Il sublime sentire poetico

Pasquale Funaro

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Pasquale Funaro - C’era una volta…..il Soprannome 

 

 

ZIBALDINO

di Pasquale Funaro

- Si licei (quandoque) parva compònere magnis...(1) -
Se è lecito (talvolta) paragonare le cose piccole alle grandi, mi consenta(2) il "buon lettore" di accostare questo mio modesto lavoro a quello più importante di Giacomo Leopardi : lo Zibaldone(3). Perché "Zibaldino" e non "Zibaldone", allora?

Si licet (quandoque) parva compònere magnis, come da premessa, è necessario tuttavia tener conto, nel paragone e nell'accostamento, delle evidenti, macroscopiche differenze (qualitative e quantitative) tra l'opera di Leopardi e questa mia.
Quella di Leopardi è "un vero e proprio unicum nella storia della letteratura mondiale", di valore inestimabile e ineguagliabile.
Il mio lavoro, invece, è una opera semplice, composta di residui, stracci, carte scritte, appollottolate e buttate nel cestino, e poi raccolte per istinto, con aggiunta di riscritture, citazioni e riporti; un'opera che raccoglie le briciole del pensiero quotidiano di un uomo qualunque, come tanti tasselli per ricomporre in parte il "puzzle" di una esistenza.
Una raccolta di pensieri, testimonianze e componimenti para- poetici, diversi nelle forme e nei contenuti, che non può essere considerata un "tutt'uno": le sue parti non hanno alcuna connessione e il "buon lettore" dovrà considerare come se fossero divise da immaginarie vetrofanie(4). Da qui il titolo riduttivo di "Zibaldino". 'titolo che si avvicina anche a quello del libro di Giovanni Guareschi, "Lo Zibaldino. Racconti di vita familiare e storie amene", ma il mio libro è diverso nella forma e nel contenuto.(5)
A questo punto è lecito domandarsi: " Se il lavoro non è all'altezza dello "Zibaldone", se ne è soltanto una piccola (e forse mal riuscita)
imitazione, perché pubblicarlo ? ...Già, perché ? " Pourquoi écrire ? "(6) Perché scrivere ?Perché uno scrittore impegna la sua libertà ?

Perché la libertà è impegno !
Ed è con lo scrivere che un autore si impegna a mandare un "messaggio" al lettore, a lanciargli un "appello": un appello, un invito, una proposta (sartriana) affinché egli, il lettore, possa crearsi degli imperativi morali, dei valori.
Un libro è "un mezzo in vista di un certo fine", e il fine che mi propongo è appunto la "libertà del lettore". Le "emozioni libere" dell'autore devono stimolare i sentimenti del lettore , perché egli possa a sua volta avere le sue "emozioni libere", provare una "gioia estetica", non soltanto per il riconoscimento del valore di un'opera, ma nello apprendere l'importanza del valore della propria libertà, di essere responsabile del proprio universo esistenziale.
Il "buon lettore", tramite un libro, deve riflettere, fare, se è il caso, il punto della propria vita, esaminare il proprio cammino, sostare su alcuni aspetti particolari della propria esistenza, fra i più semplici e vari.
E poi chiedersi : " Sono libero o schiavo degli altri? La mia vita e il mio pensiero sono fritto di una scelta autonoma oppure di un cedimento al bisogno materiale e contingente?
La risposta dovrà darsela da solo, perché, come diceva Wittgenstein nelle sue "Ricerche filosofiche ", io non intendo "risparmiare ad altri la fatica di pensare. Ma, se fosse possibile, stimolare qualcuno a pensare da sé. " La mia intenzione, e non mi importa se sarà considerata velleitaria, è quella di imitare in piccolissima parte il grande Socrate, in quella che fu la sua primaria e intensa attività: quella di " obstetrix animorum"(7), di ostetrico di anime, quella cioè di far partorire le anime, affinché ognuna abbia coscienza di sé e viva di vita propria.
Per quanto "piccolo" e composto di tematiche apparentemente non eclatanti e non tanto attuali, questo libro potrà incuriosire il lettore, stimolarlo a trovare i motivi. le emozioni e i messaggi nascosti, forse anche a provocarlo e far si che si guardi allo specchio. Non si lasci, però, ingannare dall'estrema chiarezza dell'espressione e dalla semplicità dei contenuti.
Libero da qualsiasi abito di fariseo, ho cercato di scrivere con sincerità e nobiltà d'animo, quale è quella " che discende dalla purezza del cuore e della virtù ".(8) Anche se la sincerità, quasi sempre, turba tanti falsi pudori!
No sempre guardato i latti e le cose del mondo senza intermediari, in presa diretta, alla luce del rapporto spirituale tra Creatore e creatura (me stesso), quel rapporto che si manifesta e si concretizza nella coscienza dell'uomo. Voglia il "buon lettore" fare altrettanto!
Per la migliore fruizione di questo modesto lavoro ora devo aggiungere alcuni chiarimenti. Avendo evidenziato più volte con virgolette l'espressione "buon lettore", è giusto che ne spieghi le ragioni: con questo termine, appunto, intendo il lettore che sia libero da ogni pregiudizio, interessato alla vera cultura, bisognoso di risposte chiare e oneste, aperto senza vergogna alle emozioni, che sappia giudicare ciò che sente e riceve con la propria coscienza e non secondo i giudizi preconcetti e interessati degli altri.
Nella semplicità, nella purezza dell'animo, nella luce della coscienza è possibile trovare una giusta risposta e, forse, la pace del cuore e l'indirizzo delle azioni.
Nel corso dell'opera segnalo la voluta e del tutto personale accentazione delle sillabe tònichc in alcune parole dei componimenti poetici.
Così come alcune frasi tra virgolette sono di Autori che non ho segnalato nelle note.
" Preparatis fustibus torquibusque ad fascem, nunc fasciandi tempus incumbit. "(9), ...perciò concludo e inizio il libro.

