, non avendo gli strumenti legislativi per disarticolare le strettissime maglie della mafia e per analizzare senza pietà i conti di tanti imprenditori sospetti. Gente che si arricchiva, sfruttando la manodopera a basso costo come avevano fatto prima di loro Dini e Cordasco, due pilastri del cosiddetto padronesystem, il caporalato dell'emigrazione.

La mafia cominciò a mettere le mani sui sindacati dell'edilizia e la nouvelle vogue mafiosa prese l'abbrivio.
Uno dei primi faccendieri legati al mondo dell'edilizia fu J. Aldeo Leo Remillard, noto per i suoi agganci politici. Era un "faiseur d'elections", un portatore di voti, ma anche di soldi che nelle campagne elettorali quasi sempre fanno la differenza. Ma era anche uno speculatore edilizio: comprava terreni destinati alle colture che poi faceva inserire nei piani regolatori come edificabili. Ed in cambio di queste operazioni versava il 10% a politici e burocrati compiacenti. Un po' come succede oggi con i presunti terreni contaminati: un business miliardario gestito da poche persone. Remillard mise in piedi una vera e propria organizzazione per controllare le zone rurali del Québec. E la affidò a Keith "Rocky" Pearson. La mafia, come si sa, è un'organizzazione che preferisce insediarsi nelle aree urbane. E il faccendiere non si lasciò sfuggire l'occasione. Quando divenne sindaco di Ville Jacques Cartier, era già stato tre volte in carcere ed era finito in manette almeno quindici volte. Nel 1962 il governo provinciale del Québec approvò una legge con lo scopo di deporre dalla loro carica tutti gli amministratori che avevano precedenti penali. Era Remillard che il governo quebecchese voleva colpire. Ma lui fece di tutto per dimostrare di essere cambiato. E chiese anche al governo federale la cancellazione dei reati di cui aveva espiato la pena. A sostenere la sua causa furono in molti, tra cui l'ex segretario di Stato Noel Dorvon e il viceministro della Difesa ai tempi di Diefenbaker, Pierre Sevigny.

 

foto 4

La gang di Rocco Perri - " l'Al Capone del Canada ".
di Antonio Nicaso

Hamilton diventa il centro del contrabbando di liquori in Sud Ontario. Una donna la mente di un gruppo che corrompeva politici e poliziotti. Era solo fango e pane nero Platì sul finire dell'Ottocento. Una macchia grigio-gialla schiacciata sul fondo di un vallone, ai piedi dell'Aspromonte, popolata da uomini abbrutiti dalla miseria, quasi sempre seduti sulle spallette dei ponti, sui gradini delle case. Non era ancora diventato il crocevia dei sequestri di persona, ma già a quei tempi le "coppole storte" erano temute e rispettate. Come i pochi notabili che, da sempre, vivevano sulle spalle della povera gente.

«Vogghiu fari na casa di duluri li porti e li franesti di suspiri e tossicu li mura e i ciaramidi (Voglio fare una casa di dolori le porte e le finestre di sospiri avvelenando i muri e le tegole)», ripetevano, nelle loro stornellate, i vecchi contadini, prigionieri della rassegnazione. Non avevano conosciuto altro che fango e pane nero quei povericristi, pur avendo sempre sognato l'America, l'Australia, la fuga dalla miseria.
foto 5 - Il mercato di Hamilton ai tempi di Perri

In una di quelle case, quasi tutte ad un piano, irregolari, informi, annerite dal tempo e sgretolate dal vento, dalla pioggia, dagli incendi,dai terremoti, coi tetti malcoperti da tegole e rottami d'ogni sorta, venne al mondo il 27 dicembre del 1887 Rocco Perri, destinato a divenire uno dei boss più potenti della malavita nordamericana.

Emigrato in Canada assieme alla sua famiglia nel 1908, dopo aver trascorso cinque anni negli Stati Uniti, cominciò a fare soldi lavorando prima in una cava di pietre a Coulbert, vicino Parry Sound, nell'Ontario, per conto della Canadian National Railways, l'impresa che aveva in appalto la costruzione delle rete ferroviaria, e poi come manovale prima a Trenton e poi ad Hamilton.
foto 6 - Besha (Bessie) StarkmanNel 1912 si spostò a Toronto, dove prese in affitto una stanza in una palazzina abitata da una famiglia ebrea. Ma anziché trovare lavoro s'invaghì di Besha (Bessie) Starkman, la sua padrona di casa, più giovane di lui di due anni, sposata con un panettiere, Harry Tobins, e madre di due bambine, Lilly e Gertrude.

Fu una passione troppo forte quella che spinse Rocco Perri a fuggire da Toronto assieme a Bessie, qualche mese dopo, alla ricerca di una nuova vita, lontano dal suo passato.Arrivarono a St. Catharines, una cittadina a 160 km. da Toronto, dopo un avventuroso viaggio in treno, in un momento in cui l'economia canadese segnava il passo, tra le secche della recessione. Rocco Perri, con un paio di scarpe rotte ai piedi, e Bessie, con un vestito sdrucito addosso, alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, trovarono lavoro presso un panificio di proprietà di immigrati calabresi. In poco tempo, facendo mille sacrifici, misero assieme un po' di soldi e si trasferirono ad Hamilton, dove aprirono un piccolo negozio di alimentari, che vendeva prodotti italiani su Hess Street North.
Aveva fame Perri. Ma non era più la fame disperata che aveva provato in Calabria. Aveva fame di potere, di lusso e di successo.
Quando nel 1916 in Ontario entrò in vigore la legge sul Proibizionismo(e), il whiskey nel suo "spaccio" scorreva già a fiumi e costava 50 centesimi al bicchiere. «Che c'è di male?», si chiedevano gli avventori del suo locale. «Del resto, sta scritto anche nella Bibbia: come posso rinunciare al mio vino che rallegra Dio e l'uomo?».
Nel 1920 Rocco Perri era già un altro, e, per dirla con Oscar Wilde, sapeva dire di no a tutto tranne che alle tentazioni. Ai piedi portava scarpe lucide, le sue camicie avevano il collo inamidato ed i suoi gessati costavano un occhio della testa. In quello stesso anno acquistava un'enorme casa al 166 di Bay Street South, nel centro di Hamilton, diventata ormai, grazie alla sua frenetica attività, il punto nevralgico del contrabbando di liquori in Ontario.
foto 7Come Al Capone(f) a Chicago, Rocco Perri era riuscito a mettere assieme una gang efficiente che aggirava ogni ostacolo, corrompendo poliziotti, politici e doganieri. Ma al contrario del sanguinario boss italoamericano, Perri, che teneva in pugno la Hamilton balorda del contrabbando dei liquori e del pizzo, diceva di odiare la violenza: una sorta di Ghandi dalla faccia sporca.

