Pittori

Fernando Cimorelli - Rassegna Critica

Cimo

GALLERIA FOTOGRAFICA

SOGNI & SEGNI “dipinti & sculture

"Il tempio è il mattatoio" Ferdinando di F. Cimorelli . Prime Opere.
«Senza un corpo non ci sarebbe vergogna,sofferenza e morte » P. P. Pasolini, Calderon

«Questo Corpo è, il corpo di un buono, di un obbediente... il corpo di un uomo che ha amato nei giusti limiti la madre, e contro il padre ha lottato, si, come doveva, sapendo ben distinguere dentro di sé, le proprie colpe dalle sue... "Va bene" - ribattè ostinato il diavolo - "ma il Peso che è dentro di lui è mio"» (P. P. Pasolini, Petrolio, Appunto 3, Introduzione del tema metafisico).

di Mauro F. Minervino

Il tema del corpo è il tema centrale di queste opere di Fernando Cimorelli. Ogni artista è destinato a inseguire le proprie ossessioni. Il linguaggio di questi lavori, opera di un autore primitivamente naturalistico, all'esordio delle sue prime esperienze espositive, nasce proprio da una sorta di primordiale antropologia del corpo. Dall'imprescindibilità del corpo per l'arte e dal confronto con la sua allusiva e irrisolta fecondità morale, muove l'acceso materialismo di queste opere. Anche quando cita il classico, il corpo di queste opere è, beninteso, il corpo dei moderni. Corpo reificato e violato, corpo disarticolato e scisso dalla sua unità. Il corpo esposto alla disponibilità cieca del killer seriale e della carneficina bellica, così come quello venerato dall'idolatria del consumo massificato. Il corpo insanguinato della guerra e quello patinato e pervasivamente ruffiano della pubblicità. L'angelo e il demone, l'esecrabile e il buono si inseguono e come indifferenti al dramma umano della carne, se ne disputano a morsi le spoglie e i brandelli.

Quello che resta della perduta interezza del corpo ormai privo del suo mistero, è la posta in gioco. Come nel corrivo battibecco ideologico tra i due esseri disumani in disputa sul corpo di Carlo, nella visione del sogno-incubo che introduce il tema metafisico da cui parte il terrificante racconto pasoliniano di Petrolio, ciò che conta è il possesso di una parte della carne, di un torso, di un arto per completare la scissione infinita del corpo.

Il corpo dell'arte ha bisogno di morti spettacolari e di nascite traumatiche. Un corpo dentro l'altro, un corpo muore e ne nasce un altro, come nella metafora della scissione continuata da Pasolini in Petrolio. L'essere infernale «tira fuori dalle sue sordide saccocce un coltello, ne infila la punta nel ventre del corpo di Carlo e vi fa un lungo taglio. Poi con le mani apre, e, da dentro le viscere, ne estrae un feto. Con la mano, passandola sulle labbra sanguinose del taglio, medica e cicatrizza la ferita; con l'altra alza il feto al cielo, come una levatrice felice della sua opera».

La modernità ha fatto del mattatoio dei corpi reificati un'arte demiurgica, ma oltre ogni scissione, spiccamento, dispersione e schizofrenia della carne, gli effetti di identificazione del corpo sono inscritti in una catena eterna e immutabile di allusioni, duplicazioni e rimandi che corre ininterrotta dal mito in mito in poi, dall'arte morale dei maestri delle cattedrali sino agli epigoni contemporanei del nichilismo del corpo profanato dei fratelli Hcarst e ai performer estremisti della "body art". Nella modernità angeli e demoni dell'arte danno corpo alle stesse metamorfosi mostruose, agli stessi smarrimenti sadici, agli stessi idoli incatenati e svuotati. Prose(yuendo in metafora con la visione inquietante di Pasolini: «Il feto cresce immediatamente a vista d'occhio... Carlo lo riconosce: è lui stesso... Come il feto è divenuto adulto, e sta in piedi davanti al terrazzino, accanto al suo patrono, Carlo vede anche il corpo per terra privo di sensi, e ricomincia come una puerpera a rianimarlo... finché è dritto, in piedi, accanto a Polis: colui al quale (pare) appartiene (quel "suo" corpo'?)... Colui che in cambio della sua venerazione lo avrebbe protetto. Il Carlo di Tetis e il Carlo di Polis sono identici... Fanno un breve passo uno verso l'altro come per scrutarsi meglio. E Carlo li vede di profilo, immobili come Cristo e Giuda nel quadro di Giotto: sono così vicini che il loro è il gesto che fanno due persone quando stanno per darsi un bacio. E intanto si fissano così attentamente che i loro occhi paiono impietriti.

