Storia antica

Il Tesoro di S.Eufemia

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Il Tesoro di S.Eufemia(a)

di Roberto Spadea della Sovrintendenza Archeologica della Calabria

tesoroÈ trascorso più di un secolo dal giorno 8 aprile del 1865, allorquando, come racconterà vent'anni dopo Antonio Francica, erede legittimo di Pasquale, vennero ritrovati in circostanze del tutto fortuite i gioielli, noti agli archeologi come «Tesoro di Santa Eufemia». La scarna narrazione di Antonio Francica, vicina allo stile asciutto della cronaca, accompagna un libretto con fototipie dei monili, libretto che egli pubblicò come catalogo di vendita di quell'eccezionale complesso.

Il teatro è quello della terrazza, denominata «Elemosina» e detta anche «Olivarelle» o «Valle», una contrada nei pressi del piccolo villaggio di Sant'Eufemia del Golfo (odierna Sant'Eufemia Vetere); viceversa, nelle varie relazioni gli attori e gli scenari sono diversi: nel catalogo di vendita protagonista è una guardia campestre di Pasquale Francica, che sarebbe stata messa a parte della scoperta da due contadini, e che, per paura e venalità, fece a pezzi i delicatissimi monili, vendendoli come oro da fondere. Gli oggetti proverrebbero, secondo Antonio Francica, da «più che due metri dalla superficie» e meglio da «un antico sepolcro».