Tutto sembrò vero, fino al novembre del 1924. Le pallottole cominciarono a volare, come se fossero schiaffi, e la polizia trovò ad Albion Mills il cadavere di Joseph Boytovich ed a Stoney Creek, in fondo ad una scogliera, e quello di Fred Genesse, entrambi uccisi in relazione al contrabbando dei liquori. Due efferati delitti che chiamarono in causa Rocco Perri, il potente boss di Hamilton che, nel frattempo, s'era cucito addosso l'abito del paciere e del riparatore di torti, proprio come i vecchi patriarchi della picciotteria calabrese.
Il 19 novembre di quello stesso anno, intervistato dal "Daily Star" confermava apertamente di essere il re del contrabbando dei liquori, ma di non sapere nulla della morte di Boytovich e Genesse.

«Non ho niente a che fare con questi omicidi. Finora ho solo venduto dell'ottimo liquore e ho comprato ai miei uomini delle automobili veloci. Non vedo perché si debba ridire sul mio conto». Dichiarazioni sensazionali. Il giornale andò a ruba. Una copia venne pagata fino a 2 dollari e ad Hamilton per alcuni giorni non si parlò d'altro.
«È stato lui stesso ad ammettere il suo coinvolgimento nel lucroso traffico del contrabbando dei liquori. Non sono necessarie altre prove», affermò un gruppo di politici, deciso a rispedire in Italia il boss calabrocanadese. Volarono parole grosse, accuse pesanti. Ma niente di più. Perri era troppo potente per essere scalzato. Protetto da ambienti molto influenti, si diceva che fosse finanche vicino a Mickey MacDonald, nemico giurato delle organizzazioni criminali e potente uomo d'affari.
I profitti che il boss tirava erano straordinari, tanto da poter destinare in quegli anni di magra 30.000 dollari a favore della campagna per il proibizionismo promossa dalla Drys. «Fin quando le leggi contro la vendita di liquori resteranno in vigore, le mie tasche saranno sempre piene di soldi», diceva, quasi a giustificare il suo mecenatismo. Nonostante le sue sbruffonate, Perri non era visto come un criminale: vendeva alcolici in una città di tute blu come Hamilton che riteneva del tutto impopolare la legislazione proibizionista.

D'altronde anche in Canada, come negli Stati Uniti, la legge speciale contro gli alcolici era nata per volontà della classe dominante, gli Wasp (White AngloSaxon Protestants) ed i proibizionisti erano in misura schiacciante metodisti, battisti, presbiteriani e congregazionisti.
Viceversa la maggior parte dei cattolici e degli ebrei era ostile o indifferente al "nobile esperimento", come lo definì il presidente americano Herbert Hoover. Una scommessa che si rivelò subito perdente e che, in Nordamerica, finì per dare al crimine organizzato la spinta decisiva per crescere.
foto 8 - Rocco Perri in una segnaletica del 1926

In Ontario, Rocco Perri, fu uno dei primi ad avere una radio in casa ed il suo stile di vita, come ricordano ancora oggi molti suoi amici e conoscenti, era unico.

Generoso nelle mance, fumava sigari costosissimi, guidava automobili sportive e frequentava spesso l'ippodromo in compagnia della moglie, sempre ingioiellata ed elegante, una sorta di Gatsby di provincia. Sognava sempre di ritornare in Calabria, della quale ricordava, con la nostalgia di chi era emigrato bambino, il colore dei campi ed il canto degli uccelli.

«In tutte le esistenze, si nota una data alla quale il destino si biforca, o verso una catastrofe o verso il successo», diceva La Rochefoucauld. Di questo se ne rese conto presto anche Perri, quando intorno alla metà degli anni Venti, venne chiamato in causa da una inchiesta, promossa dalla Royal Commission, che aveva accertato la morte nel 1925 di trentacinque persone ad Hamilton, Toronto e Oakville a causa degli effetti dell'alcol.
Interrogato dai membri della Commissione, disse di essere un semplice commesso. «Lavoro in un pastificio che consegna a domicilio maccheroni ed altri tipi di pasta fatta in casa, nella migliore tradizione italiana», disse, denunciando di aver dichiarato nel 1926 appena 13 dollari e 30 centesimi di reddito.

Mentiva spudoratamente il boss, diventato nel frattempo più cauto nelle sue affermazioni, ma non certo più guardingo: in otto agenzie di banca, a seguito di quella indagine, risultarono aperti altrettanti conti intestati alla moglie che, in una sola operazione, aveva depositato addirittura 945.000 dollari, una cifra da capogiro, soprattutto, a quei tempi. Nodi, comunque, destinati tutti a venire al pettine.
Nel 1928 l'intervista concessa allo "Star", quella che aveva suscitato tante polemiche, gli causò una condanna a 6 mesi di reclusione per falsa testimonianza, nonostante avesse negato di averla mai rilasciata. Ma non si dette per vinto.

