Il brigantaggio
Il brigante Natale Di Pasquale, detto il «Cavalcante», e Don Giuseppe Mazza
di Antonio Raffaele
Nei primi anni d'800 le contrade del lametino e dei paesi viciniori furono turbate dalla feroce e violenta azione di tre comitive di briganti capeggiate dal famigerato Natale Di Pasquale detto il Cavalcante, e composte da fuoriusciti provenienti da Maida (paese d'origine del Di Pasquale), da Gizzeria e da Sambiase.
La situazione era divenuta davvero insostenibile, in quanto le tre bande, in stretta unione, attuarono numerose e sistematiche scorribande nelle campagne, commettendo estorsioni, furti, ed ogni altra sorte di delitti e misfatti, divenendo il terrore e lo spavento di tutti. Per detta ragione numerosi abitanti delle zone interessate (specie Zangarona) furono costretti ad abbandonare le terre ed il proprio lavoro onde evitare di finire nelle mani dei briganti, i quali erano divenuti così forti e prepotenti da entrare persino nei centri abitati muniti «d'ogne sorte d'arme ed ivi commettere de' scandalosi eccessi, e violenze».
Dopo la mezzanotte si era costretti a rinserrarsi nelle proprie abitazioni, e - mani alle armi - a vegliare tutta la notte per non «perdere la vita, e l'onore». Ormai «si piangeva per la perduta sicurezza si' interna, che esterna».
Per arginare e quindi reprimere definitivamente il fenomeno, venne incaricato il Magnifico Don Giuseppe Mazza di Nicastro il quale riunita una considerevole squadra di uomini riuscì nel suo intento dopo un'infaticabile e ininterrotta azione persecutoria.
Le comitive di Gizzeria e di Sambiase «non avendo riposo per la viva persecuzione» decisero di consegnarsi spontaneamente nelle mani del Mazza, mentre il Di Pasquale tentò ripetutamente la via della fuga via mare, ma venne tradito da due suoi compagni rimasti con lui, che lo uccisero(1). Di grande interesse è il resoconto(2) dell'inseguimento effettuato dal Mazza contro il Cavalcante, il quale si avvalse della collaborazione di molti cittadini prezzolati. Secondo le testimonianze rilasciate da alcuni dei componenti(3) che presero parte all'azione repressiva, Don Giuseppe Mazza per mezzo delle grida (una sorta di moderna soffiata dietro pagamento) seppe che il Di Pasquale si era annidato nelle campagne di Vena di Maida già dal trascorso mese di maggio di quell'anno 1803.
Riunite tutte le forze, il Mazza si portò nelle vicinanze in cui il capobrigante era stato avvistato con i suoi compagni negli ultimi tre giorni, ed in particolare, l'ultima sera tra le mandrie di tal Pietro Scalise. Quest'ultime vennero assalite all'istante, ma al suo interno non venne rinvenuto alcuno, in quanto il De Pasquale, per sua fortuna, quella sera uscì dal rifugio alle due di notte per farsi accompagnare da un pecoraio della stessa mandria «insino alla Crocicchio del bosco detto il Carrà vicino la terra di usito».
Ormai sempre più sulle sue tracce, gli inseguitori lo braccarono «per la montagna Mula, ed indi per il fiume Corace», sino a giungere «entro il Marchesato». Il terzo giorno giunsero a Mesoraca, quindi a Policastro, dove appurarono che il Di Pasquale con suoi compagni si trovava nel «pagliaro di vacche di detto Don Pietro Antonio Ferraro».
Il Mazza ed i suoi uomini sopraggiunsero tardi però, in quanto il capobrigante e i suoi complici era già uscito «con una donna detta la Marchino, e che l’avea condotta in una collina boscosa poco lontano da detto pagliaro, per averci commercio carnale.»
La compagnia decise così di portare l'assalto a detta collina, ma vi trovarono la sola donna la quale disse che il Cavalcante «erasi allora per allora fuggito, con l'altri due compagni per aver inteso il rumore che si era fatto nell'assalto del pagliaro» e indicò «nel tempo istesso la strada che avea preso». L'inseguimento continuò instancabilmente sino al «pagliaro de' cacchi di Panunzio di Dordoni» dove il Di Pasquale e compagni erano giunti da pochi minuti. «Ma siccome sopragiunsero in quello stesso tempo quattro soldati di campagna, coj quali il medesimo tenne discorso, e dubitando che non sopragiungesero dell'altri soldati erasine partito».
A quel punto Don Giuseppe Mazza con sei uomini scelti(4), si mise a cavallo all'inseguimento del brigante, il quale quest'ultimo frattanto si era impadronito di una vettura che andava alla fiera di S. Janni, e «postosi a cavallo su la medesima batté la strada, a posta battuta, per tirare nella marina sotto al casino del Barone Don Tommaso Schipani per potersi imbarcare sopra una barca livantina ch'avea già tirato l'ancore per fare vela.»