Nel resoconto del Sindaco (facente funzione) di Gizzeria si parla ancora di un sepolcro, scoperto da un povero scemo, più noto come «Qualaro», che sarebbe stato raggirato per un ottavo di fichi secchi da due compaesani senza scrupoli, i quali ritornarono sul luogo del rinvenimento per completare il recupero. Gli oggetti «erano stati in parte sciupati» e furono recuperati da Pasquale Francica, che come soggiunge il Sindaco di Gizzeria , «dietro non poca difficoltà, riuscì a comprare quegli oggetti».
tesovetere L'acquisto è certificato anche dal Sindaco di Nicastro, che sottolinea «i prezzi molto cari» con i quali fu ripreso quanto restava del prezioso ritrovamento. «Prezzi esagerati» concluderà il Sindaco di Gizzeria. Diversa infine è la versione del Giuliani : due contadini ( di Sambiase ) andavano «in busca di stipa» (legname minuto) e «mentre erano intenti alla loro opera si avvidero cheun orcio di mezzana grandezza rimaneva incastrato in un lato del fossato nella pofondità di circa due metri dal sovrapposto suolo». Inutile aggiungere che i due ruppero l'orcio e che da questo recuperarono i materiali contenuti: molte monete e medaglie di bronzo, ma anche «idoletti d'oro, collane ed altri ornamenti del medesimo prezioso metallo». Giuliani aggiunge che gran parte del «Tesoro» sarebbe sta­ta nascosta o distratta. Certo è che egli vide il materiale, la cui descrizione, seppur sommaria, coincide con quelle dei successivi documenti, quando questo era già giunto nella casa di Pasquale Francica a Monteleone (odierna Vibo Valentia) e quello che più importa è che vide gli oggetti nell'anno stesso del ritrovamento (la relazione, infatti, inizia: «nel giorno 8 aprile di quest'anno 1865»). Del Giuliani, inoltre, è l’ipotesi che molti degli oggetti rinvenuti fossero parte di una corazza («una lorica filax»), ma la ricomposizione è del tutto arbitraria e tanto ha contribuito a far nascere una tradizione non poco distorta (di corazza non a caso parleranno le certificazioni dei tre Sindaci). Le relazioni dei Sindaci sono infatti successive e sono state tutte redatte al tempo della vendita disposta da Antonio Francica, quando l'originario proprietario del fondo «Elemosina», Pasquale Francica, era morto. Esse sono date tra il 12 e il 15 dicembre del 1884 e contengono il medesimo formulario («per propria conoscenza e da due informazioni da me assunte» il Sindaco di Nicastro; per propria conoscenza e da informazioni da me assunte» il Sindaco di Sambiase ; sì per propria conoscenza sì per essere notorio a questo pubblico» il Sindaco di Gizzeria); identica è la descrizione sommaria degli oggetti. Ho indugiato non poco su questi documenti perché a mio parere essi sono emblematici del modo in cui si formano quelle tradizioni leggendarie e misteriose (la notte tempestosa e la corazza di Agatocle Tiranno di Siracusa, l'orcio rotto) delle quali era (ma lo è ancora oggi) particolarmente infarcita l'archeologia del secolo scorso, epoca di grandi scoperte tanto in Grecia ed Asia Minore, tanto in Italia, dove la neo capitale Roma (il tesoro sarà venduto in questa città dove Antonio Francica si era trasferito) diventa centro di traffici di oggetti d'arte nei quali sono particolarmente impegnati persone facoltose ed altolocate e antiquari. Nel nostro caso sarà Vincenzo Vitalini a portare a termine la trattativa, che si concluse nel 1897 con l'acquisto del tesoro da parte del British Museum.Tuttavia dal confronto dei resoconti è possibile concludere ancora una volta con rammarico che nulla è possibile ricostruire dell'originale entità di quel tesoro, che Dyfri Williams definisce «probabilmente il più grande e più importante ritrovamento di oreficeria greca della Magna Grecia» (cfr. oltre, p.16) e nulla è possibile dire sul contesto nel quale fu rinvenuto, così che conviene ritornare sul duro commento finale di Antonio Francica: «l'ignoranza di un villano fece finire nel crogiuolo dell'orefice opere d'arte greca della più fine fattura». Dalle ricerche effettuate dal dottor Dyfri Williams (curatore of Greek and Roman Antiquities del British Museum di Londra) è possibile apprendere l'esistenza di una vera e propria bottega di Santa Eufemia, la quale fa capo ad un maestro cui si deve la progettazione del complesso. Altresì è possibile parlare di una sostanziale omogeneità di stili che vedono in Taranto il principale centro propulsore, se si considera che due delle altre botteghe ricostruite dal Williams (Ginosa e Crispiano) gravitano intorno a Taranto. In anni passati (cfr. «Klearcheos», XXI, 1979, pp. 42-46), nel corso di un lavoro di ricognizione degli insediamenti antichi nella piana lametina, ho avuto mo­do di mettere insieme i documenti e le testimonianze archeologiche reperiti fino ad allora in quel vasto territorio. Ho potuto così esaminare il «Tesoro di Santa Eufemia» e valutare la sua particolare importanza. Ho immediatamente pensato che un rinvenimento così eccezionale, che in­dubbiamente richiama l'esistenza di manifatture specializzate ed aperte a scambi e confronti di idee e motivi portati da uomini o segnati in altri oggetti, non poteva essere un fatto isolato. D'altra parte lavorare metalli preziosi con la capacità e l'abilità dell'orafo o degli orafi che produssero il complesso lametino, può solo accadere ove vi sia una specifica e costante richiesta di questi beni non certo consuetudinari. Ciò quindi equivale ad attestazione di particolare benessere ed anche di eccellenza delle fabbriche artigianali locali che possono innalzarsi, per il particolare livello di originalità e qualità, oltre lo stretto limite del proprio territorio. Il momento, poi, è particolare e riflette una koinè di modelli e motivi che circolano con particolare intensità nell'Italia meridionale, generando peraltro numerose varianti. L'insieme dei motivi dove si intrecciano spirali, rosette, viticci disegnati in sinuosi arabeschi richiama un altro importante monumento reperito nell'area lametina, che autorevolmente si affianca al «Tesoro». Si tratta di un’hydriavaso1 a figure rosse, alta cm 52, rinvenuta nel 1955 nel corso di uno scasso per piantare un vigneto, nella contrada «Celsito», al confine tra Lamezia Terme e Gizzeria e perciò in una zona diversa da quella in cui fu rinvenuto il «Tesoro». Nella spalla e nel lato principale del recipiente sono rappresentate scene di toilette,vaso2dove i protagonisti (v'è anche un giovane nudo con clamide) si specchiano, muovendosi tra Eroti, uno dei quali (rappresentazione sulla spalla) porge una pisside rotonda ad una dama seduta su una roccia. FotIndubbiamente si tratta si scene di genere, come d'altra parte è usuale nella ceramica italiota a figure di questo periodo. Con ogni probabilità anche l’hydria era corredo di una fastosa sepoltura. La sua presenza nel territorio lametino, lo stesso del «Tesoro», è emblematica.  Il vaso riluce attraverso i colori sovraddipinti; il bianco e il giallo densi e pastosi rendono a rilievo soprattutto i gioielli dei protagonisti delle scene. vaso3Oltre ai diademi che tutti, Eroti compresi, indossavano, colpiscono le collane, le cinture, i bracciali e le pietre preziose, che cingono i partecipanti (ai piedi, nel giro delle cosce e financo a tracolla in uno degli Eroti), gli specchi, la cista, le rocce (scena sulla spalla) o la lunga collana che languidamente pende dalla mano di un personaggio femminile nella scena principale, insomma un ambiente dall'intenso luccichìo, che ben richiama l'atmosfera prodotta dai gioielli del «Tesoro». E come il «Tesoro» anche questo vaso, che può essere datato nello stesso periodo di tempo e che si distingue per le considerevoli dimensioni, non può che essere frutto di particolari committente.tesotabella A queste eccezionali testimonianze si aggiunge, a mio avviso determinante, un altro documento, il frammento di tabella bronzea iscritta, proveniente dalla contrada «Terravecchia» di Santa Eufemia Vetere, databile anch'essa nello stesso lasso di tempo, che riporta il brano di un testamento. In essa un consistente lascito (si parla di case ed altri immobili) è destinato ad un erede, di giovane età, fatto per il quale sono chiamati in causa testimoni e un magistrato, il prytants, che indirizzano verso l'ipotesi (ipotesi che, resto, è sottintesa negli altri due documenti di cui abbiamo finora parlato) di un insediamento stabile ed organizzato, caratterizzato da classi sociali evolute che, come dimostra il contenuto del documento, hanno raggiunto un buon grado di benessere. Le ricognizioni della Soprintendenza Archeologica della Calabria, coadiuvata dall'Associazione per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico lametino, sono state coronate finalmente da successo nel 1997, quando in occasione del lavoro per l'impianto di un uliveto è stato possibile delineare una vasta area archeologica. I saggi di scavo, allargati nel corso del 1998, hanno mostrato l'esistenza di un frammento di abitato con fasi databili nel corso del IV secolo a.C. e soprattutto nella seconda metà di esso, epoca in cui Dyfri Williams propone di datare il «Tesoro». Si tratta di un vasto abitato che occupa l'ampia terrazza di «Terravecchia» in direzione Ovest, verso il mare Tirreno, e che era articolato per assi regolari orientati a Nord-Est, divisi da strade larghe intorno a mt 6.00. Sono stati finora scoperti alcuni ambienti costruiti con pietre di fiume e materiale di reimpiego (blocchi di calcarenite biancastra di estrazione locale, provenienti dalla spoliazione di una fase più antica), che sembrano affacciarsi verso un'area centrale, presumibilmente il cortile dell'abitazione come per solito avviene nelle case di questo periodo. Lo stato iniziale dei lavori non permette di giungere ad alcuna conclusione, ma la maglia urbanistica cadenzata nelle sue misure sembra articolarsi sul vasto pianoro limitato da un lato dal fosso dove scorre il Piscirò. Più di una volta ho pensato che in questa parte della piana lametina, dove accanto al tesoro, all’hydria ed alla tabella sono stati rinvenuti numerosi gruzzoli e soprattutto dove sono vaste aree contrassegnate da frammenti ceramici rivoltati frequentemente dagli aratri, potesse essere localizzata Terina, sub colonia di Crotone, fondata all'inizio del V secolo a.C., attraverso le cui raffinate monete d'ar­gento è conosciuta l'eccezionale qualità dei suoi orafi.