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Finiti i tempi del proibizionismo in Ontario, Rocco Perri dirottò le sue forze e i suoi uomini verso gli Stati Uniti, intuendo il grande business della droga. I guai, quelli veri, cominciarono dopo il 1930. Quattro suoi uomini vennero condannati per omicidio colposo in ordine ai decessi per alcolismo e a lui stesso venne inibito l'accesso al porto di Toronto, sede strategica delle sue operazioni. Ma già qualcosa nei bassifondi della malavita canadese stava cambiando. Lo capì il 13 agosto del 1930.
foto 9 - Rocco Perri con Bessie Starkam

Quella sera assieme alla moglie era andato a trovare un cugino che abitava nella zona nord di Hamilton, Joe Sergi. Lo faceva spesso, soprattutto in estate. Erano le undici quando decise di rincasare. Qualche minuto dopo era già davanti alla sua abitazione. Mentre parcheggiava la sua coupé, una pioggia di piombo s'abbattè sulla moglie. Furono attimi terribili per il boss di Hamilton che cercò scampo nella fuga. Quando s'accorse che il pericolo era ormai passato, tornò sui suoi passi e vide Bessie, la donna che aveva vissuto per anni al suo fianco, senza vita in una pozza di sangue. Poco più lontano la polizia trovò una targa e nove proiettili di un fucile caricato a lupara. Era un messaggio chiaro: la mafia, quella che avrebbe dominato gli anni a venire, ad Hamilton cominciava a muovere i suoi primi passi.

Schiumò rabbia Rocco Perri per alcuni giorni: arrivò perfino a mettere una taglia di 5 mila dollari sulla testa degli assassini di Bessie, ma nessuno seppe dare informazioni utili per risolvere quell'omicidio che rimase impunito. Qualche sospetto cadde su Tony Papalia, amico di vecchia data e compaesano del boss calabrese, ma niente di più. Venne fermato dalla polizia e rilasciato dopo alcune ore di stringente, ma inutile interrogatorio.
Furono fatte molte ipotesi su quel grave fatto di sangue. Si disse che i killer avevano fallito il loro obiettivo che era Rocco Perri e che quell'omicidio avrebbe dovuto regolare alcuni conti rimasti in sospeso nel clan del potente boss di origine calabrese.Altri, invece, dissero che i sicari non avevano affatto sbagliato, che il "contratto" portava proprio il nome di Bessie.

Sino a che punto potesse essere vera questa ipotesi lo dice la storia stessa di questa donna che conquistò silenziosamente l'amore di un uomo che forse l'aveva affascinata per i suoi modi rudi.

Bessie era, in un certo senso, il naturale contraltare del marito, un "alter ego" che contribuì decisamente alle fortune di Perri. Non fu certo un caso se la sua morte segnò per lui l'inizio di una parabola discendente che nessuno pensava mai potesse cominciare.
Un rapporto nato tra le mura di una brutta casa di periferia, tra il frignare di bambini e l'odore di cibo kosher, prima con solo un saluto poi con discussioni sempre più lunghe su un mondo ed un modo di vivere che Rocco Perri ancora non aveva completamente capito e che Bessie cresciuta, da ebrea praticante, all'ombra del marito tollerava a fatica.

Quando il rapporto tra i due pian piano sfociò in una passione disperata, la sola strada che si aprì davanti a Rocco e Bessie fu quella della fuga, dal presente, ma soprattutto dal passato. Quando Perri, rapidamente, scalò la piramide della supremazia criminale, chi lo conosceva stentò a darsi ragione del suo cambiamento, di come un uomo che basava gran parte del suo agire sull'irruenza potesse essere diventato, invece, capace di programmare, di aspettare, di muoversi soltanto quando fosse certo di poter affondare i colpi.

Sempre nell'ombra, sempre ostentatamente defilata, Bessie fu forse l'elemento che diede corpo alle ambizioni del marito. E quando Rocco Perri divenne il "numero uno" fu il trionfo anche di quella donna minuta dai lineamenti delicati e dalla carnagione diafana. Un corpo esile nel quale si nascondeva una volontà di ferro, disposta, come femmina di lupo, a morire piuttosto che vedere il suo compagno soccombere. Le più belle sale di ricevimento, gli ippodromi di Hamilton così come di Toronto li vedevano insieme, elegantissimi. Lui, sigaretta tra le labbra, in impeccabili tuxedo, con scarpe lucidissime, lui che, nella giovinezza, aveva conquistato il suo metro quadrato di mondo colpendo gli avversari a piedi nudi; lei in abiti quasi sempre bianchi o rosa, con fili di perle che ornavano il lungo collo e le spalle coperte da candide pellicce. Una donna che non era mai rimasta chiusa nel suo mondo, compagna, ma soprattutto consigliere del marito.

Per Bessie, Rocco Perri volle funerali imponenti. L'automobile che portava il feretro e che attraversò le strade di Hamilton era coperta di fiori bianchi, secondo la volontà del boss. Dietro, lui unico passeggero con l'autista di una berlina nera dai vetri oscurati.
foto 10 - Miglia di persone ai funerali di Bessie

Dietro ancora decine e decine di autovetture, sui quali donne in gramaglie e uomini, in lugubri completi neri, vollero testimoniare a Perri il loro dolore. Mai vista tanta gente ad Hamilton, scrissero i giornali.
La morte di Bessie segnò l'inizio del declino di Perri.

Nel 1932 la polizia arrestava due uomini del suo clan con l'accusa di aver distillato 26 mila galloni di liquori destinati al mercato americano nella casa di un ex giudice su Concession Street. E lo stesso Perri finiva in carcere per non aver pagato un conto di 20 dollari al meccanico che gli aveva riparato il motore della sua autovettura.

