Fatti e personaggi del '900

Nel cinquecentesimo della morte di S.Francesco di Paola

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S.Francesco di Paola - Storia della sua vitaA cura della redazione del sito web sambiase. com

 

Le Erbe del Santo(2)

- dalla prefazione di Francesco Samengo -(3)

"In uno scenario in cui, dalla cosmesi al fast food, sembrano prevalere prodotti sofisticati ed intrugli, avvertiamo sempre più la nostalgia della semplicità e della genuinità.

A ben vedere, non si tratta di un improponibile ritorno al passato, quanto di uno sforzo volto a riscoprire i valori autentici della natura, che ciclicamente si rinnova offrendo all'uomo non solo la cornice, ma soprattutto gli alimenti per il suo sostentamento e le essenze per curarsi e mantenersi in forma, come usa dire. Conosciute già dagli Egizi per le loro proprietà terapeutiche e per i loro molteplici usi cosmetici, molte erbe furono adoperate anche in epoca greca e romana e poi medievale per curare ferite, piaghe ed ustioni.Alcuni impieghi più comuni sono attestati in Calabria dalla tradizione popolare, ma anche confermati dalle fonti documentarie, che man mano vengono alla luce; il timo, la lavanda e la santoreggia erano usate per depurare la cute; per ridare freschezza ed energia si faceva ricorso alla menta; l'iperico era indicato contro le scottature; per la pelle grassa andavano bene le essenze di maggiorana, cipresso, issopo; per la pelle arida quelle di sandalo, mirto, malvarosa; per la pelle pallida l'elicriso, la verbena o il limone.

L 'impiego che delle erbe fece Francesco di Paola, il santo che in virtù della sua fama di "mago e taumaturgo" nel 1483 fu chiamato alla corte di Francia per curare il re Luigi XI, gravemente ammalato. Missione alla quale si piegò "per obbedienza", nonostante l'età avanzata e la ritrosia ad abbandonare la scelta eremitica.
Si tratta di un'opera che traccia, in base al resoconto dei processi di beatificazione, episodi significativi della vita del Santo paolano, protettore della Calabria e della gente di mare, e testimonia, altresì, il costante uso dei rimedi naturali vegetali nel corso dei secoli; fino a trasformarsi in scienza delle erbe o fitoterapia.
Un patrimonio a cui anche oggi si fa ricorso, nonostante che il progresso della chimica e della scienza farmaceutica sembri aver soppiantato questa antica arte.

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Nell'orto di S.Francesco(3)

erba detta ''ungue cavalla''

L'erba detta "ungue cavalla". L'erba "dicta ungue cavalla" è identificabile con la fanfara (Tussilago fanfara L.).
(Primus Testis) È la prima menzionata negli atti del processo calabrese per guarire da un ascesso ad una gamba Giacomo di Tarsia, barone di Belmonte. Questi infatti dopo essere invano ricorso alle cure di numerosi medici, tra cui "mastro Vincello chirurgo famosissimo che abitava a Maida", si fece trasportare in lettiga da Belmonte a Paola. La distanza di 14 miglia fu coperta in un giorno e mezzo di cammino. Appena Francesco vide il barone disteso sulla lettiga, gli si avvicinò. Quindi disse ad un fraticello: "Per carità, va, famne tante fronde de erba ditta ungue cavalla, che è una erba grande e pigliame quella poco de polvere che sta alla cella nostra". Avuto quanto richiesto, Francesco si accostò al barone e gli disse: "Ser Jacopo, abbi fede grande". Poi dopo aver fatto il segno della croce sulla piaga, lasciò cadere la polvere su di essa e vi pose "tre fronde, una sopra l'altra". Congedò allora il barone raccomandandogli di curarsi in tal modo "per due o tre altre volte", aggiungendo "et abbiate fede al Signore che ve ne farà la grazia". E così fu. L'erba detta "ungue cavalla" è una pianta delle composite (tussilago farfara). Probabilmente quella adoperata da Francesco di Paola dovrebbe essere la petasites officinalis, comune nei prati umidi e sulle rive dei torrenti.