 

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In rassegna alcuni pezzi del Tesoro di S.Eufemia(b)

1.Diadema aureo

tesocoroQuesto diadema in spessa lamina d'oro consiste di una lunga fascia alla quale è stato saldato un frontone. Il nastro è decorato con tre gruppi di tre scanalature e tre file di cerchi punzonati. 1 ganci alle estre­mità terminano a spirale. Le ali del frontone e la sezione di nastro sottostante sono decorate con viticci floreali simmetrici, realizzati con uno stelo liscio e spirali perlinate, con fiori a calice e piccole rosette. I fiori a calice hanno sottili lamine auree inserite e i viticci di entrambi gli angoli del frontone terminano in un ricciolo a spirale. All'apice del frontone c'è un viso sbalzato, in veduta frontale, forse Helios o un gorgoneion. La cornice del frontone è decorata con una fila di ovoli, sormontata da una fila perlinata e una liscia. L.'acroterio centrale contiene un fiore a tre petali; gli acroteri d'angolo hanno la forma di due rosette sovrapposte. Lo spessore della lamina d'oro e la robustezza dell'oggetto, assieme alle tracce di probabili ripara­zioni antiche di una rottura nel nastro all'angolo sinistro del frontone, indicano che questo magnifico diadema fu realmente indossato in vita.