Era ormai un uomo allo sbando, quasi che la morte della moglie l'avesse privato dell'irruenza e della determinazione che ne avevano fatto il "re" di Hamilton. Trovò conforto tra le braccia di Annie Newman che invano cercò di calcare le orme di Bessie. Nel 1938 subì due attentati. Il primo, il 20 marzo, quando alcuni candelotti di dinamite esplosero sotto la veranda della sua abitazione, ed il secondo, il 23 novembre, quando una bomba fece saltare in aria la sua autovettura, catapultandolo, senza conseguenze, fuori dall'abitacolo e ferendo gravemente due persone, con le quali stava conversando, a pochi passi dalla sua casa.

Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, Rocco Perri venne internato assieme ad un migliaio di italocanadesi in un campo di concentramento a Petawawa (g), come nemico del Canada. Fu una esperienza particolarmente dura, descritta efficacemente nel romanzo "La città senza donne" dal giornalista Mario Duliani, che la visse personalmente. Gli strascichi di risentimeno tra gli italocanadesi, internati per ragioni politiche, continuarono per molti anni dopo la fine del conflitto.
Perri, che cadde quasi per caso in quella retata della Rcmp, venne rimesso in libertà nel 1943, anno in cui si trasferì a Toronto dove venne assunto come maschera in un teatro: una sorta di copertura.

La sua parabola era ormai in caduta libera. Covava il desiderio di riscatto, voleva a tutti i costi recuperare il terreno perduto. Il 23 aprile del 1944 andò a visitare un cugino ad Hamilton. Dopo aver cenato accusò un violento mal di testa. «Esco a prendere una boccata d'aria», disse. E da quel momento nessuno lo vide più. Venne inghiottito dal nulla, come molti dei suoi uomini, vittime della lupara bianca.
Nei due anni successivi la violenza esplose sotto il crepitare dei colpi di più fazioni che si contesero il controllo delle attività illecite nell'area di Hamilton, Toronto e Buffalo, negli Usa.
Un informatore riferì all'Rcmp che Rocco Perri era stato ucciso e gettato nella baia di Hamilton con una zavorra di cemento legata ai piedi. Qualcun altro disse che Perri era fuggito in Messico, ma non venne creduto.

 

Le foto 4,5,6,8,9,10,11 sono tratte dal libro: il Piccolo Gatsby "La storia di Rocco Perri, il re del contrabando di liquori"  scritto da Antonio Nicaso - Luigi Pellegrini Editore- stampato in Italia nel mese di giugno 2006 per conto di Pellegrini editore, Cosenza.

 

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Le note 1,2, a,b,c,d,e,f,g sono di nostra annotazione (Gierre)

Foto 11 - La statua della Libertà - (simbolo solo accattivante del sogno... americano!!!)(1) L'Isola delle lacrime
Ellis Island (chiamata in origine Gibbet Island dagli inglesi che la usavano per confinarvi i pirati sorpresi “con le mani nel sacco” e utilizzata poi come impianto di fortificazione e deposito di munizioni) è una delle quaranta isole delle acque di New York: divenne famosa dal 1894 in quanto stazione di smistamento per gli immigranti; venne adibita infatti a questa nuova funzione quando il governo federale assunse il controllo del flusso migratorio, resosi necessario per il massiccio afflusso di immigrati provenienti essenzialmente dall’Europa meridionale e orientale. Ellis Island fu aperta nel 1894, quando l’America superò un periodo di depressione economica e cominciò a imporsi come potenza mondiale. In tutta Europa si diffusero le voci sulle opportunità offerte dal Nuovo Mondo e migliaia di persone decisero di lasciare la loro patria. Ogni immigrante in arrivo portava con sé un documento con le informazioni riguardanti la nave che l’aveva portato a New York. I medici esaminavano brevemente ciascun immigrante e marcavano sulla schiena con del gesso coloro per i quali occorreva un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute; se vi erano condizioni particolari di infermità ciò comportava che venissero trattenuti all’ospedale di Ellis Island. Dopo questa prima ispezione, gli immigrati procedevano verso la parte centrale della Sala di Registrazione dove gli ispettori interrogavano gli immigranti a uno ad uno. A ogni immigrante occorreva perlomeno una intera giornata per passare l’intero processo di ispezione a Ellis Island. Le scene sull’isola erano veramente strazianti: per la maggior parte le persone arrivavano affamate, sporche e senza una lira, non conoscevano una parola di inglese e si sentivano estremamente in soggezione per la metropoli ammiccante sull’altra riva. Agli immigrati veniva assegnata una Inspection Card con un numero e c’era da aspettare anche tutto un giorno, mentre i funzionari di Ellis Island lavoravano per esaminarli.
foto12 - Una famiglia di emigrati italiani in partenza per l'AmericaDopo l’ispezione, gli immigranti scendevano dalla Sala di Registrazione per le “Scale della Separazione” che segnavano il punto di divisione per molte famiglie e amici verso diverse destinazioni. Il centro era stato progettato per accogliere 500.000 immigrati all’anno, ma nella prima parte del secolo ne arrivarono il doppio. Truffatori saltavano fuori da ogni dove, rubavano il bagaglio degli immigrati durante i controlli, e offrivano tassi di cambio da rapina per il denaro che questi erano riusciti a portare con sé. Le famiglie venivano divise, uomini da una parte, donne e bambini dall’altra, mentre si eseguiva una serie di controlli per eliminare gli indesiderabili e i malati. Questi ultimi venivano portati al secondo piano, dove i dottori controllavano la presenza di “malattie ripugnanti e contagiose” e manifestazioni di pazzia. Coloro che non superavano gli esami medici venivano contrassegnati, come già accennato, con una croce bianca sulla schiena e confinati sull’isola fino a diversa decisione, oppure venivano reimbarcati. I capitani delle navi avevano l’obbligo di riportare gli immigrati non accettati al loro porto di origine. Secondo le registrazioni ufficiali tuttavia solo il due per cento veniva rifiutato, e molti di questi si tuffavano in mare e cercavano di raggiungere Manhattan a nuoto o si suicidavano, piuttosto che affrontare il ritorno a casa. Veniva anche effettuato un esame legale, che controllava la nazionalità e, cosa molto importante, l’affiliazione politica. L’afflusso di immigranti era sempre altissimo e imponente il lavoro dei funzionari che sottoponevano a ispezione e interrogatorio le persone: nel giro di alcune ore veniva deciso il destino di intere famiglie, un fatto che meritò a Ellis Island il nome di “Isola delle lacrime”.