l'autore

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Note all’introduzione

1) - " Si licet (quandoque) parva compònere magnis " = Se è lecito (talvolta) paragonare le cose piccole alle grandi.
L'avverbio "quandoque" tra parentesi è stato aggiunto dall'autore, scelto al posto di "inierdum", "nonnumquam" e "aliquando". Nel n° 76 di aprile 1999 della rivista "Storicittà", edita a Lamezia Terme, il valente e appassionato umanista Professore Vincenzo Fronda, nella sua rubrica "Saggezza Latina", dà della frase la seguente presentazione : " L'espressione trovasi con frequenza in Virgilio, Cicerone, Ovidio. Si usa quando in un discorso, per una certa modestia, ci si richiama ad una situazione di livello superiore che colui col quale si conversa, presenta come tale." Ho fatto tesoro di questa spiegazione, ringraziandone lo stimatissimo Professore Fronda.
Per la precisione la frase si trova in Virgilio, nelle "Georgiche" (Libro IV - verso 176) e nelle "Bucoliche" (Ecloga 1- verso 23), in Cicerone, nello "Orator" (4, 14), e in Ovidio, nei "Tristia" (1, 3, 25).
2) - " mi consenta" : è una espressione, in verità, del tutto nonnale. Negli anni `90 acquistò una certa importanza per l'uso particolare che ne fece mi uomo politico italiano. L'autore l'ha evidenziata, perché, pur nella sua correttezza lessicale e d'uso, essa richiama alla mente mi certo modo di modestia e di educazione, che finisce, per l'uso retorico che se ne fa, con l'essere un modo di dire falsamente democratico e coinvolgente, un modo del tutto affermativo e perentorio, che..."non consente' di dissentire. Anche il Manzoni, infatti, nel suo libro " La Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859 ", diceva : " Il diritto di consentire a ciò che non si vuole non può appartenere a nessuno, perché è una contraddizione. "
3) - II lavoro di Leopardi, édito postumo con il titolo " Zibaldone di pensieri ", fu chiamato dalla Commissione Carducci (1898-1900) " Pensieri di varia filosofia
e di bella letteratura: un diario filosofico-letterario, una raccolta di riflessioni, memorie, meditazioni, confessioni, osservazioni della vita naturale, appunti per opere future." Zibaldone appunto per la diversità dei contenuti, secondo il significato lessicale della parola. Rilevandolo dal lessico italiano, Emanuele Trevi definisce "zibaldone": congerie di scritti di varia natura. La Enciclopedia Treccani ne dà la seguente spiegazione : " Mescolanza di cose diverse. Scartafaccio in cui si annotano, senza ordine e man mano che càpitano, notizie, appunti, riflessioni, estratti di letture, schemi, abbozzi..., insomma opera priva di unità, di coerenza, di ordine, composta di elementi eterogenei. "
4) -
" vetrofanie " = Pellicole divisorie, tende divisorie,sipàri, segrete membrane.
5) -
Il libro di Guareschi, per dirla con Lui stesso, "nella sostanza rimane sempre uno zibaldone: vale a dire un gran frutto misto di roba che l'autore ha scribacchiato un po' dappertutto...nell'arco della sua esistenza ", ma in esso c'è un Guareschi "tipo famiglia", "quello che ha il suo mondo racchiuso fra le pareti domestiche ". Nel mio libro, invece, spazio in lungo e in largo, in un mondo senza pareti e... senza confini.
6) - " Pourquoi écrire ? " - Da " Situations II " di J.P.Sartre. Tutte le frasi tra virgolette di questa parte dell'Introduzione sono di Sartre. L'autore fa anche riferimento all'opera " (L'estetica dell'esistenzialismo ", pp. 181-182, Editrice G. D'Arnia- Messina 1956, dell'accademico Professore Oreste Borrello.
7) - Vedasi il " Discorso preliminare " di Jean-Baptiste Le Rond D'Alembert nella " Encyclopedie " di Diderot e D'Alembert - (1751-1781) .
8) - Dante - IIII Canzone del " Convivio" .
9) - " Preparatis... " = Apparecchiate le legna e la corda per il fastello, tempo è ormai di legarlo. Oppure =Preparati i rami e le corda per il fascio, ora è tempo di legarlo. Dante : " De Vulgari Eloquentia " - Libro II - Cap. VIII -