Le sue proprietà terapeutiche sono note sin dall'antichità, come testimonia Plinio nella sua Historia Naturalis: seda la tosse stizzosa, serve nelle manifestazioni più acute della diatèsi scrofolosa, nelle infezioni delle glandole, nelle eruzioni cutanee, come la tigna .Conosceva Francesco tali proprietà? Erano poi esse idonee a guarire l'ascesso del barone di Belmonte? È arduo rispondere a tali interrogativi. Vero è che, secondo quanto apprendiamo dal medesimo processo, "mastro Paulo de la Cava", uno dei chirurghi che avevano avuto in cura Giacomo di Tarsia, preso atto della guarigione, esperimentò l'erba "ungue cavalla", ma dovette ammettere che quanto era capitato al barone di Belmonte era "miraculo facto per li preghi et orationi" di Francesco da Paola .

La ''filidrizza''

 

La  filidrizza". La "filidrizza" è identificabile con la felce quercina (Polypodium vulagare) .
(Testis Quartus) Di quest'erba parla Francesco de Florio, nobile cosentino, il quale testimonia che essendo affetto da malaria già da otto mesi, andò a Paterno per raccomandarsi alle preghiere del frate. Francesco gli disse: "Al ritorno, passando dalla località `lo Caro', prendi due cime di quella erba de la filidrizza, che nasce sul tronco delle querce. Falla bollire con ceci e bevine il brodo, quando sei assalito da febbre. Ma cerca innanzitutto di essere un buon cristiano". Il de Florio seguì le istruzioni e "non se sentìo più male e fu sanissimo".
L'erba detta "filidrizza" è la felce quercina (polypodium vulgare) dalle belle fronde piumate, dal dolce rizoma che sa di liquirizia. Le sue virtù terapeutiche sono ricordate da Plinio e possono riassumersi nell'azione colagòga (stimola la secrezione biliare) e purgante, documentata anche da ildegarda di Bingen. È anche adoperata contro la tosse, il catarro cronico e i raffreddori.
In Francia, nel medioevo, si diceva che portasse fortuna nelle lotterie e che proteggesse coloro che l'avevano addosso contro le epidemie. Al polipodio delle vecchie querce erano attribuite virtù magiche. Conosceva Francesco da Paola tali virtù terapeutiche? Furono esse a produrre la guarigione? Non anticipiamo giudizi, ma procediamo nell'esposizione dei fatti.

Erba chiamata ''treffa''

 

Erba chiamata "treffa".
(Testis Decimus) Altra erba che ricorre nelle testimonianze del processo canonico è il cerfoglio, detta in gergo volgare "treffa". Credo che debba identificarsi con l'anthriscus cerefolium oppure una specie di trifoglio, la nota ombrellifera dalle foglie triangolari finemente dentellate, che emanano un profumo caratterico. Cotta e applicata come cataplasma essa agisce molto efficacemente nelle infezioni oftalmiche più acute. E proprio in tal senso fu adoperata da Francesco da Paola per guarire "Donna Perna de Signorello" e un bue, proprietà di Bartolo Perri da Paola .

 

Erba centaurea

Erba centaurea .
(Testis 30) L'erba potrebbe essere la centaurea minore (Centauriun erythraea Rafn ).
Antonio de Carlo da Paola ci informa che sua sorella da due mesi era affetta da "uno male al collo": un'infermità popolarmente conosciuta in Calabria col nome di "malaventura". Dopo essere ricorsa invano a molti medici, fu portata a Francesco da Paola, il quale come vide l'inferma ordinò al fratello di cogliere l`"erba detta centaurea", che fioriva presso il monastero. Una volta pestata l'accostò al naso della donna, la quale si assopì. Svegliatasi dopo un'ora "levao la testa et incommenzao ad parlare, et in quella hora fo sanata". Anche nella fattispecie viene adibita una pianta nota per le sue proprietà medicamentose: il centaurium umbellatum, che secondo quanto scrive Olivier de Serres, "colto di fresco, pestato e applicato sulle grandi piaghe, le richiude, e tutte le vecchie ulcere vengono rimarginate", fidandosi senza dubbio dell'uso fattone dal centauro Chirone ferito da una freccia da Ercole, come ricorda Plinio nella Historia Naturalis . Tale erba era raccomandata in modo particolare ai convalescenti e agli esauriti, ai quali è importante restituire le forze e l'appetito. Perciò era consigliata alle ragazze giovani dai colori pallidi .