(2) "....ancora oggi per entrare a far parte di questa organizzazione bisogna pungersi il dito o il braccio con un ago o con un coltello, facendo cadere qualche goccia di sangue sull'immagine di un san Michele arcangelo santino (quella di San Michele Arcangelo, protettore della 'ndrangheta) che poi viene dato alle fiamme, in ossequio ad una suggestiva simbologia tesa a garantire fedeltà e rispetto del vincolo di assoggettamento alla cosca.L'ammonimento del capo-bastone è impietoso: «Come il fuoco brucia questa immagine, così brucerete voi se vi macchiate d'infamità; se prima vi conoscevo come un contrasto onorato da ora vi riconosco come un picciotto d'onore». " ( tratto da pagina 75-76dal libro "Fratelli di sangue - La storia,la struttura, i codici, le ramificazioni"scritto da Antonio Nicaso con Nicola Gratteri edito da Luigi Pellegrini editore,Cosenza.

(a)foto 13 Nasce come Giuseppe Petrosino il 30 agosto 1860 in Italia a Padula, nella provincia di Salerno. Presto il padre Prospero - di professione sarto - decide di emigrare e porta l'intera famiglia (madre, due sorelle e tre fratelli) a New York, dove il primo figlio Giuseppe, che tutti chiameranno Joe, cresce nel quartiere di "Little Italy". Joe si adatta e con l'intenzione di aiutare economicamente la sua famiglia cerca di intraprendere vari mestieri; frequenta inoltre dei corsi serali per imparare la lingua inglese. E' il 1883 quando inizia la sua carriera di agente di polizia. La sua placca d'argento sul petto porta il numero 285.
Inizia come agente di pattuglia nella "Avenue 13th", poi con il tempo fa carriera imponendo i suoi efficaci sistemi di lavoro. Ciò che è chiaro ai superiori sono la passione per il lavoro, il grande fiuto, l'acume, la professionalità e il senso di responsabilità di Joe Petrosino. Petrosino diviene autore di imprese che rimarranno leggendarie per il loro merito; si guadagnerà addirittura la stima del Presidente Roosevelt, di cui Petrosino diviene amico personale.
Il suo scopo professionale e nella vita sarebbe stato uno solo: quello di sconfiggere la mafia, organizzazione allora conosciuuta con il nome di "Mano Nera". La storia di Joe Petrosino assume valore storico e leggendario per la sua triste fine: siamo a cavallo del ventesimo secolo quando partecipa a una missione in Sicilia per condurre indagini sulla nascente mafia. Petrosino muore nella piazza Marina di Palermo, raggiunto da quattro colpi di rivoltella, il 12 marzo 1909. Esistono anche diversi libri e opere a fumetti sulla vita e la vicenda di Joe Petrosino. Negli anni '30 era inoltre molto diffusa e in voga la raccolta di figurine che aveva come tema proprio le avventure del poliziotto italo-americano.

(b)Vito Cascio Ferro (Palermo 1862 - 1943),conosciuto come Don Vito, fu uno dei primi boss siciliani che operò anche per un periodo negli Stati Uniti, inventando il sistema delle estorsioni ('u pizzu') e collegando la mano nera americana alla mafia sicula. Stabilitosi a New York per un breve periodo della sua vita, Don Vito Cascio Ferro fu costretto a fuggire a New Orleans in seguito al famigerato "delitto del barile" (nel quale Don Vito Cascio Ferro uccise brutalmente, tagliò a pezzi e chiuse dentro ad un barile, Benedetto Madonia, che aveva cercato di stabilire il proprio gruppo di falsari dentro al territorio di Cascio Ferro). Nel 1909 fu sospettato di essere l'autore dell'assassinio a tradimento, avvenuto la sera del 12 marzo a Palermo davanti al cancello del giardino Garibaldi con quattro colpi di pistola, del poliziotto Joe Petrosino, il pioniere della battaglia contro la criminalità italo-americana. Il criminale senza scrupoli Vito Cascio Ferro fu prosciolto dall'accusa a causa dell'alibi fornitogli da un deputato dell'epoca, Domenico De Michele Ferrantelli. Cascio Ferro fu arrestato per 69 volte per vari crimini e fu sempre rilasciato. Fu messo in carcere dal prefetto di ferro Cesare Mori durante il periodo fascista. Cascio Ferro morì in carcere nel 1943 durante un bombardamento americano. In realtà il carcere fù evacuato per paura dei bombardamenti degli americani e Cascio Ferro fù dimenticato in cella, morendo di fame e di sete nelle settimane successive.

(c) La Mano Nera fu un sistema di racket organizzato nelle più grosse metropoli statunitensi e canadesi all'inizio del 1900 circa. La stessa parola racket, che significa "rumore", "festa", "chiasso", fu utilizzata per indicare il sistema di estorsioni, operate e non dalla mafia (che, peraltro, non ha niente a che vedere con la Mano Nera), in quanto i criminali e le bande metropolitane erano soliti costringere i negozianti ad acquistare biglietti per banchetti e feste fantomatiche (che non avevano poi luogo) e che si arrogavano la possibiltà di organizzare. La Mano Nera, ai tempi del Proibizionismo, si dedicò anche alla produzione di bevande alcoliche: per fare ciò, molti racketeer, costringevano gli inquilini dei caseggiati di Little Italy (quartiere in cui la Mano Nera era molto attiva) a tenere in casa alambicchi e distillatori di produzione artigianale per produrre l'alcol per loro conto.