zibaldino

Di seguito elencate alcune poesie

LE MATERIE SCOLASTICHE

"Sogni, prodezze,amori e cortesia
io so ben dire in prosa e poesia;
eroi, miti e leggende a mano a mano
so presentar sol’io: l'Italiano."

"Solo da me imparasti, oh sciagurato,
la leggenda di Enea e del suo Fato.
alta non mi guidar e sempre sono,
oh figlio, il vecchio tuo padre Latino."

"Gli Dei, l'aspre battaglie, per il Giove,
non ho forse cantato in ogni dove?
E se Latin si vanta, è forse cieco,
perch'io sono suo padre, il prode Greco."

"Ferri signor, cos'è questa baldoria?
Son giudice dei fatti, io son la Storia.
Solo da me saper potete tutti
qual fur' le vostre gioie e i vostri lutti."

"lo non so se dell'uom la testa sia,
ma è certo ch'io son Filosofia.
Prima penso, poi dico ben benone
ciò che disse Aristotele o Platone."

"lo son certo dell'uomo il braccio destro,
perché son della scienza un vero incastro.
Egli sa ben quanto gli servo in pratica,
io che sono la grande Matematica."

"Se ciascuno di voi non si vantasse
d'esser chi il braccio, chi la testa o l'asse,
s'accorgerebbe ben, per mia ragione,
che la miglior son'io: la Religione!" (1952)

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ZUPELLO

Zupello!
E' un piccolo e forte
ruscello
delle mie contrade.
Zupello!
Son le terre d'intorno
a quello
da cui prendon nome.
Zupello!
E' una casa cerchiata,
è un castello,
un ricordo di mia gioventù.
D'una notte d'estate
è il rimpianto
e il ricordo di quel che ci fu! (1953)

Note:
Zupello è una contrada dell'ex Comune di Sambiase,
sulla via che porta al Santuario della Madonna di Porto Salvo.
È anche il nome del ruscello che attraversa il luogo.
Accanto al ruscello c'è il piccolo castello di proprietà della famiglia De Medici..

 

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da 'Echi gozzaniani "

IN MORTE DI UNA SCOLARA

Oh bimba di bianco vestita,
che parti per l'ultima meta,
composta, distesa, ormai quieta,
per te cos'è stata la vita?

La nascita, i primi vagiti,
poppasti la vita dal seno,
crescesti nel mondo sereno
dei cari tuoi, semplici e miti.

Quei giuochi di bimba innocenti,
le prime letture di scuola,
le amiche, la rosa, la viola
che spesso stringevi tra i denti.

Null'altro, nessuna esperienza,
né giovane fosti né adulta,
né cosa che l'anima insulta,
nessuna del male coscienza.

Più pura del bianco del giglio
profuma la tua primavera,
un'alma che torna sincera
là dove tornò l'Uomo Figlio.

Note:
-Anno 1952, muore a Sambiase una scolara, compagna in quarta classe elementare di Francesca Funaro, sorella dell'autore.

