Fatti e personaggi del '900

Gli archi dell'ex chiesa di S. Michele Arcangelo -

archiGli archi dell'ex chiesa di S. Michele Arcangelo - Centro storico a  Sambiase-
(A testimonianza di una probabile presenza di famiglie ebraiche)

di Raffaele Spada

Entrando nel “Vaglio della casa palazziata della famiglia Fiore-Serra”, in via Cavour (rione Craparizza, centro storico di Sambiase) il visitatore si trova innanzi l’imponenza degli archi e dei motivi architettonici decorati con medaglioni e figure allegoriche d’ispirazione religiosa e antropologica, forse affrescate dal pittore Edoardo Fiore, nato il 17 luglio 1831 a Sambiase da Francesco Saverio, farmacista - fu anche sindaco - ed Aloisia Tropea.
Quegli archi, ancora fascinosi nella loro bellezza, sono l’ultima testimonianza della diruta chiesa di San Michele Arcangelo, jus patronatus della famiglia Fiore, e simbolo di una probabile presenza di famiglie ebraiche! Secondo quanto scrive lo storiografo Giuseppe Ruberto, la chiesa fu fondata dalla famiglia De Fiore (originari di Sorrento) la cui Bolla vescovile risale al 1634.
Dell’esistenza della Chiesa di San Michele, in una breve pubblicazione su “Chiese e Conventi di Sambiase” del 1975 ne parla monsignor Pasquale Caputo riportando la relazione del 1769, mentre monsignor Pietro Bonacci nel 1993 conferma la relazione del 1769 del vescovo Paolino Pace.
Oggi di questo edificio religioso non rimangono che i soli ruderi, ma nonostante l’incuria del tempo e degli uomini, la tenacia di alcuni studi potrebbero svelare più di un enigma. Per senso del dovere, naturalmente, si rivolge un appello alle autorità preposte alla tutela dei beni culturali, come la Sovrintendenza, che dovrebbero esser più presenti su questo territorio; così come alle autorità amministrative, compresi i consiglieri comunali (di Sambiase un gran numero), affinché si possa tutelare ciò che è rimasto.
Per Ruberto «su questo luogo, dove fu costruita la dimora della famiglia Fiore - Serra, vi era già stato un probabile presidio di famiglie di origine ebraica, perché alcuni documenti notarili riportano che la sua antica denominazione fosse “il Timpone”. Un toponimo, che ci riporta direttamente al rione "Timpuni" di Nicastro, nel quale gli storici Giuliani, Montesanti e Villella rivelano la presenza della Giudeca. In effetti - continua Ruberto - fin dai tempi dell’occupazione Normanna la cosiddetta “Terra di Sambiase”, divenuta casale di Nicastro, aveva registrato la presenza di un gruppo di famiglie di origine ebraica. Altresì, la chiesa di San Michele Arcangelo si richiama in quell’esegesi della religione ebraica, che predicava l’Arcangelo Michele sostenitore del loro popolo d'Israele».
Un altro dato importante è la stessa morfologia logistica di questa dimora. Costruita all'interno di un caseggiato (inglobato nella residenza dei Fiore-Serra) aveva un unico accesso attraverso il piccolo valico (vaglio) tutt’ora presente. «Come storia insegna - osserva ancora Ruberto - questo valico (vaglio) con ogni probabilità al calar del sole veniva chiuso, per esser riaperto solo all’alba. Per dare un’idea di ciò invito a visionare il dipinto di Ettore Roesler Franz “La Piazza delle Azimelle nel Ghetto” 1881».
Ma non è finita. Come è noto, a seguito del decreto dell'Alhambra, emanato il 31 marzo 1492 dai re cattolici di Spagna, Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona, divenne obbligatoria l'espulsione delle comunità ebraiche dai regni spagnoli e dai loro possedimenti. Questo fatto storico ebbe un effetto devastante e determinò un clima terrificante nella Chiesa del post Concilio Tridentino, tanto che in Calabria portò alle stragi di Guardia Piemontese contro una comunità di Valdesi, sgozzati ed impalati per un violento trionfo della fede. Dopo tali atrocità sono stati in molti a convertirsi al cattolicesimo per sopravvivere, anche se in segreto rimasero con le loro convinzioni. Vista la mancanza di documenti Ruberto avverte che all'indomani della diaspora questo nucleo di famiglie ebraiche di Sambiase pare che venne relegato nella località “Marrano”, in zona collinare, poco distante dal rione Miraglia.

                   Raffaele Spada (giornalista del Quotidiano del Sud - redazione Calabria)
Lamezia Terme, 21 ottobre 2022