 

Erba bianca detta ''assinthio''

Erba bianca detta "assinthio". L'"erba bianca cioè assinthio" è identificabile con l'assenzio (Artemisia absinthium L.).
(Testis 30) Altra volta l'eremita paolano prescrisse per un male all'occhio "un poco de erba bianca cioè assinthio" (absinthium), pestata, anche se fu sufficiente la "bona fide" del paziente per essere guarito "senza mitterence cosa alcuna". Ad una fanciulla di Paterno, Docaria de Orrico, che una mattina era stata trovata "con la bucca voltata de retro per modo che non possia magnare" frate Francesco aveva prescritto "uno impiastro" di "passole et erba bianca", cioè assenzio. Ma non avendo potuto trovar detta erba, la paziente fidando "allo Signore"; "se trovao sana senza farence cosa alcuna" .

 

Ortiche

Ortiche.
Sia l'ortica comune (Urtica dioica L.) sia l'ortica minore (Urtica urens L.) erano note per le loro proprietà terapeutiche..
(Testis 36) Parimenti donna Chiara Carbonella "attratta de pedi et de mano... se trovao sana senza fare nè ortiche nè cosa alcuna", dopo essere ricorsa a Francesco da Paola. Questi esortò la paziente e il fratello che l'accompagnava, asperse l'inferma con acqua santa "et allo partire le imparao che pigliasse certe ortiche cotte et le mettissero alla man de la paziente".
Gioverà ricordare che fino al sic. XIX ci si serviva di fustigazioni sia dell'ortica dioica sia dell' urtica urens per richiamare gli spiriti e il sangue sulle parti anchilosate e paralizzate. Sulle proprietà terapeutiche delle ortiche Plinio notava: "Cosa può essere più fastidioso dell'ortica? Eppure da essa si estrae in Egitto l'olio che serve a dar sollievo a molti mali, primi tra tutti l'artrosi e la podagra".


Nepita o menta selvatica

Nepita o menta selvatica.E' identificabile con la calamita (Calamintha offficinalis Moench) detta anche nepitella (Calamintha nepeta (L.) Salvi.
(Testis 34) Ad un'altra umile erba sono legati interventi curativi di Francesco da Paola: è la nepitella (calamintha officinalis) della famiglia delle Labiate, diffusa nei luoghi boscosi e calcarei. Fu adoperata per guarire Giacomo Carratello da Paola che aveva "una scisa alla gamba..." , e il fratello di Luigi de la Porta da Paterno, "quale omne dì li pigliava lo parasismo de febre".
Armand Delatte riferisce questa pratica magica: "Ci si recava tre giorni consecutívi, prima del levar del sole, presso una pianta di orno o di menta, deponendovi intorno delle offerte (pane, sale, pepe, vino) salutando la pianta e annunciandole che la febbre le si sarebbe trasmessa. La menta si essiccava e il malato guariva" . Quanto al suo uso vulnerario, molto popolare era nel medioevo l'olio di Baume, ottenuto per macerazione al sole, durante il mese che succedeva la raccolta, delle sommità di menta nell'olio d'oliva. Alessandro Caputo di Paterno - come leggiamo nel processo cosentino - disse che allorché attendeva alla costruzione del monastero paolano "li supravinne una pleurese allo fianco che lo havia tenuto uno dì, et una notte che sende pensava morire. Dicto frate Francisco donao ad magnare ad ipso testimonio et dopo lo mise ad dormire in pede ad un arbore cum fascicolo de nepita subto lo capo et lo sanato".