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da "Echi leopardiani "

"Crine di viola, eletta, dolceridente Saffo " Alceo: "Decima Musa"

Alla poetessa Pina Maione Mauro

Vetusti or sono gli anni nostri. E gli anni
com'eran verdi allor, quando cingèa
di riccioli cornice il tuo bel volto
di dea silvana! (Oh quale dolce imàgo
di tornita beltà, di primavera!)

Vetusti or sono gli anni...
e di quel campanile
or non vedo più l'ombra
che nei meriggi estivi
misurava le ore.

Lamentarsi che giova,
se la vita non riède,
se i passi incerti il fanciullin non trova!

Alcuna siepe più non v'è ch'escluda
dell'ultimo orizzonte a me lo sguardo,
né vesti chiede più l'anima ignuda,
né contemplar del mondo i ben m'attardo,

Ahimé, dal natio suolo ormai lontano
da più anni, mi chiedo ora che resta
di quella prima vita in cui con mano
toccai dolori e gioie. Or v'è tempesta

nell'alma mia, che cerca e più non trova
i suoi antichi motivi; e la speranza
d'una vita migliore, d'una nuova
visione di confini, ove distanza

non vi sia tra parola e contenuto,
ormai s'è persa. E son rimasto solo,
nel pensar ricco, nel discorso muto,
com'augèl che non osi più nel volo.

In questo mondo di menzogna e orrore
di qualcosa che valga non c'è niente.
Restan gli affetti a confortare il core,
restano i miti a confortar la mente.

Altro dirti non vo'….,ché più tristezza
al cuor m'apporterebbe ogni parola.
M'è di ristoro almen 1'àurea bellezza
del canto tuo, che avvince e che m'invola! ( giugno 1996 )

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MERLINIANA

Quale gloria, quale onore,
quanta fama conquistata!
La Merlin, donna di cuore,
se l'è proprio meritata.

Oscurando la memoria
d'ogni re, d'ogni regina,
il suo nome va alla storia
quale mistica eroina,

tutta presa dal dolore
di saper che tante donne,
per denaro e senza amore,
si calavano le gonne.

Tante povere ragazze
senza onore, martoriate,
disilluse, quasi pazze,
dentro "case" segregate,

che subivano il disgusto
d'un amplesso non voluto,
per un prezzo sempre ingiusto,
d'un amore non goduto.

Non difese dalla legge,
da madame maltrattate,
tutte unite come un gregge,
tutte quante eran schedate.

Libertà, divertimento?
Mai sentiti nominare.
La lor vita ogni momento
sempre a letto, a dare, a dare.

Finalmente all'orizzonte
con lo scudo e il brando apparve,
a lavare tutte l'onte,
a salvare quelle larve
un'eroica donnina,
che non era conformista,
non di certo una beghina
e né vuota moralista.

"Nello Stato di diritto,
qual è il nostro, tale e quale,
sia di fatto e non sol scritto
che ciascuno agli altri è uguale!

Non è giusto che l'Italia,
democratica, civile,
della Chiesa ognor la balia,
degna madre d'ogni stile,

più conservi l'indecenza d
i cotanta illibertà,
più dimostri tolleranza
a vergogna, ad empietà.

Quelle "case" vanno aperte,
si puliscano le tane,
quelle donne, ognor sofferte,
vadan libere e sovrane."

Tutto fatto in un momento,
libertà riconquistata!
Con un sol provvedimento
la vergogna è cancellata.

Non più chiusa in quattro mura,
più dall'uom seviziata,
non più scheda, d'onta pura,
né dal medico curata,

or non v'è più quel complesso
della preda a buon mercato,
ora è libero l'amplesso
e il compenso maggiorato.

Liberata ormai dal giogo
del lavor salariato,
or lei dà libero sfogo
al lavoro suo privato.

Donne libere, feconde,
riscattate da ogni male.
La Merlin or va sull'onde
della cronaca immortale.

Paga certo del suo frutto,
tra le critiche e gli onori,
passa altèra ormai su tutto,
né più sente i mille cori,

che dal vulgo miscredente,
villanzone e scostumato,
già si levano -che gente!
contro tutto il suo operato.

Resta solo il cittadino,
che dal fatto è danneggiato,
senza sfogo, poverino,
dal progresso buggerato.