Un sentimento oscuro è nel fondo di quello sguardo, che li unisce strettamente, come legandoli in un'unica tensione che li spinge l'uno verso l'altro». Il rispecchiamento di queste forme del corpo scisso e reificato che proviene dall'arte di Giotto, dall'arte morale del passato, sembra già rivelare, come nel testo pasoliniano, anche l'inestinguibile moralità del corpo ridotto a "cosa" che appartiene all'arte dei nostri tempi senza più bellezza, insieme con «tutta la lunga catena di atti futuri che quel riconoscimento contiene». L'angelo e il diavolo si allontanano dalla scena dell'arte, come sempre «hanno recitato una commedia». Anche nelle opere di Fernando Cimorelli sembra prendere corpo questa duplice visione terrifica, un rispecchiamento della difficile età d'uomo dell'artista di fronte allo scacco della decifrazione enigmatica di ciò che resta del corpo: il corpo dei viventi, il corpo dell'arte. Le sue sono opere che non lasciano l'occhio indifferente, sono segni e forme cariche di suggestioni, ma di suggestioni corporee e materiche spesso crudeli e aspre, mai compiaciute del proprio scandalo e raramente liriche anche quando ritornano al tema fondativo e maternale della nascita.

Sembra che Cimorelli di fronte alle sue opere abbia scelto di usare la larva affilata del perito settore, o il suo coltello addestrato dalla perizia del macellatore, per sezionare ed esporre meglio le sue più scelte anatomie. Ma i suoi brani e quarti di corpi smembrati, tra cui spiccano tronchi e arti, piedi e nasi, la confezione seriale di mammelle maternali e i turgidi seni classici che sembrano spiccati dal corpo di dee violate e quelle poppe monche e viriloidi di amazzoni brutalizzate dal fuoco, sono particolari anatomici sovente resi grotteschi ed emotivamente forti proprio dal loro isolamento "clinico", in quanto escissi dall'unità violata del corpo per esemplificarne il loro decaduto e reificato valore originario. Quasi una parte per il tutto. Un tutto che non c'è. Cimorelli così tratta il corpo in modo essenzialmente antiludico e antisensuale, perché non vuole, nonostante l'evidente estetismo di certe opere, sedurre l'occhio di chi guarda con ammiccamenti e simbolismi facili, ma pur nella varietà dei mezzi assunti e trattati, costringe a sintonizzarti con la sensibilità di un'opera che ci si pone sempre davanti, specie nelle forme plastiche, come fisicamente esistente, presente, e perciò ci fa problema.

Pesa su tutti i suoi lavori la pressione di una memoria - memoria ancestrale e memoria del presente - che ritorna sempre a farsi materia e carne. Corpi di creature sospese e come imprigionate in un limbo pagano insieme a corpi domestici e forme organiche ingigantite, che svelano echi e assonanze spettrali, che trasformano il corpo in un luogo di vibrazioni vitali o, in ricettacolo di gelo infernale. La "malattia della carne" e la bulimia del bel corpo ancora intoccato dal guasto del tempo, evocano in modo non retorico o teatrale il mistero di un'esistenza terrifica e di una bellezza ultraterrena che resta smarrita e nascosta agli uomini. L'archetipo della visione di queste opere oscilla tra il bue di Rernbrandt e il torso violato di una dea greca, ancor prima dei più evidenti rimandi all'eclettismo iperrealista di Louse Bourgeois. Citazionismo classico e nichilismo moderno si confondono in una sorta di pastiche onirico ed eterogeneo dagli effetti ineffabili, spesso grotteschi e spiazzanti. Nelle opere di Cimorelli mito e macelleria coesistono irredenti come nel caos del palinsesto mediatico della realtà dei nostri giorni, come dentro il catalogo crudele e pieno zeppo di immagini del corpo scempiato e ostentato che riempiono i telegiornali e le griffe della moda, alimentando il ventre sempre vuoto e sempre pieno della pubblicità che consuma carne eli modelle e nel cannibalismo spettacolare di una società in cui il dramma della guerra e lo stupro quotidiano del corpo dei viventi servono al consumo dello "spettacolo". In queste opere si nasconde invece qualcosa di primordialmente umano e straniante, una traccia del derelitto tepore che proviene dalla purezza violata di un corpo vivente "ab origini", fosse pure quello accarezzato oramai solo dal vento inattuale della memoria, lambito dalle fantasie.