 

Fragola selvatica (Fragaria vesca)

Fragola selvatica (Fragaria vesca).
(Testis 88) La medicina dei semplici teneva in gran conto la fragola selvatica (fragaria vesta), della famiglia delle rosacee con foglie trifogliate, fiori bianchi a cinque petali separati e numerosi stami, calice a cinque sepali doppiati da un secondo calice ugualmente a cinque divisioni. Il suo rizoma e le sue foglie erano largamente adoperati come diuretici e astringenti, mentre il frutto delicato e saporoso era molto raccomandato ai tubercolotici, agli anemici e ai gottosi.
Secondo la testimonianza di Giacomo Curtí da Paterno, sua cognata Donna Angela abitante a Figline "era infirma ad morte per non havire possuto orinare tre dì". Essendosi rivolto il teste per conto dell'ammalata a padre Francesco per implorargli la guarigione "dicto frate... se stringia nelle spalli scusandole che non sapia che fare, chè se trovava in loco de dove non havia che mandare alla patiente". Poi distese la mano a terra e colse delle fragole mature... "et facto dicto fascicolo lo mandao per un famiglio alla paziente che lo pigliao sì per devotione, quale pigliato et magnato diete fragole subito orinao, et fo sana".

 

 

Le ginestre dei carbonai (Sarothamnus scoparia L.)

Le ginestre dei carbonai (Sarothamnus scoparia L.).
(Testis 94) Tra gli arbusti che ornano la catena paolana spicca senza dubbio l'inconfondibile ginestra dei carbonai (sarotbamnus scopartús). I pastori dell'Avernia avevano osservato una certa immunizzazione contro il morso delle vipere nelle pecore che brucavano le ginestre. Molto più tardi Armand Billard di Clermont-Ferrand dimostrò che il solfato di sparteina in esse contenuto ha un certo potere anti-velenoso. Dalle testimonianze del processo cosentino apprendiamo che "un serpe velenoso mordicò uno deli monaci de dicto frate Francisco allo digito dello pede, quale monaco corse piangendo et gridando dove dicto frate Francisco per aiuto, quale dicto frate Francisco ligao lo digito vulnerato cum uno filo de genestra et fo sanato". Ciò non stupisce se ricordiamo quanto fu dichiarato dal Santo: a coloro che servono Iddio le erbe manifestano per se stesse le loro virtù. Anche se ciò ovviamente non esclude l'apporto della scienza e dell'esperienza .

 

Sambuco

Sambuco. Sia il sambuco comune (Sambucus nigra L.) sia il sambuco montano (Sambucus racemosa L.) erano piante note per le loro proprietà terapeutiche.
"(Testis Tertius) Nobilis Joannes Bonbinus de Cosentia testis cum iura¬mento examinatus [...] dixit, che [...] dalla dui anni uno cani li donao de mano alla gamba et lince fice cinque feriti de manere che la ditta gamba era impostemata gravamente e cussi lo Patre [...] lo fe portar da uno Garzone dove detto frate Francisco, et cussi disto frate Francisco videndo la gamba ferita piglia una medulla de sambuco et la posse alle ferite et de sopra get¬tao aqua santa fandole la croce, et dixe va che non sara niente et cussi lo di seguente se trovao sano [...] ".

Cercimita

 

 

Cercimita. L'erba che "se chamava cercimita" potrebbe essere l'edera (Hedera helix L.).
"(Testis Septimus) Joannes de Símeono de terra Paulae testis medio iuramento examinatus [...] dixit che avendo una sue nepute nomine Margarita quale [...] una sira [...] storze di bucca grandemente che non era possibile possírese guarire per medico et portandola da dicto frate Francisco disse pigliati di quella erba quale era innanti lo loco dove stava ipso quale erba se chamava cercimita et piglati lo suco et line lavati la testa et dapo pigliati fronda cotta et lila poniti in testa che sara sana et [...] lo di seguente fo sana sin corno era primo [...] ".