Grazie all'estro innovatore
di cotale senatrice,
che gli ingrati senza amore
han lasciato, almen si dice.

Alla morte sua saremo
tutti tristi, conturbati,
un saluto, un inno estremo,
mille baci non più dati,

anche se rimasti al verde,
se d'atavico costume
ogni traccia ormai si perde,
grazie all'opra di quel "Lume"! ( 1958)

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"Seul et rien
le pays qui se trouve dans mon ame"1

AL MIO PAESE

Quando ripenso al mondo sambiasino (2)
mi prende addosso una malinconia:
rivedo quella piazza Fiorentino,
sento le voci e i suoni d'ogni via.

Rivedo i capannelli di persone
dinanzi al bar, che parlano accaldate,
e giù verso il viale stazione
le macchine che corrono sparate.

La freccia mai non usa l'autista,
sia quando gira, sia quando sorpassa,
e c'è qualcuno che non paga tassa.

C'è un vivere felice, spensierato,
anche se è crisi nell'economia;
basta solo parlar di campionato
e di qualche abbuffata in trattoria.
Il paese è cambiato e ben si vede,
di popolo e di case si è ingrandito;
d'essere progredito ognuno crede
e il progresso nessun l'ha digerito.

Ma nell'insieme è tutta brava gente,
degna d'affetto e tanta simpatia,
di male credo non ci sia mai niente,
tutto sembra filare in armonia.

C'è il cicco pensionato di straforo
che gioca la partita di scopone,
c'è il povero che, pur senza lavoro,
riesce a rimediare un milione.

Succede quasi sempre nella vita
che una persona dignitosa e onesta
non si sia col lavoro mai arricchita,
perché non ci arrivava con la testa.

Anche al paese mio questo è accaduto.
Politica, intrallazzo e compromesso
hanno dato al cafone sprovveduto
motivo di ricchezza e di successo.

Il galantuomo, il cristiano vero,
che ha rigato diritto ad ogni legge,
che nel rapporto sempre fu sincero,
che mai pensò di evadere dal gregge,

poiché non ha saputo approfittare
ed ha vissuto sempre di morale,
il titolo di "fesso" può vantare
e di pensione avrà quella sociale.

Non sembri tutto questo maldicenza,
lo sfogo mi perdoni il mio paesano,
se tratto queste cose per coscienza,
non voglio fare il giudice e il villano.

Se penso da lontano al mio paese,
tutto di là mi scorre nella mente:
c'è il carattere rozzo ed il cortese,
c'è il molto lavorare e il non far niente,

c'è l'amore di mamma e di papà,
l'affetto degli amici e dei parenti,
ci sono gli straccioni ed i gagà,
i nuovi ricchi ed i nullatenenti.

Per anni vi ho vissuto, vi ho patito,
vi ho svolto il mio lavoro con passione,
e quando un brutto di ne son partito,
non l'ho fatto per odio o delusione

Come succede a tutti gli emigranti,
a Sambiase v'ho lasciato il cuore,
i ricordi più belli, il vino e i canti,
le prime gioie, il mio primo dolore.

Ne vivo da più anni ormai lontano:
se pur comodo trovo il nuovo sito,
quando lo penso mi risento strano,
come se in corpo avessi un gran prurito.

È una smania, un calore, mi vien pianto,
rivederlo vorrei solo un momento;
so che non posso, allor di rime un canto
dal cuor mi sgorga e gliel'affido al vento. ( 1985)

Note:
1) - " Soltanto il mio paese è situato
nel più profondo dell'anima mia." ( Mare Chagall)
2) - di Sambiase, paese di nascita dell'autore, ex Comune della provincia dì Catanzaro inglobato nella città di lamezia Terme nell'anno 1968.

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.. Virtutem verba putas et lucum ligna:. .(1)

Il LAVORO E' VITA

C'è chi trova il lavoro assai pesante
e cerca di far meno nella vita,
io l'ho trovato invece edificante,
l'esistenza mi ha reso più gradita.

Quando si dice che non vai la pena
darsi da far più d'altri nel lavoro,
metterci il cuor, la mente e tanta lena,
perché lo Stato a cui va tutto l'oro

non riconosce il merito e l'impegno
e a tutti dà il salario quasi uguale,
io invece affermo che d'onore è degno
chi lavora di più, perché più vale.