Come nel bel seno dal suvvio rosso sangue, perfetto archetipo vitale che si staglia come una piccola torre stilizzata al vertice del suo arco naturale di un colore inesistente e dalla forma vaga contro un cielo o mare azzurro dell'infanzia - unica concessione ad una visione chiara e solare del corpo femminile resa con efficace lavorazione cromatica - a cui si concede Cimorelli in questa sua prima scelta di opere (l'autore ha proposto proprio questa bella immagine pittorica coree antiporta della sua progressiava discesa agli strati inferi delle madri del corpo).Smembramento e serialità, desacralizzazione e consumo ora invece possiedono il corpo. Non la sua unità perduta. Tutto oscilla tra eleganza e scempio. L'arte del mito classico del corpo può ben trovare oggi il suo tempio in un mattatoio, a patto di passare le sue spoglie alla cura gentile di un macello d'artista. Fernando Cimorelli, mi sembra di poter dire, è in mezzo a questi.”

Maurizio Carnevale

" Confesso di aver avuto la malagurata idea di leggere la presentazione di Mauro Minervino ancor prima di scrivere un breve, comunque breve, testo per la mostra di Fernando e ciò mi impedisce, ora, di districarmi dalla ragnatela di osservazioni, efficaci e persuasive, che Mauro fa e delle quali, proprio per la loro profondità e forza critico-letteraria, è molto dif­ficìle staccarsi mentalmente.

Che Fernando Cimorelli appartenesse a quella razza di artisti che si pone di fronte alla materia non certo facendosene sedurre, ma come colui che seduce e a volte violenta, lo sapevo da tempo, così come sapevo che è uno di quelli che creano una fenomenologia che non esiste prima, ma che scaturisce dall'azione diretta sull'oggetto del proprio amore. Una azione che, a volte, appare perfino " spietata" nonostante la "gentilezza del risultato". La materia si trasforma sotto l'azione coercitiva dello scultore, ma restano brandelli di "origi­ne", forse per non dimenticare, Mai esagerata, mai titanica, sempre controllata, dolcemen­te costretta dentro l'alveo della misura, anche a costo della violenza.

Ma è la violenza dell'amante che di fronte al mistero, prova attrazione e vuole possederlo svelandone l'animo. Il seno: elemento calligrafico di Fernando diventa involucro, contenitore di vita liquida e assurge, in un contesto definitivamente mitologico, a simbolo di forte valenza alternativa a quello fallico. Lo scultore pareggia i conti in un contrario filosofico. L'amico Fernando si accinge a vivere la sua avventura creativa con umiltà e consapevolezza. Non mi resta che augurargli che tali sentimenti lo accompagnino sempre perché, so per certo, sono proprio questi i migliori compagni di viaggio".

Toni Romanelli

" Ho conosciuto Fernando Cimorelli all'Accademia di Belle Arti di Catanzaro, io docente di Anatomia Artistica lì comandato, Fernando iscritto al III anno. Dico questo non per delinire una araldica accademica ma perché così successe. Ora a distanza di due anni Fernando si è diplomato in Scultura e affronta una mostra per­sonale. Con piacere scrivo queste righe non da docente e nemmeno da critico d'arte, cosa che non mi compete, ma vorrei usare un termine forte, da amico, da osservatore privilegiato del lavoro di Fernando.

Il coraggio e l'intraprendenza nel guardare mi sono parse da subito in Fernando le qualità dell'uomo prima e dell'artista poi. Affrontare e sviluppare la sua vulcanica energia nel disegno lo ha portato a risultati importanti, opere forti, quadri dove il segno graffiante, tumultuoso e ironico che lascia leggere anche nel suo ripensamento, esprime ed evidenzia la sua natura, la sua poetica visiva, la sua ossessione tematica. Il disegnare, il dipingere sono per Fernando Cimorelli atti del conoscere, del nominare di nuovo le cose, le immagini del corpo, gli oggetti del mondo. La passione che lo sprona non soffoca mai la sua intelligenza visiva, ma l'illumina alimentando quella ferita che Beuys vedeva in ogni artista degno di questo nome. L'uomo, l'artista accende così una luce per sè e si mette in cammino, va avanti su strade di sassi. Buon viaggio Fernando" .

di G. B. Molinaro

" Ammirevole Cimorelli per la passione e ll’intelligenza con la quale si cimenta nella disciplina dell’arte. I suoi studi gli consentono di sperimentare tendenze d’avanguardia moderne. Non rientro in merito particolare alle sue opere, sarei forse parziale. Un augurio sincero,di certo la sua sensibilità d’artista lo porterà ad esiti di sempre maggiore autonomia di linguaggio espressivo nel suo operare artistico" .