 

2.Pendente d'oro «a castone» ovale e catena con terminali a protome leonina

tesocollatesovaleSu un lato della cassa ovale la sottile foglia d'oro è sbalzata in un rilievo molto basso che rappres, un Eros danzante, piuttosto pesante ed effeminato che danza con le braccia alzate al di sopra della u Sotto i suoi piedi è applicata una foglia d'oro con un motivo ad acanto da cui si ergono, su entran lati di Eros, lunghi viticci di filo spiraliforme perlinato che terminano in sottili riccioli a spirale. C'ì bordo di perline, a filigrana liscia e intrecciata, mentre l'orlo più esterno è decorato con una fila di line. Tra l'estremità dei viticci vi è un disco a filigrana. L'altro lato del pendente è decorato con quattro palmette, ognuna con una foglia d'acanto d'oro centrale, separate da fiori a calice. Alcuni viticci finiscono in gruppi di granuli, mentre altri granuli dee no le estremità dei fiori a calice e delle palmette. Il bordo è lo stesso sull'altro lato del pendente. Atte all'orlo dell'oggetto corre una fascia a spirale e ad entrambe le terminazioni vi è un piccolo foro, chiuso da un filo. La doppia catena a maglia, a due spire, termina con piccole protomi leonine in lamina d'oro con semplici collari, sempre in lamina d'oro, decorati con fili lisci e perlinati. Le catene sono connesse ai terminali per mezzo di fili e ciascuna testa di leone ha un anello nella sua bocca che funge da attacco per il pendente. Quest'ornamento è una traduzione in oro della moda di portare una grande gemma su una catena o laccio intorno al collo. Esemplari contemporanei dello stesso tipo, provenienti dall'Italia meridionale, includono gemme sia cilindriche che a forma di scarabeo.

 

3. Sei catenelle d'oro con tre piccoli pendenti

tesocolla1Tre di queste brevi catenelle, ognuna terminante in un minuscolo pendente, dovevano essere originariamente montate su ciascun lato del pendente ovale (n. 2), come sono mostrate nell'illustrazione di Francica. Un pendente è a forma di conchiglia, il secondo di bacca di mirto e il terzo di semplice seme. L'opuscolo di Francica rivela che altri due pendenti non furono offerti al British Museum: un altro a conchiglia ed un altro a semplice seme. La sesta catena priva di pendente doveva sostenere una seconda bacca di mirto. Se questi pendenti non dovessero essere pertinenti al n. 2, essi potrebbero essere stati sospesi ad un diadema a nodo erculeo come quelli di Ginosa.

 

4. Terminale di collana

tesopendeQuest'elemento a forma di cuore rappresenta un terminale di collana. È decorato con un fiore cam­paniforme. Sul retro vi è un piccolo tubo disposto in senso longitudinale che doveva accogliere il laccio che lo raccordava alla collana. La collana al completo doveva probabilmente avere l'aspetto di un esem­plare tarantino, che conserva quindici rosette tra simili terminali. La collana di Taranto fu trovata assie­me ad un paio d'orecchini a spirale come il n. 6.

 

 

 5. Pendente a protome femminile bifronte, dai tratti somatici africani.

tesopende1Il pendente è realizzato in due metà fatte a stampo. Le teste hanno le tipiche fattezze africane e le orecchie portano un orecchino ad anello d'oro. In cima all'oggetto c'è un anellino di sospensione di filo liscio. La base è chiusa da una foglia d'oro, ora quasi del tutto mancante. Il fondo del collo è decorato con un filo a spirale perlinato e uno liscio. Non è chiaro se questo pendente provenga da una collana o da un orecchino elaborato. Pendenti a forma di teste di africani sembrano essere stati popolari in Italia, giacché se ne segnala uno da Bari ed un secondo da Ruvo.

 

6. Tre terminali d'orecchini ad helix con protomi femminili

tesopedenti2Ciascuna testa è composta da due parti stampate, fronte e retro, con un collare girevole decorato con due fasce di filo ondulato liscio tra orli di perline, di filo intrecciato e liscio. Le donne, a loro volta, indossano anche orecchini ad helix. Gli elementi tubolari a spirale che collegavano la coppia di teste sono mancanti, ma numerosi pezzi simili, provenienti dall'Italia meridionale, ci permettono di rico­struire il tipo con certezza. Alcuni orecchini sono anche rappresentati sulle monete di Siracusa. Essi erano chiaramente infilati in un largo foro nel lobo dell'orecchio.