IL FÓNDACO DI SAMBIASE E LE BOTTEGHE DEI FUNARO

IL FÓNDACO DI SAMBIASE E LE BOTTEGHE DEI FUNARO

 di Raffaele Spada 

Il Fóndaco di Sambiase, piazza Matrice, l’odierno corso Vittorio Emanuele, è stato il centro propulsivo fino agli anni ‘60 del ‘900, ovvero la piazza principale e il perno della vita economica e sociale della comunità, caratterizzandosi come uno dei centri più in vista della Diocesi di Nicastro, grazie alla coltivazione e al commercio di prodotti agricoli. In essa si stabilirono le prime botteghe in concomitanza all’arrivo di nuclei familiari, tra questi la famiglia Funaro di origine ebree, cacciata dalla Spagna all’indomani della diaspora del 1492 assieme ad altri 300.000 ebrei, dopo aver soggiornato in Francia e nelle città di Livorno, Roma, Reggio Calabria e Scilla.
«Ancora prima che questo territorio - afferma lo storico Giuseppe Ruberto - prendesse il nome di San Blasium (dato dalla comunità Bizantina attorno al VIII secolo dell’anno mille), il suo etimo, secondo Gaetano Boca (Vena di Maida 1820 - Nicastro 1896, patriota e allievo di Settembrini), era “xhambàzi”, si legge giambasi in lingua albano-epirota (e perciò pregreca) e significa luogo di fiera, precisamente baratto di cavalli e animali da soma».
«Alla vitalità di piazza Fóndaco, per i commerci di pellame e per l’arte farmaceutica - specifica lo storico Ruberto – contribuì anche la famiglia di origine ebraica dello scrittore e poeta, Pasquale Funaro, autore del libro “La saga dei Cordero - Funaro”, sulle molteplici drammatiche intime sfaccettature, descritte nei diari ed appunti del passaggio delle generazioni dei Funaro».
Lo storiografo Ruberto, attraverso una sua appassionata ricerca documentale, si è inoltrato negli atti dei notai di Sambiase del 1700. «I Funaro – afferma Ruberto - sopra la piazza possedevano le loro case-palazziate; mentre “sulla piazza” o “sotto la piazza” le principali attività di guadagno, con le loro botteghe di conciapelli, calzolai, sartoria, speziali, cordai e funi, dal quale i Funaro presero quel cognome reso obbligatorio in Italia nel 1564 con il Concilio di Trento. La loro prima dimora nel 1601 è sulla via Cittadella (Miraglia), “porta del paese” al tempo della via Annia posta al nord; poi i discendenti abitarono anche nel rione Patelle Atrio II, via Ferruccio n. 65 (La casa palazziata appartenuta agli eredi del barone Horazio Fiore da Cropani – dove è ubicato il Luogo della Memoria, piccolo museo etnografico ideato dal professore Umberto Zaffina).
In quegli atti di compravendita vi era una delle figure più emergenti: Giuseppe Funaro (classe 1730), figlio di Francescantonio e Porzia Notarianni, il quale sposa Elisabetta Iannazzo, i cui eredi erano: Francescantonio, Nicola, Bruno e Gennaro. In modo particolare nel 1760 il Funaro Giuseppe è ascritto con il titolo di Magnifico Regio giudice a contratti (detto "mastro d'atti"), pubblico ufficiale i cui compiti, scrive lo stesso Ruberto, erano quelli di un moderno Cancelliere. Egli fu più intraprendente degli altri (dediti alle botteghe e alla campagna), si farà strada tra le maglie dei ceti notabili e classi altolocate del casale. Gli affari dei Funaro raggiugevano personaggi altolocati e commercianti della città di Napoli e la loro smisurata capacità finanziaria gli permise di comprare botteghe e finanche una farmacia».
Volendo rievocare un’epoca piena di vitalità «‘A Chj’azza», poesia di Salvatore Borelli (1930-2004), ci permette di rivivere l’atmosfera del Fóndaco con il brusio di avventori, venditori e banchi ripieni di primizie locali. «‘A Chj’azza». Ppi ddàmmu s’affendinu ‘i Stratillùati,/ chilli ‘i ‘ntr’’o Bràcciu o i Cafhardisi!/ ‘Un ddìcu, arràssu sia, ch’èranu ciùati,/ ma ‘a Chjàzza fhù llu salòttu d’’u paìsi!// Lla cci stavìanu ‘i ‘gnùri,/ i cavaliari e lli signurini,/ m’anzi pagliètti ‘i tanti culùri,/ putighi e putighìni/ ‘Nu mùarzzu ‘i paìsi staglàtu,/ ‘nu veru principatu!// Tìnìanu assissuràtu,/ ‘a caserma e lla ‘satturìa,/ sutt’’a gghjìasa c’era lla posta/ ‘ntr’’o palazzu ‘i ndon Giorgiu Maria.// Cumu è smimbràta ‘a chjazza!/ Tutt’ ‘i cosi ha pirdùtu!/ È cicàta e senza vràzza,/ ‘u salòttu è sciundùtu!

 

              Raffaele Spada (giornalista sul Quotidiano del Sud - redazione Calabria)

 Lamezia Terme, 31 ottobre 2022.

 

I lavori del Consorzio di bonifica nella Piana di S. Eufemia Lamezia

✍️ ( tratto da: G.  Medici,  P.  Principi  "le  bonifiche  di  S. Eufemia e di Rosarno" Zanichelli ) 


Prima della bonifica S.Eufemia era conosciuta come "S.Eufemia Biforcazione", luogo di transito per la presenza della stazione e di breve sosta per i viaggiatori che dovevano raggiungere Catanzaro.
La linea ferroviaria e la strada Nazionale rappresentavano le uniche vie di comunicazione che penetravano nel territorio della Piana, chiuse tutte intorno dai monti e ad occidente dal mare.
Questi luoghi di transito erano però circondati da stagni, paludi, pantani e lagune morte e complessivamente con poche alberature.

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