Ma scorti gli inseguitori con il cannocchiale, il Di Pasquale ritenne più opportuno lasciare la barca, e fuggire per terra. Quella stessa notte furono rinvenute le sue tracce lungo la strada che avea precedentemente percorso, per la stessa collina di Mula, e il fiume Corace, indi rientrò nelle campagne di Vena ove si disperse, senza lasciare traccia. Pochi giorni dopo «per mezzo d'altra grida», si venne a conoscenza che il fuore uscito era ritornato nella Marina di Catanzaro, ma anche stavolta inseguito, fu costretto a tonarsene indietro senza poter salpare.
Dopo altri giorni, a seguito della soffiata a pagamento di tal Gennaro Ruberto di Sambiase, il Mazza seppe che il Natale con i suoi compagni si trovava nel pagliaro di suo possesso vicino al bosco di Sant'Eufemia. Anche stavolta l'assalto fu inutile perché il Cavalcante con i suoi compagni era uscito pochi attimi prima «non già perché fosse infidele la notizia della grida, ma perché chi dovea comunicarla tardò a farla».
Lo stesso Gennaro Ruberto rilasciò al riguardo testimonianza sull'accaduto, al fine di dimostrare la sua lealtà nei confronti del Mazza: «Gennaro Ruberto del casale di Sambiase al presente in questa città ben cognito, curatolo della madra di pecori del Barone Don Nicola Maria Nicotera di detto casale di Sambiase, [...] come essendo stato più volte incaricato dal Magnifico Don Giuseppe Mazza [...] per far la spia al famoso fuore uscito Pasquale di Natale alias il Cavalcante, e compagni, per cui detto di Mazza continuamente li rigalava, perché il predetto di Natale era solito che si faceva vedere per quelle campagne, e boschi, vicino la mandria di detto codesto di Ruberto con averci detto Don Giuseppe offerto una pingue rigalia, si havrebbe reuscito il servizio [...]».
Ed infatti la sera di venerdì del 10 giugno di quell'anno 1803, essendo giunto il Di Pasquale con altri due compagni nel pagliaro del Ruberto, quest'ultimo pensò subito di recarsi alla presenza di Don Giuseppe Mazza, per fargli presente quanto stava accadendo. Ma lungo la strada il Ruberto incontrò tal Francesco Falvo di Sambiase, alias il Monaco, al quale diede incarico di portare l'ambasciata al Mazza «per esser lo stesso solito di andare con il predetto di Mazza in persecuzione de comitive».
Frattanto il Ruberto tonò indietro nel suo pagliaro, per tenere sott'occhio il pericoloso bandito. Attese tutta la notte, ma Don Giuseppe Mazza e il suo seguito sopraggiunse soltanto la mattina susseguente, sabato 11 giugno, inutilmente perché il Cavalcante con suoi compagni se n'era uscito prima dello spuntare del giorno. II Ruberto si giustificò dando la colpa del ritardo dell'informativa al Falvo.
Saputo ciò Don Giuseppe Mazza «biastimando disse, che in riterarsi nella sua casa subito» avrebbe riferito «con una sua relazione all'Illustrissimo Sign. Preside contro di detto Falvo». Stremati ed avviliti dal tenace inseguimento del Mazza i compagni del Cavalcante, specialmente dopo l'ultimo assalto nel pagliaro di detto Ruberto, «s'indussero di uccidere il di loro famoso capo, tanto più che sanno benissimo che il Mazza, per mezzo de congionti dei sudetti compagni del Cavalcante gli avea animato e stimulato ha far tal servizio».
II Cavalcante morì per mano dei suoi stessi compagni, tradito da quegli amici che avevano preso parte con lui a ricatti, furti ed alle più atroci nefandezze.
NOTE.
1. Testimonianza (cancelliere Pietro Cresia) rilasciata li 24 luglio del 1803 da alcuni abitanti e dal Sindaco di Zangarona Giuseppe Anania.
2. Sezione Archivio di Stato di Lamezia Terme , Protocollo notaio Notarianni Nicola, B. 632, anno 1803.
3. Trattasi di: Don Giuseppe Melina di Marcinara al presente in questa città di Nicastro, Don Francesco li Rose di Grimaldi provincia di Cosenza, Agostino ed Antonio Scalise di Platania, Magnifico Pietro di Sarro, Magnifico Domenico Nicotera, Vincenzo Ferrajuolo, mastro Matteo Renda, mastro Vincenzo Scardamiglia, Pasquale Peluso, Vincenzo Chirumbolo e Bruno di Sensi.
4. Trattavasi di: Don Francesco li Rose, Agostino ed Antonio Scalise, Vincenzo Ferrajolo e mastro Matteo Renda.
Nb: L'articolo è tratto da "Storicittà", (mensile illustrato diretto dall'Editore e Resp. M.Iannicelli),pag.4-6 anno IX, n°89 Luglio-Agosto 2000, Tip. Stampa Sud - Lamezia Terme. E' severamente vietata la riproduzione salvo autorizzazione: email Questo indirizzo e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.