 

7. Anello d'oro da dito a forma di scarabeo cavo

tesoscaraLo scarabeo è in lamina d'oro e la parte superiore a stampo è abbastanza rudimentale, sebbene il dorso centrale, le zampe, la testa, gli occhi, e le chele sono tutti distinguibili. Sul dorso c'è una banda puntinata e una serie di strisce verticali, forse intese ad imitare delle legature che, dalla schiena dello scarabeo, andavano al castone. L'anello pieno - che doveva incastonare lo scarabeo cosicché poter re portato al dito, e ruotato se lo si desiderava - è andato perduto.La base dello scarabeo, decorata ma logora, mostra, all'interno di un bordo ritorto di filigrana figura in bassorilievo di Eros che suona il doppio flauto. Ai suoi piedi, per terra, c'è un galletto. Sia Eros che il galletto stanno su un piccolo fiore da cui si protendono due lunghe volute in filo perlinato culminanti in un viticcio strettamente avvolto a spirale. Tracce di smalto blu rimangono in alcuni mogli tra le volute.Numerosi anelli-scarabeo d'oro, con disegni a rilievo o incusi possono essere identificati coi dotti della Magna Grecia.

 

8.9. Due segmenti di cintura d'oro

tesocintu1tesocintuQueste due parti di lamina aurea ampiamente ondulate sono probabilmente le terminazioni di una cin­tura. La lamina d'oro, di spessore abbastanza consistente, è stata sagomata con l'ausilio di una matrice bron­zea per ottenere cinque bande ondulate. Entrambe le sezioni sebbene tagliate ad un'estremità, all'altra con­servano un gancetto ad anello di filo d'oro rastremato, con capi a spirale. Francica pubblicò due parti leg­germente più lunghe, entrambe con terminali, che purtroppo non furono offerte al British Museum.Sebbene le fasce con costolature a sbalzo compaiano di più nella moda femminile, come è rappre­sentata sui vasi italioti, si può pensare anche a cinture, anche se la maggior parte appare essere decorata con rotelle o linee verticali. Tali cinture potrebbero essere state realizzate in metallo prezioso, in cuoio o in stoffa. Conosciamo altre cinture d'argento e oro, ma sono tutte in un unico pezzo. Qui, dobbiamo presumere che la cintura fosse costituita da due pezzi di lamina d'oro, collegati dagli anelli, davanti e di dietro, con qualche ornamento come un nodo erculeo d'oro.

 

10. Anello d'oro con busto di Athena

tesoathenaL'anello consiste in un cerchio piatto con una lamina inserita nel castone. La lamina è sbalzata con un busto in veduta frontale di Athena che indossa la sua egida e un elmo a tre cimieri. La lamina e l'a­nello sono antichi, ma è improbabile che siano pertinenti. La lamina, che è consumata, può essere stata ricavata da un piccolo medaglione o provenire da un castone a cassa o a scarabeo, ed è databile al 111 sec. a.C.; l'anello, invece, è più probabilmente databile al II-I sec. a.C. Quest'anello è per la prima volta menzionato in una lettera di Vitalini al British Museum del gennaio 1897. Non è descritto in nessuno dei documenti dell'opuscolo di Francica, né è li illustrato. La sua pertinenza al gruppo deve, perciò, restare molto incerta: è incluso qui per amore di completezza.

 

11. Moneta in bronzo di Hiketas (287-278 a. C.)

tesomoneSul diritto vi è una testa di Persefone rivolta a sinistra, con una torcia dietro la testa e un bordo puntinato. Sul rovescio vi è un carro rivolto a destra, con un esergo piatto.Questa moneta sembra essere il più recente pezzo proveniente dal tesoro così come oggi conservato, ma non è illustrato da Francica,per cui la sua connessione al gruppo deve rimanere problematica.

 

 


Note

(a) I testi sono stati estratti dal libretto: Il Tesoro di Santa Eufemia - Finito di stampare il 3 Novembre 1998 per conto di Meridiana libri s.r.l. presso la StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale: Via di Vigna Jacobini, 67/c - 00149 - Roma.

(b) Debiti fotografici : Le foto dei gioielli di Santa Eufemia sono del British Museum di Londra. Le foto dell'Hydria a figura rosse sono di Fausto Gallo. Sono state estratte dal libretto : Il Tesoro di Santa Eufemia - Finito di stampare il 3 Novembre 1998 per conto di Meridiana libri s.r.l. presso la StilGraf della San Paolo Tipografica Editoriale: Via di Vigna Jacobini, 67/c - 00149 - Roma.

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British Museum di Londra 04-nov. 2002 - I nostri collaboratori Giuseppe e Francesca (coniugi) mentre posano in una foto ricordo davanti alla bacheca contenente il Tesoro di S.Eufemia.

p.s "Al British Museum di Londra si può fotografare e filmare qualsiasi soggetto e opera d'Arte; al contrario dei nostri piccoli musei".

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