(d)Foto 14 - A six una della rare foto che ritrae Peppe Musolino all'interno del manicomio di Reggio CalabriaTaglialegna di mestiere, nel 1897 viene coinvolto in una lite fra due compaesani per una partita di nocciole:Un certo Vincenzo Zoccali, amico della parte avversa nella questione della nocciole, il 29 Ottobre dello stesso anno viene ferito da un colpo di fucile in una stalla dove viene trovato il berretto di Musolino. Al processo nonostante le prove portate da Musolino resistettero le false testimonianze di Rocco Zoccali e Stefano Crea che affermarono di averlo sentito adirato per il bersaglio fallito. Sempre proclamatosi innocente, giura vendetta in caso di evasione. cantando il motivo della canzone del brigante Martino:

(in calabrese)

«Nd'ebbiru alligrizza chiddu jornu
quandu i giurati cundannatu m'hannu...
ma si per casu a lu paisi tornu
chidd'occhi chi arridiru ciangirannu»

(in italiano)
«N'ebbero allegrezza quel giorno
quando i giurati condannato m'hanno
ma se per sorte al paese torno
quegli occhi che risero piangeranno.»

Viene condotto nel carcere di Gerace (dove deve scontare 21 anni). Dopo due anni alle 3:30 del 9 Gennaio 1899 riesce a fuggire e inizia la sua vendetta. Si racconta che durante la galera Musolino abbia sognato San Giuseppe che gli indicò il punto in cui avrebbe dovuto scavare nella cella, e con facilità scappare insieme ai suoi compagni di carcere (Giuseppe Surace, Antonio Filastò e Antonio Saraceno). Commette una serie di omicidi contro tutti quelli che l'hanno accusato e tradito, nascondendosi poi tra le montagne, nei boschi, e persino nei cimiteri, godendo dell'appoggio della gente del posto, sia contadini, caprari che gente benestante, che lo vede come simbolo della ingiustizia in cui la Calabria allora versava. Inizia la caccia al brigante, vengono imposte delle taglie, ma Musolino sfugge sempre alla cattura. Nel 1901 Musolino decide di uscire dalla Calabria per andare a chiedere la grazia al Re Vittorio Emanuele III e perché comunque la situazione diventava difficile per lui, anche con i suoi appoggi. Ad Acqualagna in provincia di Urbino però, viene per caso catturato da due carabinieri ignari della sua identità, che riescono a raggiungerlo perché è inciampato in un fil di ferro, i loro nomi erano: l'appuntato Amerigo Feliziani da Baschi (TR) Umbria ed Antonio La Serra da San Ferdinando di Puglia, comandati dal brigadiere Antonio Mattei (padre di Enrico Mattei). Musolino infatti stava percorrendo una viottolo di campagna nella località di Farneto nelle vicinanze di Acqualagna alla vista dei due carabinieri, che si trovavano nella zona alla ricerca di alcuni banditi del luogo, improvvisamente cominciò a correre pensando che cercassero lui. Inciampando però con un fil di ferro di un filare di vite fu fermato. Divenne famosa la frase:"Chiddu chi non potta n'esercitu, potta nu filu" (Quello in cui ha fallito un esercito,è riuscito un filo).

Si stima che complessivamente la cattura del brigante sia costata al governo intorno al milione di lire; il costo più alto per la cattura di un brigante. Davanti alla Corte d'Assise di Lucca, Musolino pronuncia questa autodifesa: "Se mi assolveste, il popolo sarà contento della mia libertà. Se mi condannaste, fareste una seconda ingiustizia come pigliare un altro Cristo e metterlo nel tempio. Eppoi, vedete, io non sono calabrese, ma di sangue nobile di un principe di Francia. Chi condannate? Un cadavere, perché io posso avere cinque o sei mesi di vita al più". Parole che diverrano celebri ma che comunque non gli evitano l'ergastolo al carcere di Portolongone e 8 anni in segregazione cellulare. Solo nel 1933 un certo Giuseppe Travia, che era emigrato in America dopo l'evento iniziale di Santo Stefano, confessa di essere stato lui a sparare a Vincenzo Zoccali discolpando così definitivamente Musolino del primo delitto. Resta in carcere fino al 1946, quando gli verrà riconosciuta l'infermità mentale, e poi portato al manicomio di Reggio Calabria, dove muore dieci anni dopo alle 10:30 del 22 Gennaio.

(e)foto 15La legge sul proibizionismo non fu una legge nuova, più volte nel corso degli anni gli americani si erano trovati davanti alla proibizione delle sostanze alcoliche. Già nel 1851 lo stato del Maine proibiva la produzione e la vendita di sostanze alcoliche intossicanti, poi durante la guerra civile alle truppe dell'Unione era stato proibito l'utilizzo del grano per produrre liquori, ed anche i testi scolastici dopo la guerra di secessione riportavano i danni che l'alcool produce sulla morale dell'uomo, lasciando però spesso in secondo piano i danni bio-fisici che l'alcoolismo produce. Il movimento proibizionista infatti non faceva leva su dati scientifici, ma piuttosto sugli echi di una moralità ferrea tipicamente vittoriana. I più importanti movimenti proibizionisti furono il "Women's Christian Temparance Union" (WCTU) fondato nel 1870 e la "lega anti-saloon" creata nel 1896, il primo tentava di divulgare il pensiero proibizionista tramite l'istruzione e "la chiesa" dato che ne erano principalmente membri donne(per i deleteri effetti dell'alcolismo sulle famiglie) appartenenti alla classe di antiche origini anglo-sassoni, riuscirono ad ottenere che tutti gli stati, tranne l'Arizzona, introducessero un'istruzione dell'astinenza; il secondo invece era costituito dalla classe borghese, essendo questa una classe legata meno "agli antichi" valori brittannici, utilizzo nuove tecniche di divulgazione come locandine e brouchures anti-alcoolici all'uscita delle chiesa o all'entrata dei luoghi pubblici, grazie a questo movimento, al cambio del secolo già Maine, Iowa e Kansas avevano adottato rigide leggi proibizionistiche.