Se delle parti il vile compromesso
ogni virtù appiattisce nel paese,
se è ver che chi lavora sembra fesso,
vive nell'ombra e non ha mai pretese,

chi lavora con fede e con coscienza
quel che possiede l'ha ben meritato,
può dir senza vergogna e con veemenza
che non è mantenuto dallo Stato.

C'è chi ci ride su virtù e valori,
fa il furbo, non fatica, si fa spazio,
chi per essi ne accetta anche i dolori
e li persegue e se ne sente sazio.

Ho fatto l'impiegato per trent'anni
con tanta passione e intelligenza,
sempre presente e pur con i malanni
non cercavo la scusa per l'assenza.

I maldicenti, che non mancan mai,
potranno dire che non ho brillato,
però son più i vantaggi e meno i guai
che ho prodotto dovunque ho lavorato.

Non ho cercato onori o imboscamento,
in prima fila ho sempre combattuto,
sul mio lavoro ho fatto affidamento,
a tutti ho dato il meglio che ho potuto.

Pensionato ora sono e più di prima,
non ho paura a dirlo, ancor lavoro,
nella cordata sono pure in cima
della famiglia e do pane e decoro.

Non è superbia! Chiedo solo a Dio
che mi conceda ancor tanta salute
e che possa tirar sempre con brio
il mio carretto, senza mai cadute. ( 1985)

Note:
1) - “Se poi credi che la virtù sia una parola e un bosco sacro non sia che legna." Orazio - "Epistularum libri" - (Libro I - Epistola VI)

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C'ERA UNA VOLTA

C'era la patria un tempo, la famiglia,
il casato, il paese, la morale:
nulla di tutto questo oggi più vale,
in ogni campo è quasi un parapiglia.

Sembra si viva tutti alla giornata,
senza una meta di riferimento,
il lume d'ogni fede ormai si è spento
e la mente è più sveglia e smaliziata.

Niente si dà scontato e duraturo,
non si crede allo Stato e al Creatore,
il giusto soffre più del peccatore,
del casto si fa beffa l'uomo impuro.

C'è tanta sufficienza e presunzione:
l'uomo si è posto al centro del Creato,
d'ecologia, politica e mercato
ne tratta con sussiego e profusione.

La Patria! Quella grande fregatura,
si suol dire, che spinse ognor le genti
a sognare, patir, menar fendenti
e a molti anticipò la sepoltura.

Famìglia! La ritengono fallita,
motivo di tristezza e di prigione:
se un cappio ci va bene una stagione,
non c'è bisogno d'anellar le dita.

Casato! Chi ci pensa più al cognome,
alla vita, all'amore e onor degli avi!
Non furono migliori, non più savi
di noi che ne portiam per uso il nome.

Paese! Che cos'era il campanile
che legava la gente al proprio luogo!
Oggi serve come alibi allo sfogo
della rabbia sportiva e della bile.

Morale! Ecco che qui l'asino casca!
La vita modellava, era una fede;
ormai c'è solo il gonzo che ci crede,
perché l'etica vera è nella tasca.

C'era una volta... c'eran queste cose!
C'è chi ci crede ancora e non gli importa,
se al mondo resta fuori dalla porta.
Chi si punge di spine avrà le rose. (1985)

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UN GIOVANE D'OGGI

Guardo un giovane lì, muto e pensoso,
tutto coperto di moderni stracci,
nella fredda gionnata par che ghiacci,
ma d'aiutarlo per timor non oso.
Timore di non essere capito;
non so cosa gli passa per la mente,
non so se pensa, soffre oppur non sente
quel che gli accade attorno ed è intontito.

E' vittima o è padrone di se stesso?
Non so che fare! Non li puoi capire
questi giovani d'oggi. A loro dire
ogni "matusa" è superato e fesso.

Sono liberi loro e riscattati
da qualunque retaggio e tradizione,
non chiedono l'amore o compassione,
da pani vogliono essere trattati.

Di musiche e di mode intenditori,
a modo loro, seguono diversi
profeti improvvisati e si son persi
in campi allucinanti d'erbe e fiori.

Così non intervengo. Intanto quello
sembra che cada, assente, viene avanti,
vacilla, chiude gli occhi, ed i passanti
lo ignorano calcandosi il cappello.

E' felice? Sta bene?....Sta morendo!
Chi rinnega la vita e poi si sfoga
col mortale veleno della droga
non ha capito che si sta mentendo.