 

 

Fecula

Fecula. Ferola (Ferola communis L.).
"(Testis 66) Calvanus de Plantedi de Paterno testis cum iuramento examinatus [..,] dixit che havendo [...] uno suo figlolo, quale era attratto da tutti e dui li piedi grandamente per modo che era tutto attratto andao dove dicto frate Francisco pregandolo che impetrassi gratia per la sanità de suo figlolo et dicto frate Francisco imparao ad ipso testimonio che pigliassi una fecula et spartutola per mezzo, et fattola calda la mettissi alli pedí et gambe de dicto figlolo, che sara sano, et che [...] dicto figlolo fo guarito [...]".

 

 

 

Secia

Secia. La "secia" potrebbe essere la bietola selvatica (Beta vulgaris L.).
"(Testis 69) Fabricius Bombinus de Paterno testis cum juramento examinatus [...] dixit che havendo una infirmità [...] che stava dritto tutto in uno modo, che non se possia voltare ad nulla banda sende andao dove dicto frate Francisco et lo pregao che índercedissi per la sanità sua, et cussi dicto frate Francisco li dixe Va per carità pigla uno poco de secia et la pista et dapo la odora che lo Signore te fara la gratia et cussi ipso testimonio andao et trovao la secía prefata, quale pistata senza mittere cende ne odorare la fo guarito corno prima [...]".

 

 

 

Castagna

Castagna. Castagno (Castagna communis L.).
"(Testis 74) Rausius de Parisio de Paterno testis cum iuramento examinatus [...] dixit [...] andando cum multi altri, et cum frate Francisco predicto condurre certe trabi, per la Ecclesia trovaro una petra grande alla via che non possiano passare li trabi dicto frate Francisco dixe, che di bisogno levarese questa petra di quà [...] et cussi pigliarono dicta petra et la travarono legera como una fronde, et allo voltare che fice dicta petra cascao supra lo digito de uno de la compagnia quale fracassao tutto losso, et gridando lo patiente per lo dolore, vinne dicto frate Francisco et lo imboglao con una fronde de castagna et subito fo sano como prima [...]".

 

 

 

 

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- Questo articolo, ne seguiranno altri, nel ricordo del cinquecentenario della morte di S.Francesco di Paola - (Gierre).

 


 

Note:

1) Quadro pittorico tratto dal libro "S.Francesco di Paola - Storia della sua vita" di p. Giuseppe Roberti,seconda edizione,p.592, Roma Curia Generalizia dell'Ordine dei Minimi,anno 1963;

"Il quadro è quello originale eseguito in Francia da Jean Bourdichon, valente pittore alla corte di Luigi XII, e offerto dal re Francesco I al papa Leone X nel 1519. Questo ritratto, al quale non si può negare il merito della rassomiglianza, venne conservato nella cappella pontificia, e fu assai caro a Clemente XI, il quale dopo averlo fatto racchiudere in una preziosa cornice d'oro, usava tenerlo continuamente nella camera, sia che dimorasse al palazzo Vaticano, sia al Quirinale" (cit.,p.605 v. nota 1); Roma Curia Generalizia dell'Ordine dei Minimi,anno 1963;

2) Volume di Pietro De Leo ( Le erbe del Santo), approfondisce ed illustra, facendo ricorso ad una ricchissima documentazione iconografica- curata da Rita Aiello e Rita Fioravanti- l'impiego che delle erbe fece Francesco di Paola. Rubbettino Editore srl - Soveria Mannelli (Cz) - dicembre 2004;

3) Prefaziono di Francesco Samengo è tratta dal libro di Pietro De Leo: "LE ERBE DEL SANTO", p.5, Rubbettino Editore srl - Soveria Mannelli (Cz) - dicembre 2004;

4) L'articolo "Nell'orto di S.Francesco" è tratto da ibidem nota 2, pp.13/19,Rubbettino Editore srl - Soveria Mannelli (Cz) dicembre 2004; "Il libro e frutto di una ricerca curata da Pietro De Leo, presidente della Commissione Cultura Stato-Regione Calabria, approfondisce ed illustra, facendo ricorso ad una ricchissima documentazione iconografica - raccolta da Rita Aiello e Rita Fioravanti ", cit.,p.5, ibidem nota 3;

5) Le fotografie affiancate alle didascalie sono state curate da Gierre.

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