- Vedi documenti originali 1-2-3-4-5

Il Diciottesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, redatto e passato al Congresso americano nel 1917, sottoscritto poi dai 3/4 degli stati nel 1919, esso era costituito da 3 paragrafi:
il primo sanciva che entro un anno dalla rettifica dell'articolo stesso, produzione, vendita, trasporto, importazione ed esportazione di bevande alcolica nei territori sotto la giurisdizione americana sarebbero stati proibiti;
il secondo specificava che il Congresso e tutti gli stati avrebbero avuti pieni poteri per farlo rispettare;
il terzo infine dichiarava che l'articolo avrebbe perso di efficacia solo con la creazione di un nuovo articolo che l'avrebbe dichiarato "non valido".
Successivamente, sempre nel 1919, venne emanato il "Volstead Act" che sancì poi la vera e propria entrata in vigore del proibizionismo. In questo atto veniva specificato che una sostanza era considerata alcolica, e quindi fuori legge, se conteneva una quantità di alcool superiore allo 0,5% su volume. Il proibizionismo, durò per circa 14 anni e non portò a nulla, le bevande alcoliche non cessarono di essere prodotte, vendute e consumate. Questo non fece altro che alimentare, con il contrabbando la crescita della crminalità organizzata. Con il 73% dei voti, nel 1933, il Congresso degli Stati Uniti votò a favore del ventunesimo emendamento che interdiva ciò che era sancito nel diciottesimo emendamento, cioè di fatto sanciva la fine del proibizionismo e la fine della "guerra dell'alcool".

(f)foto16 -Al CaponFiglio di emigranti di Castellammare di Stabia, il barbiere Gabriele Caponi (il cognome fu modificato forse per errore dall'anagrafe americana) e Teresa Raiola, crebbe in un ambiente degradato, avendo presto contatto con piccole gang di microcriminalità minorile, fu espulso dalla scuola dopo aver aggredito e percosso un docente, ed entrò a far parte della banda dei "Five Pointers" di Frankie Yale. Fu in questo periodo che gli fu attribuito il soprannome di "Scarface", a causa di una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra causata da coltellate che gli furono inferte da Frank Galluccio, sulla cui sorella Capone aveva espresso commenti pesanti. Lavorando per Frankie Yale, Capone fu arrestato una prima volta per reati contravvenzionali, poi uccise due uomini, ma protetto dall'omertà non ne fu mai accusato. Nel 1919, dopo aver gravemente ferito un esponente di una banda rivale, Yale lo inviò a Chicago, Illinois, per calmare le acque. Qui Capone si mise al servizio di Johnny Torrio, vecchio sodale di Yale nonché nipote di Big Jim Colosimo (altro noto gangster italo-americano, esponente di punta della "Mano Nera"). Torrio ne intravide le "qualità" e gli affidò la gestione delle scommesse clandestine e presto Capone sarebbe divenuto il suo braccio destro, acquisendo la gestione di tutte le attività illegali della banda. In violazione di una lunga tregua, Torrio fu vittima di un attentato perpetrato dalla gang rivale guidata da Dean O'Banion; gravemente ferito e psicologicamente scosso, il boss passò lo scettro del potere ad Al Capone con unanime consenso degli interessati (anche della banda rivale), che lo chiamavano ora "the big fellow".

Il "successo" (dal suo punto di vista) fu tale che alla sovranità sul crimine di Chicago e dintorni, Capone poté presto affiancare anche una posizione di supremazia economica e di potere sulle aree di sua influenza. Investì infatti parte dei ricavati delle attività illecite in attività del tutto legali, separando le gestioni contabili e potendo quindi contare su introiti di copertura (ma non meno rilevanti di quelli originari). Venuti che erano gli anni del proibizionismo, la copertura gli consentiva di avere più agevole accesso agli ambienti istituzionali, nei quali doveva procacciarsi con la corruzione la protezione politica che consentisse al business degli alcoolici di prosperare. Uno dei politici sul suo libro-paga era il sindaco William "Big Bill" Hale Thompson, Jr., il quale, ad un dato momento, gli consigliò di lasciare la città. Chicago era infatti sotto i riflettori di tutta la nazione per il tasso di criminalità e per l'impudenza ormai leggendaria delle gang, e Capone stesso - sia pure senza che nessuna specifica accusa gli fosse stata ufficialmente mossa - era popolarmente considerato il maggior responsabile di questo malsano clima. Capone contribuiva in effetti non poco a rendere la metropoli animata, ordinando innumerevoli omicidi (spesso di testimoni di crimini) ed anzi avendo ideato per queste operazioni una tecnica specialistica consistente nel prendere in locazione un appartamento di fronte alla casa della vittima e facendola colpire con fucili di precisione da selezionati cecchini. Sempre opera di Capone, che nel frattempo si era trasferito in Florida, fu la cosiddetta "strage di San Valentino", con la quale il 14 febbraio del 1929 cinque dei suoi uomini irruppero travestiti da poliziotti in un garage al 2122 di North Clark Street, sede del quartier generale dei Northsiders, gang capeggiata in passato da Dean O'Banion e guidata poi da George "Bugs" Moran, principale concorrente di "Big Al" nel mercato degli spiriti; allineati i sette presenti lungo un muro, come per un normale controllo di polizia, li fucilarono alla schiena. L'episodio resta a tutt'oggi uno dei più cruenti regolamenti di conti della storia della malavita. Ad alimentare però una certa mitologia di Capone, vennero alcune iniziative che si sarebbero potute dire demagogiche, sebbene pare che effettivamente fossero mosse da animo sincero: la gravissima crisi economica del 1929 aveva spinto sul lastrico milioni di americani, letteralmente costretti alla fame, e Capone ordinò alle sue aziende "lecite" della ristorazione e dell'abbigliamento di distribuire gratis cibi e vestiti a chi ne avesse bisogno. Ciò non evitava che l'espansione del suo impero criminale proseguisse con violenza, addirittura con l'acquisizione armata di nuovi insediamenti come il suburbio di Forest View, subito popolarmente rinominato in "Caponeville", nel quale gli uomini della sua gang giravano armati per le strade quasi fossero una forza di polizia. Qui, sempre nel 1929, lo stesso Capone fu arrestato per possesso illegale di un'arma da fuoco.