Fratello, non m'intendi, ma ti parlo:
torna alla società, torna ai tuoi cari,
accetta della vita i giorni amari
guarisciti dal male e più non farlo. (1985 )

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COS’E’ LA VITA

Sempre si è chiesto: "Che cos'è la vita?
e le risposte sono state tante:
chi la dice immortale, chi finita,
chi la vuole vissuta in ogni istante.

Secondo che da spirito o materia
si parta, ognuno ha fatto il suo commento,
ma se si vuole fare cosa seria
occorre fare un bel ragionamento.

La vita è un fine, un mezzo o una partenza?
Questo è il problema. Procediamo piano.
Se fosse un fine solo l'esistenza,
è poca cosa, e poi d'onde veniamo?

C'era bisogno di tanto infinito,
perché d'esso soltanto in poca parte
si consumasse poi dell'uomo il mito,
lasciando il resto vuoto ed in disparte?

Non può essere l'uomo piccoletto
l'unico scopo di tanto universo,
fra molti potrebbe esserne un effetto,
ma come scopo non ne vedo il verso.

Da grande albero sboccia un fiorellino,
cresce frutto, matura, s'appassisce,
non è fine a se stesso, è un anellino
d'un ciclo natural che mai finisce.

Così succede all'uomo sulla terra:
la sua nascita è conte una partenza,
vive, vegeta, pensa e non afferra
il vero scopo della sua esistenza.

Per quanto l'uomo sforzi il suo cervello,
scruti nel mondo, vada più lontano,
infine il risultato è sempre quello:
che, se non crede, ogni suo sforzo è vano.

Ammettiamolo dunque francamente:
la vita non è fine, ma lucerna
che dal buio vien fuori lentamente
per arrivare ad una vita eterna.

Filosofi, profeti e miscredenti
hanno fondato mille e più dottrine,
tutte però risultano perdenti,
se intendono la vita come fine.

Ognuno tira l'acqua al suo mulino
per far girar la macina del grano;
il grano è sempre l'Essere divino
cui cerchiamo di dare un nome invano.

Quale che sia il suo nome, è Lui l'artista
della vita dell'uomo; ognuno avanza
entro i confini della propria pista,
ma il mondo rassomiglia ad una stanza.

Pertanto è vano rompersi il cervello,
chiedersi sempre che cos'è la vita,
se è nato prima questo oppure quello.
Importante è sapere se è servita! (1985)

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Il TRENO DEI PENDOLARI

E' ancora notte. Scivola discreto
sulle rotaie il treno del lavoro,
pur pieno zeppo sembra quasi lieto
di trasportare un carico `sì d'oro.

Ha raccolto su in valle ed in pianura
gruppetti di persone infreddolite,
strappandole alla notte e all'aria dura
per ristorarle col suo ambiente mite.

Illuminate e calde le vetture
offrono a molti un po' di sonno ancora:
chi ha gli occhi un po' socchiusi in due fessure,
chi dorme forte come di prim'ora.

C'è chi non donne e tiene aperti gli occhi,
fissi sul finestrino ormai appannato,
forse pensa alla casa, ai suoi marmocchi
o alla bolletta che non ha pagato.

C'è Beppe preoccupato, ché la figlia
non mangia da tre giorni e deperisce,
Ottavio sul lavoro ed in famiglia
si lagna, ché non c'è chi lo capisce.

C'è Marta, bella figlia, appetitosa
in altro luogo, qui fa tenerezza,
quando sbadiglia, quando cambia posa,
semplice e stanca, d'umile bellezza.

Ci son giovani, vecchi, belle e brutte,
ognuno con la sua vita privata;
mille persone che il buon treno tutte
ha riunito in unica cordata.

IL ferroviere accanto all'imbianchino,
la maestra, il cassiere ed il bidello,
chi con la borsa, chi col "baracchino", (1)
ognuno col suo mondo e il suo fardello.

Veloce, silenzioso ed assonnato
diretto è il treno verso la città,
dove scaricherà, quand'è arrivato,
un carico di calda umanità. (1985)

Note:
1) Tegamino, gamella militare per il rancio. In questo caso indica il recipiente per il pranzo dei lavoratori che mancano da casa tutto il giorno.

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ALLA CALABRIA

Aspra Calabria, terra forte e dura(1)
ove alligna il ginepro ed il mirtillo,
ove d'estate l'uva si matura
al caldo sole, mentre canta il grillo.