Nel 1930 Al Capone, che da poco era entrato nella lista dei maggiori ricercati dell'FBI, fu dichiarato "nemico pubblico numero 1" della città di Chicago. Studiando il modo di neutralizzarlo, visto che non si riusciva ad attribuirgli crimini diretti per la sua esperta capacità di organizzarli (oltre che per la protezione omertosa, per cui era sempre munito di alibi), si dibatté negli Stati Uniti circa l'opportunità di tassare i redditi provenienti da attività illecita. Ottenuto l'avallo legislativo, si assegnò al caso una squadra di agenti federali del Dipartimento del Tesoro, comandata da Eliot Ness e composta da un pool di super-esperti, e ancor meglio, di incorruttibili funzionari che si erano guadagnati il nomignolo di "Intoccabili", tra i quali spiccava per fermezza e senso della giustizia J. Edgar Hoover. Questi si misero alle costole di Capone analizzando ogni più piccolo movimento finanziario sospetto, ma Capone non aveva nulla di intestato, agiva sempre con prestanome e le contabilità illecite erano gestite con cifrari, perciò il boss restava sufficientemente tranquillo. Sinché non si trovò, per caso, un piccolo fogliettino nel quale il nome di Capone era citato. Fu la chiave di volta dell'intera operazione, potendo quel piccolo errore essere sfruttato per porre in collegamento fra loro molte altre prove raccolte ed allestendo quindi un piano accusatorio alquanto vasto, tradottosi nel rinvio a giudizio per evasione fiscale, con 23 capi d'accusa. La difesa di Capone propose un patteggiamento, che fu però rifiutato dal giudice. Provò allora a corrompere la giuria popolare, e forse stava riuscendo nell'intento, ma questa fu sostituita all'ultimo momento, la sera prima del processo, da una completamente nuova. La nuova giuria lo giudicò colpevole solo di una parte dei reati ascrittigli, comunque abbastanza perché gli fosse irrogata una condanna a 11 anni di carcere ed una multa pesantissima.

foto 16 - I funerali di Al CaponeInviato ad Atlanta, Georgia, ov'era forse la più dura delle carceri statunitensi, Capone vi si accomodò senza grandi fastidi, ottenendo con la corruzione lussi e privilegi e, di fatto, la possibilità di continuare a governare i suoi interessi anche dalla reclusione. Per questo fu poi inviato ad Alcatraz, dove la gestione fu più seria, tutti i contatti con l'esterno vennero davvero interrotti e Capone non ebbe altra speranza che i benefici per la buona condotta, diventò così un detenuto modello, evitando di farsi coinvolgere in rivolte ed isolandosi dagli altri detenuti. Fu ad Alcatraz che gli furono diagnosticati i primi segni di una forma di demenza causata dalla sifilide, precedentemente contratta, e fu internato in una struttura ospedaliera carceraria. Liberato nel 1939, dopo un supplemento di cure presso un ospedale, si ritirò in Florida dove l'incedere del problema mentale gli impedì di seguire le sue originarie attività. Molti pensano invece che la sua precoce fine fu dettata dallo scotto per la sconfitta subita e dunque da un suo conseguente blocco mentale che gli impedi di proseguire la sua attività criminale. Nel 1947 ebbe un colpo apoplettico e dopo una breve agonia morì di arresto cardiaco.

foto 18 - Rocco Perri - 2° in alto a sx - nel campo di Petawawa(g) Durante la seconda guerra mondiale centinaia di italiani emigrati in Canada furono internati in un campo di concentramento a Petawawa, nel nord dell’Ontario. Altri furono rinchiusi e Fredricton, New Brunswick. Non prigionieri di guerra italiani; solo italiani emigrati. Lavoravano per il Canada, cercavano di costruirsi una vita nel “grande Nord”, spesso accettando i lavori più umili e considerati la peggior feccia esistente al mondo. Ma quando il Canada entrò in guerra l’Italia era un nemico e così internò un bel po’ di gente in un campo di concentramento. Il provvedimento veniva preso nell'ambito di un atto che, in tempo di guerra, consentiva al governo canadese di arrestare un sospetto senza accuse e detenerlo a tempo indeterminato. Oggi, a oltre 60 anni dalla fine della guerra, il governo di Paul Martin annuncia una piccola forma di ricompensa. Un fondo di 12 milioni di dollari (€ 8,6 milioni) per l’organizzazione di mostre e altre manifestazioni storiche. Non è la prima manifestazione ufficiale di scusa del governo canadese ma merita sottolineare l’iniziativa, che si propone di ricordare ufficialmente e ammettere in una struttura (museo, mostra permanente o quant’altro) quella che per il Canada è una colpa.

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