Hai la forma d'un piede nudo, snello,
che poggia sol la punta e nel Tirreno,
attento a non bagnarsi, fa un saltello,
ma di sotto l'appoggio gli vien meno.

Questa in sintesi forse la ragione
del tuo volto crucciato e della rabbia:
tentavi di volar dalla prigione,
ma poi tradita rimanesti in gabbia.

Prima fosti degli Itali la culla,
indi la Magna Grecia nella storia,
ad altri venne il merito, a te nulla,
fu tuo il sudore, d'altri fu la gloria.

Se il volto è rude, vario, travagliato,
pur nascosta tu serbi una dolcezza:
è il respiro dei monti, è il suono amato
delle tue rive, è l'umile fierezza

della tua Gente, che, pur generosa,
mai fu stimata; d'ònde il suo cipiglio
ogni qualvolta vento muove cosa.
Ti basti il grande amor d'ogni tuo figlio! (1982)

Note
1) "Aspra Calabria, terra forte e dura
ove alligna il ginepro ed il mirtillo,"...
Nell'aspra, forte e dura terra di Calabria si riscontra da secoli la crescita spontanea di queste due piante: l'una, il mirtillo, arbusto ostile, solitario, dai colori scuri e dal frutto di sapore vinoso medicale, si accampa nelle prime rampe collinari; l'altra, il ginepro, aborto di cipresso mediterraneo, pianta arbustiva dall'aspetto rude e travagliato, dal colore rosso bruno, dal frutto aromatico, abbrutito dalla polvere e dalla sabbia delle macchie marine, si estende lungo la fascia costiera, al limitare delle spiagge.
Queste due piante raccolgono in sé le principali caratteristiche negative della forma e della sostanza di questa terra, apparentemente chiusa in se stessa. Ma viene da chiedersi (con un significato volutamente metaforico):
"E tra collina e spiaggia?"
Ecco allora che, tra gli effluvi delle colline (il respiro dei monti) ed il suono amato delle rive, si scopre (molte volte) la muta dolcezza e l'esplosiva bellezza di tanti "fiori" (persone, cose e paesaggi), che questa terra genera ancora, fecondata dal calore sempre vivo (habens ignem) del suo sottosuolo.
- Questo componimento vuole essere un sentito omaggio alla calda e generosa Terra di Calabria, un documento che ne traccia impercettibilmente, ma totalmente il destino e la storia. Un omaggio difficilmente digeribile per chi ha considerato o considera la Calabria una regione subalterna, inferiore e soltanto " uno sfasciume pèndulo sul mare ". -

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AI MARTIRI DIMENTICATI

Operai, Braccianti, Contadini
di Melissa, di Modena e di Parma,
della sicula Bronte e di Celano,
Montascaglioso e ancor Torremaggiore,
Che, miseri e sperando nel diritto
d'una novella ormai democrazia,
foste uccisi da piombo fratricida,
a Voi fedele resta il mio pensiero.
Ché, se da chi difenderVi dovèa
traditi foste, amaro più rimane
il ricordo di Voi, Màrtiri soli!
Contadini, Braccianti ed Operai
Cristo per sempre resterà con Voi.

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- Pasquale Funaro  ( Sambiase 1932, ora Lamezia Terme  - Verbania, 27 luglio 2014). E' stato uno studioso calabrese di cultura umanistica e del pensiero filosofico. Ha scritto poesie, articoli di critica letteraria su riviste, saggi e commenti critici su vari poeti calabresi. Fin dagli anni '60 fu promotore della riscoperta e della tutela di cultura e tradizioni di Sambiase . Un intellettuale calabrese apprezzato ed amato anche nella città di Avigliana (To) dove è stato residente fin dagli anni '80.

Pubblicazioni:
1967 - "Ore e minuti" - Raccolta di poesie. 1978 - "Poemi ineffabili" - Raccolta di poesie. 1995 - "Una luce nella poesia" - Commento su "Spessori", silloge poetica di Pína Majone.
2001 - "De Lisetta Cersosimo Tractatus" - Monografia critica sulla poetessa Lisetta Cersosimo.
2002 - "C'era una volta il soprannome".
2003 - "La pernacchia" - Saggio etico-scientifico. 2003 - "Zibaldino" - Raccolta di poesie e scritti vari. 2004 - "Trucioli di pensieri" - Raccolta di scritti vari. 2007 -  "La saga dei Cordero-Funaro" - Storia di una antica famiglia ebrea. -

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